Sironi magnifica ossessione tra arte totale e male di vivere di Marco Vallora

Una grandiosa retrospettiva (400 opere) si apre oggi alla Galleria Nazionale dArte Moderna di Roma Una grandiosa retrospettiva (400 opere) si apre oggi alla Galleria Nazionale dArte Moderna di Roma Sironi, magnifica ossessione tra arte totale e male di vivere F ROMA ORSE è lo stesso Sironi ad offrirci la definizione più credibile del proprio tumultuoso e vulnerabile operare artistico, quando - costretto dalle incerte sorti del regime fascista che tradiva il suo sogno lirico-monumentale - è come virilmente condotto a riprendere 1' «umiliante» pratica borghese del quadro di cavalletto. E allora parla idealmente delle sue tele come di «attimi dell'immenso studio della pittoricità murale». Un continuum tormentato ed insoddisfatto, perpetuamente ricominciato, come una variazione ossessiva. L'onirica catacomba interiore e quasi maniacale di un'impossibile architettura del vivere: è questa la prima impressione che si prova penetrando nella colossale esposizione, doverosamente dedicata - dopo tante reticenze - al grandissimo Sironi, che sinora soltanto. L'estero aveva dignitosamente antologizzato. Quasi Roma avesse paura del suo voto politico: da oggi la Galleria Nazionale d'Arte Moderna propone questa wagneriana cavalcata dentro la sua realizzata Utopia, fascinosissima, di un'ininterrotta, coerente Opera d'Arte Totale: architettonica, murale, illustrativa, musiva, scenografica. Quattrocento opere (si calcoli quante ore di visita se soltanto si vuol dedicare ad ogni testo la risibile attenzione di un minuto) prescelte con sensibilità da un comitato che ha collaborato con Augusta Monferini ed in cui si segnalano Fabio Benzi, il nipote Andrea Sironi e, per le splendide scenografie, Moreno Bucci. Benzi, in uno degli essenziali contributi del variegato catalogo Electa (ricco soprattutto di utili confronti con la pittura europea del momento) rimette a posto la datazione spesso confusa dell'artista permettendo finalmente di disegnare un profilo coerente e credibile della sua evoluzione, evitando all'autore di bagnare entro un mare magmatico ed indistinto di ritorni ed anticipi stilistici. Significativo iniziare dal suo primo periodo boccioniano, da quella Madre che cuce in una penombra protetta dalla pasta pulsante della materia, dove abitano ancora ombre boldineggianti. E già si fa viva la lezione del divisionismo di Balla, in quella luminosità sfibrata di tenui lampioni vespertini, che la biacca esitante spalma sulla coltre di rannuvola- to carboncino: ritagliando la sorella in un'inquadratura asimmetrica, molto realismo cinematografico nero. Ma è la serie nebbiosa di autoritratti che meglio spiega il cammino torvo di questa riluttante disponibiltà al rappresentare. Il ragazzo che è già assalito da quelle torpide crisi di «psico-nevrosi» - che lo fanno figurativamente tacere per lunghi periodi secondo l'alchemica tradizione rembrandtiana, interroga nel proprio volto la pittura, lasciando spesso che l'affiorante stigmate del viso affondi nella laguna melmosa dello sfondo, avido di colori. Il volto come strappato all'indistinto: gracile, malatino, sghembo ed ostile, secondo la lezione di Schiele. La «fatica» dei tratti, che si liberano a stento dai filamenti modestamente accesi del colore: come se la batterìa dell'esistenza fosse perennemente in via d'estinzione. Sironi, come tutti i baudelairìani pittori del nero, i Goya, i Daumier, continuerà tutta la vita a pescare le sue scabre tinte calcinate dà quel fondo impenetrabile d'accidia, che gli regala quegli inconfondibili, straordinari «grigi», che firmano la sua pittura. Anche quando via Boccioni e Marinetti s'innamora della poetica futurista, la sua è pur sempre una dedizione «ricostruttiva» dell'universo, cubo-futurista, se voghamo: i suoi spicchi esuberanti di colore si spaccano per subito implodere, verso una ponderata pesanteur dell'esistere. I suoi Volumi Dinamici del '14 hanno ben poco di dinamico, in senso boccioniano: si aggrappano subito, collosamente, alla superficie del quadro. Così i suoi Ciclisti non macchinano raggi sulla superficie della tela: cantano un inno complice alla fatica dell'esistere, raccontano - piuttosto che i prodigi della velocità - il lavoro caparbio delle vittorimane tossine operaie, che assediano i muscoli nel