I maestri predatori

La seconda «lezione americana» del compositore: fra musica e letteratura, l'arte di tradurre La seconda «lezione americana» del compositore: fra musica e letteratura, l'arte di tradurre / maestri predatori Dopo Italo Calvino e Umberto Eco, un altro intellettuale italiano è stato invitato dalla prestigiosa Università di Harvard a tenere un ciclo di «lezioni americane». E' Luciano Berio, il grande compositore e direttore d'orchestra, instancabile esploratore della musica strumentale, della vocalità, del suono fino agli estremi confini della sintesi elettronica, che ha sempre coltivato un intenso rapporto con la letteratura e gli scrittori, da James Joyce al suo amico Calvino. Il titolo del ciclo è «Remembering the Future». Pubblichiamo una parte della seconda lezione, sul tema «Tradurre la musica». EA musica viene tradotta, apparentemente, solo quando ci si trova costretti, per ragioni specifiche, a passare dall'esperienza concreta a una sua descrizione verbale o dal suono di uno strumento a quello di un altro. Ma in realtà questo bisogno è così diffuso e continuo che siamo portati a pensare che la storia della musica sia, in effetti, una storia di traduzioni. Forse tutta la nostra storia e il divenire della nostra cultura è un'antichissima storia di traduzioni. Vogliamo possedere il mondo e quindi traduciamo tutto: da tutte e in tutte le lingue, le cose, i concetti, i fatti, le emozioni, il denaro, il tempo che passa e, naturalmente, la musica. Tradurre implica interpretare. I settanta saggi di Alessandria che tradussero la Bibbia in greco «inventarono» l'ermeneutica. Siamo consapevoli delle grandi migrazioni letterarie avvenute in questo secolo nel flusso costante delle traduzioni, siamo consapevoli delle implicazioni della traduzione tedesca della Bibbia di Lutero, della traduzione francese del Bill of Rights americano e degli intrecci culturali e spirituali che si sono instaurati fra greco e latino, fra latino e volgare, fra ebraico, greco e latino - quando la traduzione era, appunto, interpretazione di un testo e le acquisizioni non avvenivano sulla base di un rapporto monolineare fra una lingua di partenza e una lingua d'arrivo. Si trattava di una pluralità di rapporti che, in altre forme, si può toccare con mano anche oggi, negli scambi e nei prestiti che avvengono fra lingue egemoniche (come l'inglese di oggi, per esempio) e lingue nazionali, fra lingue nazionali standard e dialetti locali, fra tradizioni orali e tradizioni scritte. E' forse possibile che le osservazioni sulla traduzione letteraria possano venire applicate, per analogia, alla traduzione musicale, cioè alla trascrizione? E' certamente possibile, anche se c'è una differenza sostanziale fra un testo scritto che tutti possono leggere, interpretare e tradurre e una partitura da eseguire. Tuttavia la lingua può essere non solo uno strumento di comunicazione pratico e convenzionale: può essere anche letteratura, prosa e poesia. La musica, invece, è sempre e solo «letteratura» e le sue trascrizioni spesso implicano un vasto e complesso intreccio di interazioni. (...) Ci sono opere letterarie che resistono alla traduzione e che possono essere solo interpretate, parafrasate, descritte o commentate. Per esempio, una traduzione di Le livre di Mallarmé o dei Finnegans Wake di Joyce non avrebbe molto senso, anche se il tentativo può condurre a significative esperienze collegate solo tangenzialmente con la intraducibilità del testo. Le ragioni di questa difficoltà hanno qualcosa in comune con l'esperienza musicale. In Finnegans Wake, le immagini, la dimensione sintattica, fonetica, iconica e gestuale creano una serie di cortocircuiti semantici, una polifonia di associazioni, che non permettono espressioni ed enunciati alternativi. In questo complesso e movimentato paesaggio, i vecchi «significanti» e «significati» di saussuriana memoria, tendono a diventare una sola e indivisibile cosa. Lo stesso accade nella maggior parte della musica di questo secolo. Tradurre Finnegans Wake, Le