Per Taranto spunta fronte anti-Lucchini

Una cordata vuole lo stabilimento Uva Una cordata vuole lo stabilimento Uva Per Taranto spunta Ironie antì-Lucchini TARANTO. Nasce uno schieramento anti-Lucchini. Maggiore candidato all'acquisto dello stabilimento Uva, l'ex presidente della Confindustria ha di fronte il muro degli industriali di Taranto e di Alessandria, coalizzati nella Tarnofin (Taranto Novi Finanziaria), una srl - capitale 1 miliardo - che vuole acquisire il 30% dell'Uva Laminati Piani, cioè la società da privatizzare in cui sono confluiti l'impianto pugliese (il più grande centro siderurgico d'Europa) e quello di Novi Ligure. «Così il governo sta svendendo la siderurgia italiana ai francesi ponendo le condizioni per elargire centinaia di miliardi agli industriali bresciani e lombardi con la benedizione della Cee». Questo il tono della lettera, inviata a Comune, Provincia, sindacati e Camera di commercio, con cui l'associazione degli industriali ionici ha sollecitato la costituzione di un «comitato permanente a difesa dei legittimi interessi della città e della siderurgia nazionale che ha a Taranto e Novi i suoi principali stabilimenti». Neppure il tempo di festeggiare l'accordo di Bruxelles che salva il terzo forno di riscaldo e scongiura i tagli alla produzione («Una vittoria della ragione» secondo il ministro Savona, «Un accordo perfetto» per il presidente dell'Iri, Prodi), ed ecco lo scontro. Nella città in cui da mesi si sta lavorando all'azionariato popolare e dove i «quadri» e i dirigenti dell'Uva hanno avviato le operazioni di scalata dichiarandosi disponibili ad investire una quota delle loro liquidazioni, parte l'offensiva a Luigi Lucchini, ma anche al ministro, che «col pretesto di salvare i posti di lavoro sta svendendo la siderurgia all'Usinor Sacilor», principale avversario dell'Ilva. La soluzione prospettata, cioè la chiusura di Bagnoli, il taglio di 1,2 milioni di tonnellate a Taranto e quella di 500 mila tonnellate agli impianti dei privati che acquisiranno l'Uva Laminati Piani, non piace. «Sostanzialmente l'avrebbero vinta, con la complicità del governo italiano, le lobbies europee dell'acciaio con l'accordo di Lucchini e Falck» afferma Domenico Cassalia, presidente dell'Assindustria. «Taranto finirebbe nelle mani di questi ultimi che non hanno alcun interesse né competenza per gestire gli impianti dell'Uva. Nella Laminati Piani vogliamo esserci anche noi imprenditori locali, insieme con il management che garantisca la perfetta gestione dell'impianto». I timori sono due: che si ripeta l'operazione-Piombino, dando a Lucchini la possibilità di rilevare lo stabilimento senza sborsare una lira; e che, dopo averlo acquistato, la Usinor-Sacilor - partner di Lucchini nella Lutrix - decida di dimezzarne le possibilità concentrando la produzione in Francia. Il più duro è Carlo Lavezzari, ex consigliere di amministrazione dell'Uva ed ex presidente di Iritecna, attualmente uno dei massimi protagonisti della Tarnofin. Proprietario dell'omonima società che ha impianti a Novi e a Varzi, Lavezzari critica il governo: «Non permetteremo che faccia un altro regalo a Lucchini, ne ha già fatti troppi. Per esempio, la cessione a costo zero dello stabilimento di Piombino, operazione voluta dall'allora amministratore delegato dell'Uva, Gambardella». Riferendosi alla Lucchini Siderurgica, che nel '93 potrebbe chiudere i bilanci in rosso di 100 miliardi, Lavezzari afferma che l'industriale bresciano «in cambio della chiusura di impianti vecchissimi, che comunque dovrebbe smantellare, chiede 500 miliardi al contribuente, così compera Taranto e Novi per darle ai francesi dell'Usinor». Sull'accordo raggiunto, che dovrà essere ratificato venerdì dal Consiglio dei ministri europei dell'Industria, è prudente Silvano Veronese, segretario confederale Uil. Sottolinea che l'Uva residua, la società in cui confluiranno i 10.600 esuberi del gruppo (5000 a Taranto) «rischia di diventare una seconda Gepi, ricca solo di disoccupati». E chiede pertanto un incontro con Savona e con il ministro del Lavoro Giugni. Intanto l'imprenditore mantovano Steno Marcegaglia ha confermato il suo interesse alla Acciai Speciali Terni, l'altra società da privatizzare, non ponendo vincoli alla collaborazione con altri industriali. Tonio Attilio