Tentazione «Littoria» a latina

//sindaco (rasi): vorremmo cambiar nome Smentite e mezze conferme alla proposta di un referendum Tentazione «littoria» a latina //sindaco (rasi): vorremmo cambiar nome LATINA DAL NOSTRO INVIATO La storia era finita sotto i piedi, sui pochi tombini sopravvissuti alla recente riforma delle fogne: tombini di ghisa con il fascio sopra e la scritta in stampatello: «Acquedotto di Littoria». Ma la storia ritorna sempre. E può avere la parlantina svelta e piena di «vero?» di Ajmone Finestra, primo sindaco missino della città fondata sessant'anni fa dai fascisti e governata negli ultimi quarantacinque dai democristiani. Contro il candidato delle sinistre. Finestra ha preso trentottomila voti, quasi il 60 per cento, quanto bastava per ridare orgoglio alla nostalgia. Signor sindaco, dobbiamo chiamarla podestà? «Podestà io? Ma le pare, vero?...», ridacchia colloquiale l'Aimone, che ha dieci anni più di Latina, anzi di Littoria, cioè, ecco: Latina o Littoria? «Latina, Latina». Ma non si sbaglia mai? «Qualche volta, ma solo nel mio cuore». Ridacchia ancora, con prudenza. Il caso gli è scoppiato addosso, praticamente inevitabile, nella notte del trionfo. I giornalisti a chiedergli: restituirà a Latina il suo primo nome? E lui, nell'euforia della vittoria: «La gente lo vuole, mi fermano per la strada. Faremo un referendum». Poi, dopo una notte di riposo e una telefonata con Fini, la sottile retromarcia: «Adesso no. Anche perché il referendum costa un miliardo, vero?, e i soldi ci servono per creare lavoro. Il problema del nome non è altrettanto urgente. Anche se esiste, vero? Gli ultimi pionieri sono ancora vivi». Abitano intorno al centro, sui terreni rubati alla palude oltre mezzo secolo fa: Borgo Bainsizza, Borgo Piave, Borgo Grappa, nomi che sono un retaggio. dell'Opera nazionale combattenti, il marchio originale di quei ragazzi veneti, romagnoli e friulani che ancora oggi si ritrovano nei bar a giocare a carte e a parlare della vita nel dialetto natale. Il sindaco, in fondo, si sente uno di loro: è arrivato qui dall'Umbria, da bambino. «Ogni generazione vive il suo tempo, vero? Chi è nato dopo la guerra potrà pensarla diversamente. Anche se mi sembra che i giovani desiderino questo ritorno alle radici. Vedremo: io non assumo l'iniziativa. Ma se i cittadini mi inonderanno di tv firme, vero?...». Insomma, Ajmone resta alla finestra, battuta fin troppo facile con quel cognome, aspettando che qualcuno di quelli che lo hanno votato faccia la parte più sostanziosa del lavoro. Qualcuno come l'avvocato Giorgio Zeppieri, conosciutissimo in città per i meriti professionali e poi per quella lettera con cui, due anni orsono, ottenne dal presidente del tribunale il ripristino della dizione originaria «palazzo fondato da Benito Mussolini» che oggi campeggia su un architrave dell'aula di corte d'assise. «Premetto che sono antifascista». Premessa accordata, avvocato, andiamo avanti. «Vede, mi sembrava una sciocchezza. Avevano raschiato via il nome del Duce e si leggeva soltanto: "Palazzo fondato da". Ma da chi? Insomma, qualcuno l'avrà pure fondato, questo palazzo?». E anche questa città. «Stesso discorso. Non è questione di nostalgia. E' che non si può far finta che Latina l'abbia fondata il Cln. Magari potrebbe anche farmi piacere, visto che mio padre ne faceva parte, come membro del partito d'azione. Ma non è così. Perché vergognarci delle nostre radici? Tanto più che fra le tante cose del regime, questa fu una delle poche fatte be¬ ne...». Disegnata in un mese e mezzo da Oriolo Frezzotti e inizialmente osteggiata dal Duce che al posto della città avrebbe voluto un «sito rurale», Latina/Littoria è un trionfo dell'architettura fascista, nel bene e nel male, con le sue strade squadrate e funzionali, ma anche un po' freddine, senz'anima. Giordano Bruno Guerri l'ha definita «la città più brutta del mondo», Bernar do Bertolucci se n'è innamora to al punto da rivedere in parte il suo giudizio sugli orrori estetici del ventennio. Fra i palazzi del centro si vedono strane scalfitture: sono i colpi mai rimarginati degli scalpelli che il 26 luglio 1943 staccarono i fasci dai cornicio ni delle case. In piazza Dante, un aratro di pietra reca ancora la scritta «Ai novissimi di Littoria». Prima di rilucidarla, il Comune aspetta il referendum. Già, ma chi lo vincerà? «Littoria, di sicuro», dice Pier Giacomo Sottoriva, studioso e memoria storica di questa città di storia e memoria cor rissime. «Potrebbe votare a fa vore anche qualcuno di sini stra. In fondo, tutti cercano una radice... Ci chiameremo littoriani. Littoriali no, fareb be ridere». Massimo Gramolimi Il neo eletto bloccato solo dal no di Fini Ma insiste: «Questa città cerca le sue radici» E l'idea fa breccia anche fra gli antifascisti :1 Ajmone Finestra il primo sindaco missino di Latina la città governata per 45 anni dalla de