Sindaci date il diritto di voto ai nuovi italiani

A ognuno l AL GIORNALE Sindaci, date il diritto di voto ai nuovi italiani Un appello ai leader appena eletti Ai nuovi sindaci. Già oggi gli statuti di diversi Comuni italiani attribuiscono il diritto di voto nei referendum consultivi ai cittadini stranieri residenti da un certo periodo di tempo. Già oggi le legislazioni di alcuni Paesi comunitari la Danimarca, l'Olanda, l'Irlanda attribuiscono il diritto di voto nelle elezioni locali ai cittadini stranieri in possesso di determinati requisiti. Riteniamo che sia venuto il tempo perché anche il nostro sistema di governo locale imbocchi questa strada. Chi vive stabilmente in un Comune e contribuisce alla produzione delle sue risorse, nonché al gettito fiscale qualunque sia la sua cittadinanza -, ha diritto di scegliere gli amministratori e di dire la sua quando talune scelte vengono sottoposte al giudizio collettivo. Questo diventa sempre più vero. E lo è particolarmente quando lo straniero, che vive e lavora in un Comune, viene da storie e culture diverse, così rendendo più complesso il riconoscimento reciproco tra quanti pur fanno parte della medesina comunità. La partecipazione alle scelte amministrative rafforza i legami tra i cittadini, riduce il senso di esclusione e accresce quello di responsabilità. Chiediamo ai sindaci eletti con le nuove regole, e per ciò più direttamente responsabili verso tutti gli abitanti dei loro Comuni, di avviare immediatamente la revisione degli statuti, qualora non contengano già la previsione del voto per gli stranieri nei referendum comunali consultivi (per esempio, a Milano). E chiediamo loro di promuovere iniziative affinché il prossimo Parlamento voglia modificare la legislazione in modo da consentire a quei nuovi cittadini di prendere parte alle elezioni locali. Luigi Manconi Giuliano Pisapia Stefano Rodotà Gustavo Zagrebelsky L'onorevole La Malfa e i soldi Montedison Lietta Tornabuoni ha espresso l'altro ieri «delusione sdegnata» per la deposizione dell'onorevole La Malfa al processo Cusani. Da parte nostra vi è eguale sentimento nel vederla scrivere il falso su due circostanze: che La Malfa abbia riconosciuto di aver accettato contributi in violazione della legge sul finanziamento per «il desiderio di vedersi derubricato il reato», e «per la speranza di non finire in prigione». Per informazione di tutti i lettori, non c'è reato da derubricare visto che l'on. La Malfa è indagato per violazione della legge sul finanziamento pubblico. Tanto meno c'è richiesta di arresto. E anche ai magistrati è risultato ben chiaro - al punto che l'intera stampa nazionale ha dato atto sinanco del tono diverso usato dal dottor Di Pietro in udienza - che il pri non c'entra nulla con la maxitangente Montedison. Nella vicenda Enimont dalla costituzione della joint venture alla denuncia dell'improprio sgravio fiscale sui conferimenti della parte privata, sino alla ripubblicizzazione della chimica a prezzo sopiavvalutato - il pri con il segretario La Malfa tenne sempre alta la critica e si oppose vigorosamente all'epilogo. Ciò fu fatto in tutte le sedi: nelle sedi di governo con il ministro Battaglia, nelle sedi parlamentari con Visentini e gli altri parlamentari repubblicani che intervennero sulla vicenda, e sulla stampa con reiterate prese di posizione. Non solo c'era contropartita richiesta al pri, ma il pri aveva tenuto un atteggiamento fermamente contrario. Questo è chiaro per esempio al professor Miglio, che distingueva ieri sul Messaggero: «I partiti di Tangentopoli che pretendevano denaro in cambio di favori illeciti» da chi «come i repubblicani avrebbero incassato senza dare nulla». Ma vi è un altro punto. Sergio Romano riferendosi a Bossi ha scritto ieri su