I boy scout possono dir no agli atei di R. Cri.

Dalle canzoni ai fumetti, guerra al 25 dicembre: «Fermiamo gli sprechi» Corte suprema Usa I boy scout possono dir no agli atei WASHINGTON. L'immagine dei boy scout è salva, almeno secondo la legge degli Stati Uniti. La Corte Suprema americana, infatti, ha dato ragione all'associazione più famosa del mondo: è loro diritto rifiutare l'affiliazione di «atei ed agnostici». Il divieto non viola, secondo il massimo tribunale, le leggi anti-discriminazione degli Stati Uniti. Di conseguenza, guai a chi si azzarderà ancora ad avanzare solo l'ipotesi che i boy scout sono razzisti. Tutto era partito da una causa iniziata da un bambino di sette anni, Mark Welsh, che, entrando nei boy scout, si era rifiutato di sottoscrivere la formuletta imposta a tutti i nuovi adepti con la quale si doveva impegnare ad «adempiere al dovere verso Dio ed il Paese». La polemica fece il giro del mondo e a molti non parve vero di poter bollare di razzismo i ragazzini tuttofare. Secondo la Corte d'appello di Chicago, chiamata a giudicare in seconda istanza, la discriminante non rappresenta una violazione della legge sulla anti-discriminazione, in quanto i boy scout sono una «associazione privata» e quindi hanno tutto il diritto di richiedere alcune «qualità morali» ai loro associati. La Corte Suprema ha quindi sposato la tesi del tribunale di Chicago: «Riteniamo che la legge non possa applicarsi ai boy scout, perché non siamo di fronte ad un'organizzazione al servizio del pubblico», scrisse a maggio il giudice John L. Coffey nella sentenza ora recepita dalla Corte Suprema che mette il punto fine a questa diatriba. [r. cri.]

Persone citate: John L. Coffey, Mark Welsh

Luoghi citati: Chicago, Stati Uniti, Usa, Washington