«La Mafia e l'Fbi uccisero Martin Luther King» di Fabio Galvano

Morto il simbolo USA Quattro persone scagionano Ray, condannato nel '68 a 99 anni e sempre proclamatosi innocente «La Mafia e l'Fbi uccisero Martin Luther King» Un miliardario: organizzai per loro l'omicidio del leader nero LONDRA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Un uomo d'affari di Memphis, nel Tennessee, ha confessato di avere organizzato l'uccisione di Martin Luther King, il 4 aprile 1968. Ha offerto, in cambio dell'immunità, di fare il nome del sicario e di tutte le persone coinvolte nella vicenda. Se la sua versione dei fatti risultasse esatta, sarebbe definitivamente dimostrato che ci fu un complotto e che James Earl Ray, condannato a 99 anni di carcere, è innocente; ma soprattutto, secondo gli avvocati di Ray, emergerebbe fra i mandanti la mafia di New Orleans e, dietro a quella, forse anche l'ombra di potenti organismi come l'Fbi di Edgar Hoover. Della confessione, ora al vaglio dell'avvocato distrettuale del Tennessee, dà notizia l'Observer. 11 giornale inglese afferma che l'uomo, indicato come «mister Green» ma il cui vero no¬ me rimane segreto in attesa dell'immunità, ha portato con sé altri quattro testimoni. Dalle cinque deposizioni emerge uno scenario tutto nuovo, che parrebbe anche confermare la difesa di Ray durante il processo. Green dice di essere stato accanto al sicario mentre quello sparava: non '•all'edificio dove si trovava Ray, ma nascosto fra i cespugli davanti al Lorraine Motel dove si trovava Martin Luther King. Ray, egli afferma, fu usato come esca, per sviare le indagini. La versione ufficiale è che Ray - un piccolo delinquente con un lungo passato penale e la fama di essere un acceso razzista - abbia sparato dalla finestra del bagno e sia poi fuggito, lasciandosi alle spalle il fucile acquistato pochi giorni prima a Birmingham, in Alabama. L'unico testimone dell'accusa, un tale Charlie Stephens, era nella stanza accanto a quella di Ray: disse di avere sentito il colpo e di avere visto il vi¬ cino fuggire. Ma in seguito un tassista ha testimoniato che quel giorno Stephens era talmente ubriaco da non potersi alzare. Durante il processo James Earl Ray, che ha oggi 65 anni e che nei 25 anni trascorsi in carcere ha sempre protestato la propria innocenza, affermò di essersi trovato-a Memphis soltanto per consegnare un fucile a un misterioso Raoul, che intendeva contrabbandarlo in Messico: quando tornò nella sua stanza, disse, c'era polizia dappertutto e preferì fuggire. L'uomo al centro della clamorosa svolta, miliardario e ormai in pensione, afferma di avere fatto la sua fortuna con i 100 mila dollari che gli furono dati per l'omicidio. A quell'epoca aveva un ufficio vicino al Lorraine Motel: due altri uomini d'affari di Memphis lo avvicinarono con l'offerta da parte di «amici di New Orleans» (un sinonimo per mafia). In un successivo incon¬ tro comparve anche un altro uomo. Si chiamava Raoul e gli disse che avrebbe provveduto a un capro espiatorio per sviare le indagini. Era il Raoul indicato da Ray? L'operazione era avviata. Green rivela, nella sua confessione, di essersi messo in contatto con un negro noto come tiratore infallibile, e di averlo pagato 10 mila dollari. Il 4 aprile i due si nascosero fra i cespugli: quando Martin Luther King comparve sul terrazzo del Lorraine, dal fucile di precisione partì il colpo mortale. L'amante di Green e due sue impiegate, tutte di colore, lo videro poco dopo rientrare in ufficio con il fucile: tutte e tre hanno ora deposto in quel senso. Nel 1983 Green contattò un killer - anch'egli oggi in veste di testimone - per fare uccidere la sua ex amante, che «sapeva troppo»; ma il tentativo fallì. Fabio Galvano