La Stampa che tutti i segretari dei partiti «si sono nascosti tartufesca- mente dietro un'innocenza ambigua, spartendosi i ruoli con i segretari amministrativi». Non è così. Dei contributi raccolti La Malfa - che di tangenti non ne ha prese - si è addossato pienamente la responsabilità, ha ricostruito intervenendo in aula a Montecitorio tutte le entrate del pri sotto la sua gestione, e lo ha fatto non solo rifiutando di adeguarsi a costumi ipocriti ma soprattutto perché era un contributo necessario a ricostruire precisamente ciò che è avvenuto in questi anni, per poi voltare pagina. Tutto questo è bene ricordarlo ai lettori, con un giusto pudore da parte nostra. E anche con quell'imbarazzo che tutti hanno scorto sul viso di La Malfa in tribunale, e che rivelava la consapevolezza che certo di violazioni di legge si trattava, ma di una legge introdotta nel '74, amnistiata sino all'89, ed ora, con una nuova legge, modificata per quanto riguarda i finanziamenti per le campagne elettorali. Oscar Giannino, portavoce pri Quel controfagotto del dottor Inardi Leggo sul vostro giornale del 21 novembre 1993 della drammatica morte del dottor Inardi, personaggio indimenticabile di «Rischiatutto», che lascia il ricordo di una persona gentile colta e simpaticissima. Comunque faccio presente che non è caduto sulla domanda di Mozart bensì sulla domanda inerente al controfagotto, presente in una composizione di Verdi, se non erro. Mi fa stupire che non vi siate premurati di controllare la notizia. A parte che è passato molto tempo da allora e molti non si ricordano più, a tanti Rischiatutto è un caro ricordo che ci ricorda un po' la nostra vita da giovani. Mariuccia Rossi, Torino Noi pellicciai non siamo mafiosi La lettera del signor Caporale, pubblicata il 5 dicembre, contiene tali e tante inesattezze, temo volute, che come rappresentante dei pellicciai non posso ignorarla. Anzitutto non accetto che la mia categoria venga assimilata a mafia, camorra e 'ndrangheta, che sono, per quanto leggo, associazioni nate e sviluppatesi contro la legge, mentre quella dei pellicciai è un'attività che in qualsiasi paese del mondo è sempre stata praticata nella piena legalità. Circa l'ipotesi di una riconversione del settore e di una riqualificazione dei pellicciai, essa appare francamente improbabile, dato che la maggior parte dei pellicciai sono artigiani che hanno imparato il loro lavoro con un lungo apprendistato e che per qualunque altra attività dovrebbero ripartire da zero. Il disavanzo commerciale provocato dalla pellicceria e la pericolosità fiscale dei pellicciai sono poi pure invenzioni, attuate utilizzando dati grezzi. Mentre l'importazione di pelli viene infatti attribuita alla pellicceria, l'esportazione delle guarnizioni confezionate fa capo al settore abbigliamento in generale. La media dei redditi fiscalmente dichiarati, poi, deriva dalla somma algebrica di quelli di aziende attive e di altre che, per vari motivi, presentano bilanci ben poco brillanti (agli imprenditori capita anche questo, purtroppo). Ragionando con i criteri del signor Caporale, invece, dovremmo scandalizzarci del fatto che, negli ultimi anni, gli azionisti delle aziende industriali abbiano spesso avuto un reddito fiscale ben inferiore a quello di un operaio. Per concludere, osservo che il signor Caporale non risponde alla principale osservazione del signor Averna, quella sull'irrazionalità di concentrare i propri buoni sentimenti unicamente sugli animali da pelo, trascurando allegramente le (eventuali) sofferenze dei ben più numerosi animali che l'uomo sotto varie forme utilizza. Giuseppe Balducci, Torino Presidente Associaz. Italiana Pellicceria Regione Piemonte

Luoghi citati: Danimarca, Irlanda, Milano, Olanda, Piemonte, Torino