II buon samaritano sconfitto da Aidid di Aldo Rizzo
r OSSERVATORIO II buon samaritano sconfitto da Aidid A morte della povera I crocerossina, ottava vittima italiana della «guerra di Mogadiscio», e i preparativi ormai avanzati del ritiro delle forze americane hanno segnato l'anniversario dell'intervento internazionale in Somalia. Di contro, il generale Aidid, a lungo indicato come il pericolo pubblico numero uno, il solo vero ostacolo alla pacificazione dei somali, resta sulla scena più forte di prima, e la sua leadership ha come alternativa soltanto una prolungata guerra civile. Quindi un fallimento totale? La Somalia è il Vietnam dell'Orni? In realtà è difficile fare un bilancio di un'operazione tanto complessa, al di là delle reazioni immediate o emotive. Quando, il 9 dicembre di un anno fa, gli americani arrivarono sulla spiaggia di Mogadiscio sotto i riflettori della televisione, molti ironizzarono sullo «sbarco in diretta»; ad altri parve che potesse trattarsi di un contributo, certo problematico, all'ipotesi di un nuovo ordine internazionale. Di fatto, gli americani e poi l'Onu in quanto tale avevano un primo, essenziale obiettivo: salvare un popolo dalla morte per fame. Questo obiettivo è stato raggiunto. Naturalmente, non ci si poteva accontentare. Bisognava agire sulle cause della spaventosa carestia, cioè sulla disgregazione politica e sociale, sulla scomparsa di ogni parvenza di Stato, sostituito da bande armate in guerra tra loro. Bisognava dunque disarmare le bande e avviare un processo di riconciliazione politica. Si tentò di fare anche questo, pur fra ritardi ed esitazioni. Poi la svolta, improvvisa e drammatica: l'operazione di polizia internazionale si trasforma in una vera e propria guerra dell'Onu contro il principale dei capibanda, appunto Aidid. E qui comincia il Vietnam delle Nazioni Unite. In questo senso. Le forze dell'Onu reagiscono ad atti di violenza deliberati (chi può negare la responsabilità di Aidid nell'agguato che costò la vita a 24 «caschi blu» pachistani?). Ma la loro reazione è insieme eccessiva e disarticolata, e per ciò stesso è controproducente. Infatti, quanto più i caschi blu sparano e uccidono, tanto più cresce la ^popolarità e la presa politica di Aidid, che può arrivare ad atteggiarsi ad alfiere di una nazione violentata. Inevitabile il passo indietro. Ma a questo punto Aidid ha vinto, la sua trappola ha funzionato. E agli americani e agli altri non resta che organizzare il ritiro. Allora, dov'è il bilancio? E' nel fatto che, per la prima volta, l'Onu si è trovata ad affrontare una missione non di mantenimento, ma di imposizione della pace, e si è accorta di non avere i mezzi per farlo. Altra cosa era fermare l'aggressione in Corea o nel Kuwait, dando la benedizione a un sostanziale intervento americano. In Somalia, in una situazione molto più confusa, si trattava di rendere operativo, sul piano militare oltre che politico, un corpo di spedizione davvero internazionale, e sono mancati i collegamenti necessari, anche per colpa dei contingenti nazionali, non escluso quello italiano; è mancata anche o soprattutto la definizione di una strategia politica coerente. Bisogna concludere che l'Onu deve d'ora in avanti disinteressarsi di casi come la Somalia, lasciar perdere? Certamente no (e nella stessa Somalia non può abbandonare del tutto la partita, rassegnarsi a un fallimento totale). Deve però essere più prudente nelle sue iniziative e studiare il modo di renderle più efficaci. Nello stesso tempo, l'America e le altre potenze occidentali devono rendersi conto che sono esse, con le loro organizzazioni politiche, economiche e militari, il nucleo duro di un qualsiasi nuovo ordine o di un qualsiasi riassetto internazionale. L'Onu ha una grande funzione, che però resta una funzione di riferimento, per quanto è possibile. E infine l'Italia non deve pentirsi di essere andata in Somalia, ma deve anch'essa, nella sua tormentosa transizione interna, definire meglio i fini e i mezzi della sua presenza internazionale. Aldo Rizzo :zo^J
Persone citate: Aidid
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