PIGRIZIA D'ARTISTA

PIGRIZIA D'ARTISTA PIGRIZIA D'ARTISTA Una «metamorfosi» di Colucci vivere, finisce inconsapevolmente, con il diventare un modello per Gustavo, ma in un modo totalmente sbagliato, perché l'inettitudine a vivere non si vince soltanto per forza d'esempi altrui. Così, non appena incontra una ragazza, Silvia, bella e disponibile, allieva ceramista e vicina, quindi, alla sua attività di pittore, ne subisce il fascino, le arti di seduzione, la conseguente tentazione di uscire dal guscio, e la sposa, per quanto sappia di essere poco virile; e così scopre il sesso e i fastidi della vita in comune nel matrimonio e anche i dubbi, i piaceri, i timori di inadeguatezza o di inganno, cioè tutti gli affanni e le gioie, pur limitate, che anche un pigro come lui può avere in pena o in premio della scelta di vivere almeno un poco. Il romanzo si sviluppa come la testimonianza del narratore intorno agli eventi, ora comici, ora patetici, ora anche drammatici della vita di Gustavo sposato. Che non ha affatto superato i suoi timori di fronte all'esistenza, ma si trova combattuto più acutamente e penosamente fra il vagheggiamento della tranquillità perduta, della pigrizia ideale del non vivere se non a metà, ai margini, nel nido sicuro e tranquillo con la zia sempre più decrepita, e le esi- genze della moglie, i condizionamenti dello stare insieme, le difficoltà della sopportazione reciproca. Incapace in fondo d'amore come di ogni impegno, Gustavo finisce con il correre, più o meno consapevolmente, verso l'autodistruzione come unica soluzione possibile dei suoi problemi; e lo fa con ironia, con lampi di grottesco umorismo nero, al tempo stesso irretendo sempre di più l'amico medico nei suoi ragionamenti capziosi e sofistici, nella sua dialettica continuamente tesa a mostrare le irrisolvibili contraddizioni della vita, di ogni vita, anche di quella dell'amico tanto più navigato, ma anche consapevole di un invecchiamento che gli porta via gran parte della sua sapienza del reale. La malattia, che all'inizio sembra nulla, diviene a poco a poco mortale: né si sa se Gustavo ne sia cosciente. Silvia è stata costretta ad abortire un anno prima, perché Gustavo non vuole eredi: ma con lui malato a morte tutto si può comporre e Silvia può sperare in una consolazione. Di qui la conclusione, fra il sublime e il grottesco, la beffa e il testamento patetico: Silvia è di nuovo incinta, e allora Gustavo raccomanda all'amico medico e ormai tristemente scapolo di sostituirlo come marito e padre. E' quasi una postuma vendetta nei confronti di chi l'ha condotto a una vita che non voleva. Ed è il degno coronamento di un romanzo sottile e un poco perfido nella sua eleganza, col trionfo, poi, del gioco e del grottesco che finisce a coinvolgere anche la morte nella congiura del pigro Gustavo, infine ribelle all'errore di vivere e di agire che è stato costretto a compiere. Giorgio Bèrberi Squarotti Carlo Felice Colucci Il gatto e il Rembrandt Rusconi pp. 167. L 28.000

Persone citate: Carlo Felice, Colucci, Giorgio Bèrberi Squarotti, Rembrandt