Sakhalin Far East del rublo

LA SFIDA DELLE ELEZIONI Nell'arcipelago conteso tra Mosca e Tokyo Sqkhalin, Far just del rublo Chi votano i neocapitalisti russi : ■■ ' ■; ":: ■ : ■ ": ■ ':■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ... . isitliiyill:; ■ : ::-M§§ LA SFIDA DELLE ELEZIONI SAKHALIN DAL NOSTRO INVIATO Mosca è lontana otto fusi orari. Okkaido è a tiro di binocolo. Il mare di Okhotsk si scaglia urlando contro le rive dell'isola, nero e gonfio di tempeste di ghiaccio che tengono le navi avvinghiate ai moli. Qui, stando alle apparenze, il capitalismo ha già trionfato. Le strade di Juzhno Sakhalinsk, il capoluogo, 150 mila abitanti, sono dominio di auto giapponesi. Di seconda mano, certo. Ma le Zhigulì e le Volga «sovietiche» hanno già ceduto il passo e sembrano vergognarsi del loro aspetto esteriore, malandato e invecchiato. Toyota e Nissan, Mitsubishi e Honda: tutte con la guida a destra. Si potrebbe semplicemente cominciare a guidare a sinistra, come in Giappone. Sulla piazza Lenin c'è ancora Lenin, possente, bronzeo. Ma l'edificio che guarda la statua, un tempo sede del comitato regionale del partito, è sotto cura cosmetica. Nell'albergo Sakhalin-Sapporo, il «top» dell'isola, una delle mille joint ventures russo-giapponesi, le camere sono ancora quelle di una volta, ma sul lavandino trovi spazzolino e rasoio di plastica. E il servizio è quasi quello di un medio hotel occidentale. Solo gli stipendi sono ancora lontani da quelli dell'Occidente: 100 mila rubli, circa 90 dollari il mese, quello medio. Ma siamo già molto sopra le medie della zona europea della Russia. Per chi lavora. Gli altri si arrangiano in attesa della disoccupazione che incombe. Le miniere di carbone del Nord ansimano senza capitali, ma c'è il petrolio, mille chilometri più in alto, all'altro estremo dell'isola, che fa gola alle grandi compagnie occidentali. L'albergo è pieno di americani e australiani che, la sera, vanno al night club a dilettarsi con le entraineuses. Arrivano investimenti, ci sarà lavoro. Così pensa la gente. E, soprattutto, pensano al loro «mare nostrum», così ricco di pesce che, ogni anno, se ne potrebbe tirare fuori 12-15 miliardi di dollari di profitto «pulito». Si potrebbe, perché, oggi come oggi, è solo una chimera. Mancano navi da pesca, strutture portuali, fabbriche per la lavorazione del pesce. E una parte di questa ricchezza se ne scappa via chissà dove, si volatilizza, condensandosi poi in forma di profitti nelle banche giapponesi o svizzere, o tedesche. La vera lotta, qui, è tra i nuovi imprenditori capitalisti locali e i ministeri centrali di Mosca le cui telefonate sorvolano Sakhalin a velocità della luce e approdano direttamente a Tokyo. Anatolij Ivanovic Filippov, 48 anni, ex insegnante di istituto tecnico, direttore generale della compagnia di pesca «Tunajcià» la «sua» impresa - è il prototipo del capitalismo russo che avanza. 200 operai («io non permetto nessun comitato sindacale. Il primo che sgarra lo licenzio subito»), 10 milioni di dollari di capitale investito in una fabbrica per la lavorazione del pesce, Anatolij Filippov è una potenza locale rispettata e temuta. Anche dalla mafia locale. Si considera la prova provata che il capitalismo russo può funzionare. «Purché mi lascino lavorare». E, vista dai suoi frigoriferi di marca australiana, la politica moscovita, le sue beghe, perfino le sue cannonate, interessa poco o nulla. Certo ci vorrebbero investimenti statali, una flotta moderna, da mettere in mani private a tassi d'interesse accettabili. Ma, in assenza di ogni programma governativo, Filippov si accontenterebbe che Mosca «non disturbasse». «E invece disturba, e molto», esclama accendendo l'ennesima Marlboro. E' da laggiù che vengono gli ostacoli, le trattative segrete con i «pescatori» stranieri, la vendita sotto banco delle licenze di pesca a prezzi stracciati, con le differenze che si dileguano nelle banche straniere. «Io i miei soldi li investo qui, questa è la differenza!». Non tutti per la verità. Una casa e terreni se li è comprati a Seattle, Stato di Washington, costa del Pacifico. E il figlio studia in una università americana. «Ma ne ho diritto. Sono soldi miei, guadagnati onestamente». Il figlio, dice, «farà esperienza concreta di mercato e tornerà qui. Anche questo è un investimento». Ma quelli di Mosca non sono i riformatori? «Macché riformatori! Il governo è pieno di gente che non sa cos'è il mercato. Gente che distrugge senza costruire, gente corrotta». Così l'unico suo candidato per le