livre, la poesia di E. E. Cummings o altro, sarebbe come trascrivere Jeux di Debussy, la Musica per archi, celesta e percussione di Bartók, il Marteau sans Maitre di Boulez, Gruppen di Stockhausen o la maggior parte dei miei intrascrivibili lavori. Si tratterebbe cioè di una operazione arbitraria e distruttiva imposta a opere che traggono il loro senso anche dalla totalità dei caratteri acustici delle loro funzioni musicali, dai loro specifici rapporti sonori e dalla «tematizzazione» di quei rapporti. (...). La letteratura può essere trascrizione di tecniche narrative orali che si perdono nella notte dei tempi. Ulisse racconta le sue avventure, adattandole alle aspettative e alle convenzioni di chi l'ascolta. Era un bugiardo? Se l'Odissea non fosse la traduzione di fonti e di tecniche orali, forse Ulisse non sarebbe considerato un eroe tanto astuto. Anche la musica può appoggiarsi a trascrizioni di tradizioni orali. Avendo molto imparato da Bela Bartók, sono particolarmente sensibile alla possibilità di assimilazione di tradizioni orali. Ma la musica non può guardare molto indietro ed esplorare creativamente un passato molto lontano. I suoi strumenti, i suoi materiali e le sue funzioni non sono così permanenti come possono esserlo una pergamena o le pagine di un libro. La musica è vulnerabile. Possiamo leggere, tradurre e discutere Omero in profondità ma, anche con l'aiuto di una Musurgia Universalis, possiamo solo teorizzare e immaginare vagamente come poteva essere la musica greca: non la si è mai ascoltata in tempi ragionevoli. (...) Nel Medioevo, melodie profane venivano adattate e trascritte per la liturgia. Innumerevoli melodie popolari hanno attraversato in lungo e in largo l'Europa, sottoposte a continue trasformazioni e facendo la loro apparizione nei luoghi e nei tempi più impensati, com'è il caso di una canzone bretone che diventa il Tenor nei Vespri della Beata Vergine di Monteverdi. (...). Nel XV e XVI secolo la musica strumentale sviluppa la sua autonomia come una trascrizione di musica vocale e diventa un'estensione di questa. Trascrivere per un solo strumento (il liuto) parti di una polifonia vocale, è stato un elemento fondamentale nella nascita della melodia accompagnata. (...) Fino a Beethoven, ogni forma musicale acquisita era una citazione e un commento e, quindi, anche una forma di trascrizione. La Giga era una legittima abitante della Suite. Il vasto processo di trasformazioni e di trascrizioni che ha coinvolto tanto quella for¬ ma di danza quanto il suo contenitore occasionale (la Suite), dal secolo XVI a Schoenberg, è molto significativo. La pratica, le possibilità e i bisogni di trascrizione erano parte organica dell'invenzione musicale ed anche un passaggio obbligato nello sviluppo professionale di un musicista. La trascrizione musicale, dunque, vista in una prospettiva storica sufficientemente ampia, implica non solo interpretazione ma anche processi evolutivi e di trasformazione. (...) Anche copiare, che è la forma più semplice di trascrizione, era un'importante esperienza di apprendimento. Il giovanissimo Mozart copiava qualsiasi cosa gli suggerisse Leopoldo e, più tardi, ha trascritto il Messia di Hàndel e ha copiato Bach. Pare che Schubert abbia copiato la Seconda Sinfonia di Beethoven. Lo stesso Beethoven ha copiato il Messia, alcuni quartetti di Mozart, il Don Giovanni, Il Flauto Magico e alcune parti del Requiem. Brahms ha copiato molti Lieder di Schubert. Copiare, come trascrivere, implica una certa identificazione col testo (e, quindi, anche una certa generosità). Walter Benjamin ha detto che «il semplice atto di copiare implica una sorta di vocazione alla santità. (...). La forza di un testo non è la stessa se si legge o se si copia. Copiare significa essere il testo che si copia». Penso che il copiare di Schubert, Beethoven, Brahms e molti altri, fosse abitato dallo stesso sentimento. La trascrizione è stata, ed è ancora, un mezzo di diffusione. Dall'inizio dell'Ottocento la divulgazione della musica avveniva soprattutto