nebbioso pedalare di una mattina, che ha già gli scurori di uno scolpito crepuscolo. La gomma perenne dell'esistere. «Meriggiare» molto assorto, ma poco pallido, del paesaggio, che è corroso da acidi bassi, sordi, d'ocra inesorabili e da venti primordiali, che influenzeranno Arturo Tosi. Gli aerei sono bloccati nel cielo come sinistri giocattoli, cui è sottratta ogni gravità e si fa strada presto quella potente sigla grafica, illustrativa, che infibbia camions e tramway in una morsa funeraria di corazzato silenzio. Intorno si stende derelitta la città: non accade nulla di nuovo, al bivio di questi destini già scritti. Il tempo è come prosciugato via, in una dannazione biblica che rende di sale alberi e gasometri, ed indura le vene di mendicanti e viandanti, intabarrati alla Viani. Ci viene subito incontro il sorriso stanco di Saturno, che esplosivamente concentrerà d'intellettualistica tensione tutte le sue opere, e che avvolge sin d'ora il ritratto deami risiano del fratellino, in una plumbea coltre di mestizia domestica. Forse è l'insularità ribelle del suo antico sangue sardo, che dà alla pittura questo carattere catramoso ed interrogativo, qualcosa che forse potrebbe spartire col letterato Pirandello, anche lui impregnato di umori tedeschi, biliari, melanconici (quanto c'è di Corinth e perfino di Feuerbach, in questo impasto stanco di ritratti neo-cranachiani; Pallucchini parlava di Rouault e di Kokoschka, di «strati malati dell'Europa»), La Melanconia sironiana è donna terrosa, che come tronco sembra nascere infeconda dalla terra, rinserrata nella roccia come un idolo etrusco: e fissa con il suo sguardo bovino ed arreso non una profetica bolla di vetro, ma un architettonico globo di pietra. La Metafisica massonica e squadrata di Sironi non ha magie bontempelhane da vantare: è anti-graziosa, petrosa, attonita. Così il suo espressionismo non è esploso, esteriore, alla Munch: è interiorizzato, sordo, riempie di tensione rappresa la materia ineducata del suo minerale campire (ed in certe tele del Quaranta, come Statua distesa, ha il coraggio di affrontare partiture di purità informale, che anticipano Fermeke e De Stàel). Ma il vero confronto, forse, è con il fare sprezzante e asintattico del sommo Derain, di Vlaminck, più ancora che di Picasso, il quale curiosamente sembra evocato non nello stile, ma come riconoscibile personaggio ritratto, in una figura d'Apostolo o nel Bacchino malato del Ragazzo con palla. Il Temperamento Sironi dialoga non con gli stili, ma con le persone. Molti confronti, a doppio scambio, si potrebbero costì istituire con le sagome ritagliate di Le Corbusier, o con quelle armate di Schlemmer, con i paesaggi periferici di Feininger o con Marino Marini, perfino con Moore: ma Sironi ha una personalità che schiaccia ogni confronto. Non ha problemi di stile, ma di Verità. Perché è autenticamente tormentato: l'adesione populistica, «bolscevica» al Fascismo (come gli contesterà il rozzo, saneggiante Farinacci) si spiega forse così. Il Regime gli propone una sintassi morale, un ordine di valori: la famiglia, il lavoro, le allegorie dell'ordine. E lui vi appoggia, v'incasella la sua nevrosi, come si rovescia un far¬ dello in un orcio: una di quelle nicchie che cementeranno i suoi comparti, le sue Moltiplicazioni. (Sino all'infatuazione informale, che colpirà anche Michel Tapiè). E' l'idea che informa tutta la sua vita. Arte decorativa non significa gratuito arabesco ornamentale, ma oggettivazione del messaggio sociale dell'artista. Non eistono più arti minori o maggiori. Allo stesso modo, nell'ascesi del lavoro egli sublima i nervi scoperti del proprio male di vivere, oggettivizza i drammi dell'artista. Una proiezione quasi schizofrenica. Simbolo quella quasi derisoria pala d'altare del '37, Grande Pannello con camion^, con l'immaginaria romanità utopica che scala a cavallo le vuote nubi verso una sicura Gòtterdàmmerung, mentre sotto si snoda la litania operaia degli autocarri pregni di umanità. Il sacro ed il quotidiano. Marco Vallora Gli inizi boccioniani e l'amore per la poetica futurista. Nevrosi e ispirazione dal sacro al quotidiano EPS «L'allieva», opera del 1923-1924 ■ esposta nella grande mostra che Roma dedica a Mario Sironi Accanto: «San Martino» del 1940. A destra: autoritratto

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