QUANDO GODARD E TRUFFAUT REINVENTARONO IL CINEMA di Bruno VentavoliLietta Tornabuoni

QUANDO GODARD E TRUFFAUT REINVENTARONO IL CINEMA QUANDO GODARD E TRUFFAUT REINVENTARONO IL CINEMA Cahiers du Cinema»: scoperte, battaglie, dandysmo nata Molinari, pp. 407, L. 48.000), completandola con una buona cronologia e con indici accurati. E' un libro prezioso, più colto che aneddotico, più esauriente che brillante. Comincia dalla preistoria della rivista: dalla passione per il cinema cresciuta dopo la seconda guerra mondiale; dal moltiplicarsi dei cineclub pure nelle scuole, nelle fabbriche o nelle periferie, diretti anche da tipi come Alain Resnais o Chris Marker; dalla Cinémathèque parigina guidata dal 1944 da Henri Langlois, cineuniversità internazionale, tana e culla amatissima; dall'ingresso nel linguaggio internazionale del termine «cinéphile»; dalle prime battaglie critiche come quella del 1946 intorno a Quarto potere di Orson Welles, che non piaceva al caro maestro di pensiero e rispettato filosofo Jean-Paul Sartre mentre piaceva a André Bazin, carismatica figura di collegamento dei giovani critici. Il libro finisce nel 1981, anno «che conclude un periodo», analizzando tappe e figure essenziali dei Cahiers. Per esempio? Il primo articolo che lancia e legittima culturalmente il trascurato Alfred Hitchcock, firmato Hans Lucas ma scritto da Jean-Luc Godard; le scoperte di Hawks, Ray, Siegel e dei film americani di serie B, del Rossellini di Viaggio in Italia, di Mizoguchi, poi di Riccardo Freda e Vittorio Cottafavi ma anche di Antonioni e di Vittorio De Seta. La «politica degli autori» proclamata da Francois Truffaut in un arti- colo del febbraio 1955 in occasione dell'uscita del film di Jacques Becker Ali Babà: «Basata sulla bella formula di Gira udoux "Non esistono opere, ci sono solo degli autori", la politica degli autori consiste nella negazione dell'assioma caro ai nostri predecessori, secondo il quale succede ai film quello che succede alle maionesi: riescono o non riescono». La trovata delle «Conversazioni» (non interviste né dichiarazioni, ma dialoghi dialettici con i registi) e dei «Dossiers» dedicati a un singolo autore. Rohmer e Rivette, Chabrol e Doniol, Comolli e Narboni. Il sostegno totale, acritico, alla Nouvelle Vague, con la copertina 1960 dedicata a Fino all'ultimo respiro di Godard. L'irrompere della politica, mentre i Cahiers avevano all'inizio consumato una loro rottura sia con l'accademismo universitario, sia con la militanza della sinistra ostile agli Stati Uniti e quindi a Hollywood: «La nostra teoria è fondata sulla scienza marxista del materialismo storico», proclama l'editoriale nel 1970. Il dandysmo feroce dei Cahiers du Cinema viene incluso da Assalto al cinema nella «serie delle successive infatuazioni» della rivista: «prima per la letteratura, poi per il rinnovamento delle scienze umane, la politica, la psicoanalisi, la semiotica...». Il successo di un «campo culturale» segnato da un'identità variabile ma netta, da un'intelligenza elitaria e autoritaria, da intransigenza partigiana, dal culto dell'essere esigenti soprattutto rispetto a oggetti d'analisi apparentemente sproporzionati, risiede secondo Antoine de Baecque in alcuni elementi che costituiscono anche oggi il fascino dei Cahiers du Cinema: vedere il cinema come emblema e allegoria del mondo; non saperne parlare «altro che in modo amoroso, in una inebriante identificazione o in una violenta denuncia»; seguire il percorso di «strade diverse, ma tracciate all'interno di una uguale passione». Insomma nell'idea che il cinema «si tratta non tanto di studiarlo, soprattutto di amarlo». esili, altrimenti siamo a inseguire con troppi aggiornamenti». C'è qualcuno che non sente l'esigenza di portare nel suo scaffale? «Salvatores, che non mi dice niente, o Tornatore, che ha un curriculum esiguissimo». Qualche occhiata alla lezione di «politica dell'autore» lanciata dai Cahiers du cinema? «Ci hanno insegnato a riscoprire cineasti. O per esempio che anche il secondo Rossellini è stato grande. Ma non ho mai potuto sopportare la loro arroganza craxiana nel dare giudizi perentori. Perché devono venirci a dire che certi film di Cottafavi sono "époustouflant", sbalorditivi?». Nella tribù dei castori, impeccàbili per gli apparati filmografici, ci sono però vistose discrepanze di stile e qualità nei testi. Accanto a pagine di grande leggibilità si annidano trappole di semiologhese arrabbiato. La nuova collana arginerà la furia creativa degli autori? «La chiarezza - dice Di Giammatteo - è sempre stata un obiettivo primario. L'ho sem pre pretesa, distribuendo decalo ghi cartesiani, ma sono anche stato costretto a ingaggiare faticosi duelli per sciogliere la scrittura di alcuni autori. E non sem pre è stato semplice». Bruno Ventavoli Lietta Tornabuoni UAKIUII lAKIH S.M1IKIO

Luoghi citati: Hollywood, Italia, Quarto, Stati Uniti