attraverso le trascrizioni per pianoforte a quattro mani, l'equivalente senz'altro meno passivo anche se meno accurato del CD e della radio di oggi. (...) Schoenberg, con nostro grande sollievo, ha trascritto per orchestra il suo Tema e Variazioni Op. 43, originariamente scritto per stranienti a fiato. Ha anche trascritto, in maniera assai problematica, Brahms, Bach, Hàndel e Mahler. Con Webern, invece, la trascrizione diventa una forma di penetrazione musicale, com'è il caso della sua versione del Ricercare a sei voci dell'Omertà Musicale e l'ammirevole, «brahmsiana» trascrizione per quintetto con pianoforte della Sinfonia da camera op. 9 di Schoenberg. E' un caso, questo, dove la trascrizione diventa un trasparente atto d'amore e di apprendimento. (...) Le trascrizioni e ri-trascrizioni di Boulez del suo stesso lavoro costituiscono un aspetto importante del suo processo creativo e delle sue visioni proliferanti. (...) Mauricio Kagel ha trascritto e continua a trascrivere tutto quello che incontra. (...) Anch'io ho trascritto molto e, quando non ci sono ragioni pratiche o personali, le mie trascrizioni sono sempre dettate da considerazioni analitiche. Ho sempre pensato che il miglior commento a una sinfonia sia un'altra sinfonia e credo che la terza parte della mia Sinfonia sia l'analisi più completa e profonda dello Scherzo della Seconda Sinfonia di Mahler che avrei mai sperato di poter condurre. La stessa cosa è vera per il mio Rendering per orchestra, che è il mio atto d'amore per Schubert e i suoi schizzi per una Decima Sinfonia che l'hanno impegnato nelle sue ultime settimane di vita. Con la mia trascrizione dei Lieder giovanili di Mahler ho voluto portare alla luce le presenze nascoste nella parte pianistica: Wagner, Brahms, Mahler maturo e modi di orchestrazione a lui successivi. (...) Se ci allontaniamo dalla nostra sfera culturale e, per esempio, andiamo in Africa, le possibilità di trascrizione cambiano considerevolmente. (...) Nell'Africa Centrale c'è una piccola comunità (i Banda Linda) che potremmo definire «molto musicali», se i membri della comunità avessero la nostra nozione di musica. In gruppi di circa quaranta persone, soffiano in lunghi tubi di legno ognuno dei quali produce un solo suono. (...) Quando tutti soffiano ci giunge qualcosa che sta a metà fra una cattedrale sonora e una implacabile macchina musicale. (...) Ho studiato il meccanismo (guidato dall'etnomusicologo Simha Arom) per estendere il procedimento in direzioni diverse scoprendo, fra l'altro, che le immobili e monumentali eterofonie dei Banda Linda erano correlate con procedimenti pre-polifonici europei del XIII e del XIV secolo. Io non credo che Adamo, nel famoso giardino, abbia mai ricevuto il dono divino di una grammatica musicale universale, votata alla distruzione con la Torre di Babele. Oggi per me è stato come gettare una bottiglia in mare con dentro un cauto e circospetto messaggio. La musica sembra darci, ogni tanto, timidi segnali dell'esistenza di organismi innati che, opportunamente tradotti e interpretati, sembrano aiutarci a isolare gli embrioni di una grammatica musicale universale. Non credo che la scoperta di elementi comuni possa rendersi utile alla creatività musicale e neanche all'utopica prospettiva di un linguaggio musicale comune che permetta ai musicisti di parlare e di essere unanimemente parlati. Penso invece che possa contribuire a esplorare la musica come linguaggio di linguaggi e a sviluppare uno scambio costruttivo fra culture diverse e a una pacifica difesa di quelle diversità. Speriamo. E intanto continuiamo a tradurre. Luciano Berio (a cura di Luciana Galliano) Copyright 1993 Harvard University Press Mozart ha copiato Haendel. Beethoven ha copiato Mozart E Brahms, Schubert Nell'immagine grande Luciano Berio sul podio. Qui sotto Italo Calvino, che lo ha preceduto nelle «lezioni americane» di Harvard. A Fianco Ludwig van Beethoven e Wolfgang Amadeus Mozart. In basso Johannes Brahms

Luoghi citati: Africa, Africa Centrale, Alessandria, Fianco