«Sono stato un pirla» Applausi a Patelli

«Sono stato un pirla» Applausi a Patelli «Sono stato un pirla» Applausi a Patelli Alessandro Patelli, l'ex cassiere della Lega finito in carcere per i 200 milioni di Sama, ha parlato dal palcoscenico per venir minuti. Poco prima aveva ottenuto la revoca degli arresti domiciliari ASSAGO. Scusi Patelli, lei esclùde di essere un pirla? «Non 10 escludo». Ce l'ha fatta questo lungagnone con lo sguardo triste e la parlata lenta a togliersi 11 mattone della colpa. E' venuto a espiarla qui, nel Pala-Lega, in mezzo ai suoi militanti che secondo quel dandy di Philippe Daverio, l'assessore col farfallino, hanno scoperto «di essersi sverginati». Grazie a Patelli? «Ma sì». Non è un bel paragone, assessore. «Voglio dire che i leghisti una mattina si sono accorti di avere perso l'innocenza. E' stato uno choc». Va be'. Guardatelo lo choc, con la cravatta e il vestito grigio, il baffo amaro, le ciglia che vanno su e giù: si chiama Patelli Alessandro, anni 43, viene da Bergamo e un giorno del 1992, ne) cuore più cuore di Roma ladrona, il bar Doney di via Veneto, ha intascato una busta da 200 milioni. Che poi altri ladri si sono fregati direttamente dal suo cassetto. «Avevo una specie di presentimento quando ho preso quei maledetti soldi». SaI rebbe? «E' che io tanti e tutti in- sieme non li avevo mai visti: li ho nascosti nel mio ufficio e di notte, a casa, pensavo a dove metterli». Invece? «Invece passano i giorni e una mattina mi telefonano: Alessandro, stanotte sono arrivati i ladri. A me è venuto il nodo alla gola». Ha capito che un giorno o l'altro sarebbero tornati a galla? «Eh, sì». Con un bel po' di guai dietro? «Eh, sì». Respira: «Scusi, ma ora devo andare, tocca a me». Un'ora prima, Bossi lo ha voluto accanto nel rito del pranzo in pubblico, pacche sulle spalle, sorrisoni, roba che nessuno poteva non vedere. Era il via alla riabilitazione. A metà pomeriggio, Patelli sale sul palcoscenico per la pubblica confessione. Parlerà per venti minuti, nel silenzio perfetto di almeno mille paia d'occhi. La sua prima parola è «grazie». La sua ultima: «grazie». Tutte e due le volte seguita dall'applauso di assoluzione. Un'onda che vorrebbe avere la forza di cancellare questo brutto sogno. Patelli resta lì, felice, pentito, stupefatto. Pattina sul¬ l'onda: «Se non mi caccerete, la sola cosa che vorrei fare è continuare a lavorare per il bene della Lega». E poi serio: «Giuro che non ho fatto altro di male, ma ho visto quanto è facile essere coinvolti. Se un giorno leggerete di me, sappiate che sono innocente». Deve essere l'ansia: gli hanno tolto gli arresti domiciliari alle 11,15 del mattino e lui subito si è precipitato qui, dentro al mattone vetro-cemento di Assago, dove si sente «a casa», «cioè nella Lega», «che avevo il timore non mi volesse più e dovevo scoprirlo subito». Ha la faccia di uno che ha sofferto di biutto, ore e ore di carcere. Se glielo chiedi ti fa il conto: arrestato alle 14 di martedì, fuori alle 22 di mercoledì: 30 ore di San Vittore. Arresti domiciliari per 51 ore e 15 minuti filati. Dice: «Lo immagini già che il carcere è duro, ma bisogna provare per capirlo davvero. Come ho reagito? Lo psicologo mi ha detto: complimenti lei è bello calmo. Eh, sì sono fatto così. E' adesso che mi mangio i nervi». Temere, temeva: nella baraonda dei preparativi, Patelli non era ancora riuscito a parlare con il capo. Lo ha fatto in gran segreto prima di pranzo, in una saletta del terzo piano, loro due con l'avvocato Giovanna Andreoni, quella che aveva bloccato i giornalisti, fuori da San Vittore, mentre lui filava via. Trenta minuti per concordare con Bossi l'esternazione che in tutto e per tutto avrebbe dovuto coincidere con il verbale firmato davanti ai magistrati. Ci mancherebbe. La versione, si sa, è parecchio complicata e per molti versi persino astrusa. Prevede almeno tre incontri tra lui, cassiere della Lega, e Sergio Portesi, funzionario Montedison. Più un incontro tra Bossi e Carlo Sama, «dove mai si parlò di soldi, ma solo di massimi sistemi». Poi la busta «che Portesi mi diede senza tante parole e che io intascai». Poi il furto, «che per me resta un trappolone pensato da chi ci vuol male». L'applauso dunque, quello finale, che psicologicamente chiude «l'ossessione Patelli» durata mezza giornata, tra gli agguati delle telecamere e l'insofferenza dei militanti per l'inattesa vulnerabilità. «Patelli è un ingenuo, ma non un disonesto» «Lo ha fatto per dare una mano al movimento». «E' stato ingannato». «E' una cosa insignii! cante». Un coro. Che a fine giornata rende quasi felice (e loquace) il triste Patelli. «Ho sempre lavo rato per la Lega dall'alba a mez zanotte. Continuerò». Cosa ri corderà del carcere? «Il momen to più brutto è quando entri». E a cosa pensava: alla Lega, a Bossi, al botto? «In quei momenti uno pensa a se stesso» Quando ha visto in tv Carlo Sama rispondere: «Soldi alla Lega? Non lo escludo», lei cosa ha provato. «Eh, lì ho capito». Che era iniziata la discesa? «In effetti io pensavo a un avviso di ga ranzia, mica all'arresto». E' du ra fare politica? «E' dura, sì, e se uno fa il pirla, prima o poi la pa ga». Pino Corrias L'abbraccio in pubblico di Bossi poi venti minuti di «mea culpa» «Giuro, non ho fatto altro di male»

Luoghi citati: Assago, Bergamo, Roma