elezioni di dicembre è il vate e il profeta della «libera zona» di Sakhalin, Valentin Petrovic Fiodorov, il primo che ebbe il coraggio di farsi chiamare Governatore, il primo che diede la terra ai contadini perché diventassero «farmers», la bandiera del movimento popolare che non vuole dare le quattro isole Kurili al Giappone. Forse è per questo che gli hanno scavato la fossa. Fiodorov ci aspetta nella suite dell'Hotel Sapporo. E' tornato a Sakhalin per presentarsi candidato alla Duma. Tornato dal dorato esilio di Mosca dove Eltsin gli ha concesso la non augusta carica di viceministro dell'Economia. Troppo poco per le ambizioni di Valentin Petrovic, che vuole tornare a Mosca, questo sì, ma come deputato eletto dal popolo, cioè senza dover rendere conto a nessuno se non ai 700 mila abitanti di Sakhalin. Questa è la sua ultima frontiera. Se vince risale, se perde è finito. E ci porta a vedere i suoi grandi elettori. I nuovi capitalisti della campagna, i «suoi» farmers. In due anni, «quando ancora c'era Gorbaciov», era riuscito a farne decollare 1200. Ma come? Allora la proprietà della terra non c'era ancora. «Vero, ma noi sfruttavamo i contrasti che dividevano l'Urss e la Russia, Eltsin e Gorbaciov, e facevamo quello che volevamo». Adesso sono rimasti in 300 i veri farmers, quelli che producono. Altro stupore. Si va indietro? Perché? Fiodorov si gratta la testa calva. «Ma non capisce che la linea di demarcazione non è tra riformatori e conservatori? Questa favola serve a tenere buoni i gonzi». Spiega paziente, mentre Filippov lo asseconda. Lo scontro è tra due ipotesi di passaggio al mercato, tra due gruppi di potere. L'uno che punta all'accumulazione primitiva succhiando i capitali dallo Stato, svuotando le imprese e abbandonando i gusci vuoti. «Sarebbe un disastro - dice Fiodorov - questo significa che tra sei mesi si sparerà di nuovo. Non è un'ipotesi di sviluppo, ma di rapina. Non vedono la società, non capiscono che bisogna garantire occupazione, servizi sociali, scuole, sanità, ricerca». E l'altra ipotesi? «L'altra siamo noi - esclama Filippov - un vero nuovo ceto imprenditoriale che costruisce il futuro sostituendosi gradualmente al passato. Unico modo per evitare una drammatica crisi sociale». La jeep si ferma ai bordi del campo di Anatolij Khomic. Abbracci affettuosi. Ma Anatolij ha la faccia scura. I crediti non arrivano, il latte non conviene venderlo, cioè non conviene produrlo. In quattro, cioè la famiglia, non ce la fanno a coltivare gli 80 ettari. Insomma non basta ammazzare i colchoz per veder nascere i farmers. «Se lo Stato non aiuta il trapasso non ci sarà. Ci sarà solo il crollo». Meglio vanno le faccende a Viktor Gregorievic Lobenko. La casa è già costruita. In due, lui e il figlio, con quattro operai salariati, hanno già avviato un allevamento di mucche. C'è il laghetto artificiale già pieno di pesce, la stradina asfaltata, le staccionate, i trattori parcheggiati a fianco del cascinale. Viktor Gregorievic ha perfino uno studiolo e uno scaffale pieno di libri. C'è il «Breve corso di cooperazione» di A. Ciaianov, le opere di Vitte, «Reformator. Vita e morte di Piotr Stopypin». Si scopre che anche lui vuole fondare un partito ma, per ora, naturalmente, voterà per Fiodorov. Il meglio piazzato è però Serghei Afanasiev, 42 anni. Proprietario e fondatore del ristorante ((Al dottor Zhivago», l'unico sulla strada costiera che da Juzhno Sakhalinsk porta a Nord. Allevamento di maiali e bovini, 56 salariati, quasi cento ettari, una fabbrica per produrre salami e salsicce, un minisupermarket pieno di roba da mangiare e prodotti giapponesi, perfino ricambi d'auto. Ha appena assunto un avvocato perché non riesce più a tenere i conti. Stipendi? Cinque dipendenti guadagnano un milione di rubli al mese, altri 10 viaggiano sui 500 mila, la guardarobiera del ristorante prende 200 mila ed è l'ultima ruota del carro. Fiodorov lo guarda con occhi amorosi. Sono almeno 300 voti sicuri. Giuliette Chiesa Valentin Fiodorov è il leader che guida gli imprenditori «A Mosca vogliono un mercato sotto la tutela dello Stato Questo rischia di portarci alla guerra civile» MARE DI OCHOTSK ISOLA ISACHALIN PETROPAVLOVSKKAMCATSKU KAMCATKA (CSD sumsu paramusir ^ i onekotan * SIASKOTAN ^> 4 simusir r f £ urup ETOROFU (iturup) £$ r shikotan '4habomaj ^cf HOKKAIDO (GIAPPONE) Un pupazzo a grandezza naturale del presidente russo Boris Eltsin mentre cura un pupazzo che rappresenta la Russia. Le figure sono esposte dall'altro ieri nel museo delle cere di Mosca