Trasloco a «Milano, Italia»: Riotta se ne va di Enrico Deaglio

Trasloco a «Milano, Italia»: Riotta se ne va Dal 17 dicembre Enrico Deaglio prenderà il suo posto su Raitre Il giornalista: «Sono stato felice in televisione, ma anche molto contento di tornare a scrivere» Trasloco a «Milano, Italia»: Riotta se ne va ROMA. Cambio di stagione a «Milano, Italia»: il 17 dicembre Gianni Riotta lascia il posto che era stato di Gad Lerner e cede il microfono a Enrico Deaglio, 46 anni, torinese, collaboratore de «La Stampa». Se la fine dell'impegno di Riotta era prevista da tempo (e Angelo Guglielmi ha molto insistito per spingere Riotta a prolungare almeno fino alla prossima primavera la sua permanenza in video), quella dell'arrivo di Deaglio è una notizia non ancora ufficiale. Il prossimo conduttore di «Milano, Italia» ha già lavorato per la tv: dall'89 ha curato infatti, per «Mixer», la serie «Storie di piccola mafia». Exdirettore di «Lotta continua» e poi del quotidiano «Reporter», Deaglio, che è stato molto legato a Leonardo Sciascia, scrive dall'82 di fatti di mafia. Anche il suo ultimo libro «Raccolto rosso» si occupa di questo argomento. Appena portato a termine il suo impegno televisivo (quattro puntate come sempre ba¬ sate sulla cronaca dell'ultimo momento e quindi di argomento imprevedibile), Gianni Riotta si concentrerà sul nuovo, secondo libro che sta scrivendo. Per ora fa solo sapere che deve assolutamente finirlo, che è di narrativa e che non ha ancora titolo. Il successo di quest'ultimo ciclo di «Milano, Italia», che ha toccato punte d'ascolto elevatissime, lo rende «sereno». Ma non contento: «Se la contentezza derivasse dall'Auditel sarei contento, ma nella vita succedono molte altre cose... per cui non posso dire di essere contento». Di una cosa, però, Riotta è soddisfatto: «Mi avevano detto che l'ascolto era inconciliabile con un certo tipo di temi e di spettatori. E invece noi ci abbiamo provato, dimostrando che si può lavorare con tutto il pubblico, ma pure con una sua parte "avanzata". Anche dibattiti tutti "di testa" hanno funzionato e trovo significativo, per esempio, aver ricevuto giudizi positivi sulla trasmissione da persone diverse come Fortini, Martinazzoli, Rossanda». Da alcuni la conduzione Riotta, soprattutto se paragonata a quella di Gad Lerner, è stata giudicata molto, magari troppo, all'inglese. «Secondo me di noi la gente se ne frega: sia del modo più passionale con cui Lerner faceva "Milano, Italia", sia del mio, più tranquillo. Sono convinto che i conduttori non contino, almeno in una trasmissione d'informazione come questa. Ci sono poi casi, vedi il "Maurizio Costanzo Show", in cui invece il conduttore pesa molto: Costanzo potrebbe anche incontrare quattro persone casualmente per strada, portarle davanti alle telecamere e fare una trasmissione stupenda». Sentirà nostalgia della tv? «Sono stato straordinariamente felice lavorando in televisione, ma lo sono stato anche scrivendo gli articoli per il mio giornale. L'importante è andare sempre nella stessa direzione». C'è una puntata che avrebbe voluto fare e che invece non è riuscito a realizzare? «Ne abbiamo altre quattro da costruire, magari ci sarà anche quella. Comunque non c'è nulla di prevedibile: tutto il nostro lavoro è stato svolto in velocità, con tempi strettissimi, seguendo sempre la cronaca e decidendo tutto all'ultimo momento, anche quando sembrava impossibile montare una trasmissione su un fatto accaduto qualche ora prima». Quale è stato, nell'arco della sua esperienza a «Milano, Italia», lo scoglio più difficile da superare? «La cosa più difficile, quella per cui abbiamo impiegato tante ore di lavoro, è stata riuscire a capire l'Italia di questo momento. Per me, che venivo da New York, questo è stato l'impegno più grosso». Fulvia Caprera «La difficoltà vera è stata capire il nostro Paese» Gianni Riotta a «Milano, Italia» ed Enrico Deaglio