Che noia le spie

Che noia le spie Il suo ultimo romanzo, «Una fortuna pericolosa», è già bestseller. Intervista con lo scrittore più viziato dagli editori Che noia le spie I LONDRA EN Follett? Un piccolo bastardo borioso». Fine. Niente di più. Una rasoiata alla gola per recidere la giugulare «del piccolo gallese di Cardiff che s'è fatto i soldi con i gialli ma che puzza ancora di miniera e di merluzzo nonostante i suoi modi rifatti, la villa di Chelsea, i maggiordomi, l'anello d'oro al mignolo e il vestito che sembra tagliato da Henry Poole». D'altra parte lui non fa niente per smentire. Alza le spalle: rumaurs... Mormorii di gentucola, invidie di ringhiera. Occhi arrossati a sbirciare la fortuna degli altri, incapaci di produrre qualcosa di vitale per sé. Pulpiti vuoti, ereditati magari per nascita. «Upper class che detesta i miliardari di prima generazione. E che si rode l'anima per un tipo che non è passato nemmeno per caso dalle parti di Eton ma che, con un misero London College, è approdato là dove nessun magnanimo lombo aveva mai osato far vela: nel cuore di milioni di persone». Follett («accento sulla e, please») sorride spesso. E' vagamente più rotondo e in carne di quanto non appaia sulle fotografie da studio che mezzo mondo pubblica sul retro di copertina dei suoi best seller. L'ultimo è Una fortuna pericolosa, pubblicato in Italia da Mondadori: a poche settimane dall'uscita è già nella classifica dei più venduti in tutto il mondo. Follett è seduto ad una stranissima scrivania a cinque lati «fatta apposta per me». Di qua il computer, di là i libri, oltre le penne. La stanza è lunga, immensa, «fatta dall'architetto di Robert Adam». Molti colori: rosso, blu, oro. Uria libreria di tremila volumi. All'altro capo, a tiro d'occhio e d'orecchio, Barbara, seconda moglie, femminista convinta, alle prese con le bozze del suo Britìsh women, «un saggio non fiction di analisi politica e sociale sulla donna inglese che deve consegnare al suo editore per ièri». • Tutt' intorno la Londra abbarbicata al 'Tamigi, con le sue brume e i suoi umidi odori di fiume: un castello ovattato per un grande guerriero snob, pur se di misero sangue laborista. «Ma che cosa dice?», freme Follett fin nell'ultima radice brizzolata di cinquantatreenne precocemente incanutito di gloria e di successi. Non lo neghi: lei è lo snob classico. Noia e disprezzo per il mondo traspirano da tutti i pori... «Falso». Vediamo. Lei ama la campagna? «Assolutamente no. Tutto quel fango...» Quando viaggia che cosa cerca? «Chiariamo subito: se vado in India, non mi frega assolutamente niente di vedere il Taj Mahal. Idem per l'Italia. Sono stato un sacco di volte in Toscana, ma non mi ha mai sfiorato l'idea di andare a Firenze. Ci vanno già tutti». Se questo non è snobismo... «No. E' esattamente il contrario. Ma, visto che lei sembra deciso a darmi un'etichetta, passi per inverted snob. Le piace?». Arriccia le labbra nella sua risata nasale, leggermente adenoidea come la voce. Difficile dire se la sua sia una posa o se lui è veramente così. L'unica cosa chiara è che si diverte. Non c'è condiscen denza in quel che dice. E' attento, gentile, educato. Forse si trova soltanto in quella beata condizione umana, da tutti ambita, di essere ormai in grado di dire tutto quello che gli passa per il cervello e di comportarsi come se non esistesse né passato né presente: soltanto un fulgido avvenire. D'altra parte è comprensibile in una star contesa da tutti gli editori del mondo, viziata da anticipi stratosferici versati solo sulla promessa di un'idea e vezzeggiata dal cinema e dalla televisione. La cruna dell'ago, Il codice Rebecca, Triplo, L'uomo di Pietroburgo, Sulle ali delle aquile, I pilastri della terra, Notte sull'acqua e ora Una fortuna pericolosa: avere alle spalle un orto simile certamente aiuta. Dà sicurezza. Persino all'ex giovane gallese che, dopo aver esordito nel giornalismo sul casalingo South Wales Echo, si è poi fatto le ossa nel più degno London Evening News. Anni duri quelli: giornale e università. Una compagna amata e sposata frettolosamente a 19 anni per il solito incidente di percorso che capita a tutte le coppie focose: un pargolo in arrivo. E poi i sacrifici, gli straordinari, la riscrittura di testi mediocri per mediocri case editrici, le rate dell'auto da pagare. Fino a quell'intuizione straordinaria: «Se quel cane del mio collega era riuscito a piazzare un racconto per 200 sterline, perché a me non doveva succedere qualcosa di meglio, visto che ero decisamente più bravo?». Di lì la fortuna: a lui, figlio borghese di un borghesissimo funzionario delle tasse, tutto casa e fisco. A lui, fedelissimo socialista dell'Inghilterra mineraria, contestatore, pamphlettaro, spirito vivace e battagliero, sempre pronto ad accendersi per una giusta causa che mandasse al diavolo conserva¬ tori e conservatrici di tutto il mondo. Ma perché, ad un tratto, abbandonare il filone giallo? «Perché mi ero annoiato con le spie. Perché ogni volta .che mi veniva un'idea sembrava qualcosa già scritta non da altri, ma da me. E allora mi sono dedicato ai pilastri (in italiano, ndr). Io posso scrivere quello che voglio, saltare da un genere all'altro. No, non c'entra la lezione del giornalismo, la conoscenza della tecnica. E' solo