Falso, falsissimo, anzi probabile di Maurizio Assalto

Falso, falsissimo, anzi probabile Dall'arte alla scienza alla politica: un repertorio universale di tutte le patacche, le frodi, le beffe Falso, falsissimo, anzi probabile Un Botticelli del '900, l'agnello vegetale e un «giallo» su Eco INCKELMANN era rimasto senza fiato davanti al dipinto saltato fuori un bel dì dai depositi della galleria Corsi- Ini di Roma. Quattro anni dopo, invece, le parole gli vennero fluenti, quando raccontò quella scoperta nella Storia delle Arti del disegno presso gli antichi: «Tornò alla luce nel settembre dell'anno 1760 una pittura (...) che oscurava tutte le pitture ercolanesi allora conosciute. Rappresenta essa un Giove sedente, incoronato d'alloro, in atto di baciar Ganimede». E proseguiva entusiasta, nell'esaltazione del prezioso reperto romano: «Vi vorrebbe il sublime pennello e la magia del colorito del Raffaello dei tempi nostri (...), del nostro Mengs». Infatti. Nell'enfasi laudativa, il sommo classicista si era avvicinato al vero. L'autore del dipinto era un suo amico di vecchia data, il pittore sassone Anton Raphael Mengs: lo confessò il falsario, sul punto di morte, quando l'amicizia era ormai compromessa per altri motivi. Si tratta di una beffa clamorosa, della più colossale patacca del XVill secolo (così simile a quella recente dei falsi Modi, ancora una volta ai danni di critici superciliosi). Troppi particolari stavano lì a indicarlo: da certi incongrui elementi iconografici, come le volute barocche del piedistallo, al motivo del bacio che nel mito di Giove è tutt'altro che antico, risalendo a Raffaello e a Giambattista Marino. Ma non c'è competenza critica che tenga, perché «la stessa percezione di un oggetto è determinata dalle aspettative che si hanno in partenza»: lo scrive Mark Jones, insigne numismatico inglese, nell'introduzione a un ponderoso volume che ha curato con Mario Spagnol, in uscita da Longanesi. Titolo Sembrare e non essere, sottotitolo I falsi nell'arte e nella civiltà: è una sorta di «naturale estensione» della mostra «Fake? The Art of Dece- ption» che tanto successo ebbe nel '90 al British Museum di Londra. Jones si spiega con un esempio: «Mostrate i "resti dell'uomo di Piltdown" a un paleontologo che non se 10 aspetti e non esiterà a scartarli come falsi; ma presentateli a un paleontologo che sia in attesa di vedere confermate le proprie previsioni sub" "anello mancante", e li considererà del tutto credibili». Il riferimento è a una delle più celebri frodi scientifiche del '900: una specie di patchwork in cui la mandibola di una scimmia medievale era stata adattata a un cranio umano coevo, 11 tutto spacciato per un reperto di 500 mila anni fa. Aberrazioni teriomorfiche di questo genere ne sono circolate tante: dalle trote pelose del Canada (pesci essiccati ricoperti da pellicce di coniglio, che cominciarono a spuntare nel '600), all'agnello vegetale di Tartaria (dove, si diceva in Inghilterra, certe piante meravigliose producevano animali vivi: e a ogni racconto la storia si arricchiva di particolari, tanto che nel 1698 vemie presentato alla Royal Society l'esemplare che oggi si ouò «ammirare» al British), agli innumerevoli tritoni e sirene che dalla mitologia classica e dai bestiari medievali fecero a un certo punto il grande balzo nei musei. Falsi, beffe, truffe «vere» e proprie. Dall'arte alla scienza alla storia. C'è la Madonna del velo conservata nel londinese Courtauld Institute of Art, che il critico Roger Fry, nel 1932, attestò entusiasticamente come opera di Botticelli, mentre esami successivi più accurati ne rivelarono la fattura primo-novecentesca (fra le altre incongruenze, si riscontrò la presenza di un pigmento blu di Prussia noto soltanto a partire dal '700). Ma c'è anche il do¬ cumento della falsa donazione di Costantino, servita per quasi un millenio a accreditare le mire temporali della Chiesa. Ci sono i falsi Protocolli dei Savi Anziani di Sion, costruiti dalla polizia zarista per avvalorare l'idea di una congiura ebraica. E c'è la falsa lettera di Zinovev, utilizzata dal Foreign Office per spaventare gli elettori di Sua Maestà e influenzarli in chiave anticomunista e antilabo rista. Si falsifica per lucro, per interesse politico o solo per ridere. O per tastare il polso alla gente, come nella famosa trasmissione radiofonica in cui Orson Welles annunciò l'invasione dei marziani, o nel più recente Mixer televisivo in cui M inoli tirò fuori le «prove» che il referundum istituzionale del '46 era stato truccato e che la Repubblica era quindi illegittima. Un falso (autentico) per dimostrare un falso (presunto): l'ul¬ tima frontiera dell'arte sopraffina del contraffare. Che oggi, nell'era della riproducibilità tecnica di tutto, celebra i suoi fasti. Che cosa separa ancora - infallibilmente - l'originale dalla copia, il vero dal falso? Un filo tenue tenue, sempre sul punto di spezzarsi... Per citare ancora Sembrare e non essere, da un saggio di David Lowenthal che cita Umberto Eco, «saturata d'iperrealtà, l'immaginazione dell'uomo moderno reclama cose vere. E per ottenerle deve creare il falso assoluto». Potenza dell'arte sublime: anche Lowenthal ci casca. Come si apprende dal catalogo della rassegna «Lo splendore del falso», ospitata la scorsa estate al Mystfest di Cattolica, questa frase Eco non l'ha mai detta. E' anche questo un falso. Maurizio Assalto Fra le vittime, anche Winckelmann: scambiò un Giove omosessuale del 700per un dipinto romano La «Madonna del velo», dipinta nel primo '900 e attribuita inizialmente a Botticelli

Luoghi citati: Canada, Cattolica, Inghilterra, Londra, Potenza, Prussia, Roma