«In nome della Serbia battèzzati»

8 L'ultimo orrore della guerra: i musulmani costretti a convertirsi per salvarsi «In nome della Serbia, battezzati» Riti di massa davanti alle moschee A migliaia imposti nomi cristiani ZAGABRIA NOSTRO SERVIZIO Filip una volta si chiamava Ferhad. Musulmano di Bijeljina, cittadina del Nord-Est della Bosnia, con una vita tranquilla - lavoro e famiglia - fino al momento dell'esplosione della guerra nel suo Paese. Dal giorno in cui i miliziani serbi sono entrati a Bijeljina, tutta la sua esistenza è cambiata. Di fronte al terrore dei serbi migliaia di suoi connazionali sono fuggiti. Prima della guerra in città c'erano 21 mila abitanti di cui due terzi musulmani. Non si saprà mai quanti di loro sono stati massacrati, quanti rinchiusi nei campi di concentramento serbi. Di certo è che a Bijeljina sono rimasti soltanto cinquemila musulmani. Ferhad è uno di loro. Ma per sopravvivere nella sua città occupata dalle forze serbe, e che oramai «appartiene» alla Repubblica serba della Bosnia, Ferhad ha dovuto cambiare il suo nome. In modo tale che non risultasse più musulmano. Ed è così che è diventato Filip. «Se uno decide di vivere in una repubblica serba, deve adattarsi» dice oggi Filip, che afferma di sentirsi cittadino a tutti gli effetti del suo «nuovo» Paese. Non ha nessun problema con le autorità e nega di essere stato sottoposto a qualunque pressione per cambiare identità. Ma secondo le testimonianze raccolte dal giornale britannico «The Guardian», a Bijeljina sono già 400 i musulmani che hanno adottato un nome serbo, e altri cento sono disposti a farlo pur di poter rimanere nelle loro case, nella loro città. In tutte le aree controllate dalle loro forze i serbi procedono infatti sistematicamente alla «pulizia etnica». Di fronte al terrore di nuove espulsioni moltissimi musulmani di Bijeljina hanno scelto di prendere un nome serbo. Anche se le autorità serbe negano ufficialmente, il cambiamento di nome è diventato prova di fedeltà allo Stato. Ma anche così non è «concesso» a tutti. Soltanto i musulmani «utili» hanno il privilegio di scegliere un nome serbo per cancellare la propria origine. Si tratta per lo più di uomini d'affari o professionisti benestanti e affermati. Per gli altri non c'è niente da fare. Prima o poi saranno costretti ad andarsene e ad abbandonare le loro case. A Bijeljina per loro non c'è futuro. I serbi hanno distrutto tutt'e sei le moschee della città, non lasciando la minima speranza di libertà di religione. L'intento è quello - tra l'altro apertamente confessato - di cancellare ogni traccia della presenza musulmana, ovvero di «serbizzare» tutti i territori conquistati con la forza. Dopo di che si potrà finalmente proclamare la nascita ufficiale della grande Serbia, o Unione degli Stati serbi, come la chiama il capo cetnico Arkan. Noto per le atrocità commesse dai suoi uomini in Croazia e in Bosnia, ex criminale ricercato dall'Interpol, Zeljko Raznjatovic alias Arkan, si presenta alle prossime elezioni di Belgrado con il suo partito serbo per la riunificazione. «Questo è il nostro sogno serbo - un popolo, una lingua, una Chiesa, un Parlamento, un presidente, un sogno - gli Stati Uniti di Serbia». Con questo slogan Arkan parte alla conquista del potere politico dopo aver tolto la sua uniforme di «signore della guerra». «Il mondo ci vuole buttare in ginocchio, ma noi siamo i santi serbi e crediamo in Dio. Un giorno sarà il mondo a chiedere perdono alla Serbia per tutto quello che ci fanno. La democrazia è nata in Serbia molti secoli prima della scoperta dell'America». E ancora: «Il Kosovo è santo territorio serbo e rimarrà serbo. Lì ci sono le nostre chiese e i nostri monasteri, e ne difenderemo ogni millimetro». Al nazionalismo scatenato di Arkan si accompagna dunque la mistificazione della religione ortodossa, tra l'altro riscoperta di recente perché il giovane Raznjatovic, figlio di un ufficiale dell'ex Armata popolare jugoslava, era vicino al regime comunista ed è stato assoldato come killer dai servizi segreti di Belgrado. Ecco perché per Arkan non basta che i musulmani cambino nome, ma devono altresì convertirsi. Soltanto allora verranno considerati cittadini degni di rispetto. La gente di Bijeljina non dimenticherà mai gfi orrori dei primi giorni di guerra, quando Arkan e i suoi sono entrati in città. Dopo aver massacrato decine di civili musulmani nel modo più brutale - sgozzando, amputando gambe e braccia, tagliando teste con le quali hanno persino giocato a pallone - di fronte alla moschea principale hanno costretto a un terribile rito di «battesimo» le loro vittime, sulle cui teste chine hanno versato litri di acqua minerale. Di fronte alla,minaccia continua che simili bestialità possano ripetersi, i musulmani di Bijeljina accettano la conversione. Sono in molti ad aver chiesto di passare alla religione ortodossa, ma i preti locali, dal timore di essere accusati di battezzare sotto pressione, per lo più rifiutano. Sono disposti a farlo soltanto nel caso di matrimoni misti. Gli altri musulmani di Bijeljina sono costretti ad andare a Belgrado per farsi battezzare. «Non ho altra scelta» dice una giovane donna che stringe in braccio una bambina. «Ho paura di dover di nuovo subire pressioni». La donna, musulmana, che prima si chiamava Albina e che ora porta il nome serbo di Svetlana, è stata scacciata con la figlioletta da Zenica, sua città natale, perché il marito, serbo, combatteva nelle file dell'esercito serbo-bosniaco. Si è rifugiata a Bijeljina, ma la situazione qui è peggiore. Non basta che abbia cambiato il nome, ma ora deve anche convertirsi. «Mi sento tuttora jugoslava» sospira «ma se potessi rinascere sceglierei un Paese il più lontano possibile dai Balcani». Ingrid Badurìna Di fronte al terrore serbo migliala di musulmani si stanno convertendo alla religione ortodossa

Persone citate: Albina, Ingrid Badurìna, Raznjatovic, Zeljko Raznjatovic