qualcosa che ho dentro, che mi diverte profondamente». Ma che probabilmente ha gettato nell'angoscia i suoi editori... «Adesso che me lo fa venire in mente, sì. Erano... Come si può dire? Ansiosi? Sì: ansiosi, è la parola giusta...». Lo credo: li aveva dissanguati con ini anticipo da 15 miliardi e improvvisamente decideva di cambiar stile... «In compenso, non lo ero io. Al contrario, ad esempio, di John Le Carré che, volendo cambiar stile, lo era diventato. Il vero problema, però, non era la sua ansia, ma il fatto che non avesse niente da dire...». Gentile nei confronti del papà di Smiley e di tutte le spie... «Che le devo dire. Già non sopportavo il primo Le Carré, figuriamoci il secondo... Evidentemente, come dice la canzone, ci dev'essere qualcosa di sbagliato in me». Ma la spy story è davvero morta? «Certo che la guerra fredda era un bel catalizzatore. Ma attenzione: non è che quel periodo desse poi tutto quel gran materiale. Piuttosto rendeva la gente ansiosa. Scusi se mi ripeto, ma ansioso è uno di quei termini fondamentali nella vita di ogni giorno. E' la parola che spiega un mucchio di cose. Questa compresa: ora la gente è meno ansiosa. Tutto qui». Nasce quindi da questo funerale la moda del legai thriller, dei Turow e dei Grisham... «Già, anche se sono tutti e due molto bravi. Meglio Turow (con l'accento sulla o, please): ha più suspense, più costruzione». Passiamo alla famiglia: due matrimoni, cinque figli. «Da Mary, la mia prima moglie, ho avuto Emanuele, 25 anni, buon chitarrista e Marie Claire, 20 anni, iscritta all'Accademia drammatica». Barbara, che fino a questo punto della conversazione è stata tranquilla all'altro capo della stanza con la testa immersa nelle bozze, alza improvvisamente il mento, quasi a fiutare l'aria. Follett se ne accorge e sorride con aria complice: «E molto più anziana di me: una femminista cinquantenne e, per di più, sudafricana». Ma lei si limita a restituirgli il sorriso: quella musica la deve aver già sentita un centinaio di volte. Conosce le note di partenza e non aspetta il finale. Si ributta nel lavoro. Già, Barbara la vecchia... «Tira su un mucchio di soldi per il Labour Party e si spupazza la nipotina... Già, perché all'appello mancano i suoi tre figli, Jann, 29 anni, che fa la regista; Kim, 25 anni, colpevole di avermi reso nonno; e Adam il cucciolo, 19 anni...». E lei li usa tutti, indifferentemente, come primi lettori delle sue storie? «Sì, ma il migliore è Emanuele. E' un buon analista. L'importante però è che tutti finiscono, prima o poi, per metterci il becco. Siamo gente che sta bene insieme, noi... Qualche volta mi sento un bel padre vittoriano senza baffi, con tutta la sua grande famiglia intorno. Un bel gruppo affiatato che si muove all'unisono con amici, fidanzati e comparse varie verso teatri, cinema, ristoranti. A Lucca, quest'estate, eravamo in dodici. Ciascuno però ha molto spazio, nessuna ingerenza. Il motto è: stasera ho una manciata di biglietti. Chi viene?». Ecco come si spiega la sua «Fortuna pericolosa»: col desiderio di raccontare la saga di una famiglia. Ma perché non l'ha mai fatto prima? «Io non scrivo di cose che non conosco. E nel mio primo matrimonio tutto ciò mi era completamente ignoto. Forse è per questo che è saltato, non so. Ma il problema, su un soggetto, è di trovare qualcosa in cui identificarmi. Non mi importa di dove sono, se nel presente o nel passato, sulla luna o sul mare. Conta solo il fatto di avere un background, un retroterra a cui aggrapparmi. Anzi: prima o poi farò qualcosa su Marte. Mi affascina. A me basta un clic, che so una notizia alla televisione, sui giornali, perché la fantasia si accenda. E poi parto per il mio viaggio...». E quando non lavora? «Suono la chitarra. Ho una band. Alla domenica sera ci troviamo in un locale. Facciamo solo blues. Roba alla B.B. King, alla Eric Clapton. Oppure cinema, teatro: lo sa che sono capace di vedere per 10 volte la stessa commedia di Shakespeare e divertirmi come - e se non di più - della prima volta?». Vediamo di fare una classifica di autori. «In testa ci metto Stephen King: è perfetto, descrive bene la famiglia americana. I figli a scuola, il matrimonio che non va bene e i protagonisti che via via diventano mostri. Molto convincente. E tu rimani fregato alla prima pagina. Poi Wodenouse: il suo plot è brillante, impensato. Uno che trasforma l'ordinario in eccezionale. E, infine, Dickens: in pratica tutta gente che fa quello che non so fare io». Una cosa che odia. «I party dove non conosco nessuno». E una che ama? «Dieci amici a cena al ristorante». Non mi dica, lei ha amici? «Sì: politici di sinistra, parlamentari, attori»... Una cosa da snob, in sostanza. «Le ho già detto...». E' vero. Ma sul serio detesta la campagna per via del fango? «Glielo giuro. Io amo camminare e arrivare. Mi piace poter trovare un taxi. Che significato ha la vita se per muoverti sei invece costretto a sporcarti i piedi?». Già. E magari a perdere tempo tra gli Uffizi e il Taj Mahal? Piero Sona «Ogni nuova idea mi sembrava d'averla già scritta Così ho cambiato» «Il nuovo stile di John Le Carré? Io non sopportavo neppure il vecchio» Ken Follett è nato 53 anni fa - a Cardiff, nel Galles Nell'ultimo romanzo racconta una saga familiare, [disegno di .graphis annuauj