Così il nazista di Sartre sceglie la morte di Osvaldo Guerrieri

Così il nazista di Sartre sceglie la morte Successo al Carignano de «I sequestrati di Altona» diretto da Walter Le Moli con la Pozzi e Di Iorio Così il nazista di Sartre sceglie la morte Sergio Fantoni nella dissoluzione di una famiglia «colpevole» TORINO.«I sequestrati di Altona» è l'ultimo dramma composto da Jean-Paul Sartre. Consiste in cinque, straripanti atti che, come un nodo scorsoio, si stringono progressivamente intorno ai cinque membri della famiglia Gerlach fino a immobilizzarli nella dissoluzione. Il tempo storico è il dopoguerra tedesco, con tutti i sedimenti di colpa, di condanna, di rimorsi che nessuno è riuscito a smaltire, nonostante la rinascita civile propiziata dagli stessi vincitori. Il rinnovamento interiore risulta impossibile poiché è ancora troppo vivo il peccato politico che i padri hanno trasmesso ai figli. Così dice Sartre. E da questa tesi etico-ideologica ci mostra la parabola auto-distruttiva di una famiglia alto borghese, il cui Padre sta per morire di cancro e la cui convivenza è minata non solo dalle deviazioni e dalle fragilità individuali, ma soprattutto dalla presenza-assenza di un fantasma. Franz, il figlio maggiore, vive segregato da 13 anni in una stanza dell'immensa casa. Ufficialmente è fuggito in Argentina per sottrarsi al processo contro i nazisti; in realtà si nasconde persino ai familiari per non vedere la rinascita della Germania, per non pensare a una colpa non espiata, per non guardare la felicità concessa ad altri ma non a lui. Alla fine accetterà di vedere suo padre, e quindi di rientrare nella vita, grazie alla mediazione della cognata Johanna. Ma incontrare il padre significherà convincerlo che le loro colpe sono indivisibili. Per questa ragione correranno insieme su un'automobile ad annegarsi nel fiume. Proporre oggi un dramma così imperfetto, così debordante e immobile come «I sequestrati di Altona», significa precipitare in una lontananza vertiginosa dai contorni molto sfocati. Ma lo Stabile di Parma e quello Abruz¬ zese hanno voluto tentare la scommessa e hanno allestito uno spettacolo che, tradotto e drasticamente sfoltito da Enzo Siciliano, non manca di colpire lo spettatore con staffilate dialettiche inaspettatamente vitali. Diretto da Walter Le Moli, «Sequestrati» termina oggi le proprie repliche al Carignano. Dramma di parola, dunque. Non di parola-azione come nel teatro classico, ma di parola-situazione; quasi che l'intero copione sia il commentario di un prima o la preparazione di un dopo, senza che parola e azione sentano il bisogno di coesistere e di colmare il vuoto del centro. Si può capire allora la difficoltà che un testo come «Sequestrati» pone a tutti coloro che lo interrogano. E bisogna dare atto a Walter Le Moli di avere lavorato in modo assolutamente egregio, fingendo magari di avere a che fare non con Sartre ma con Strindberg e cercando perciò di con- centrarsi sulle verminosità di una famiglia, molto al di là dei rovelli storico-politici che le hanno determinate. Nell'interno sontuosamente stilizzato di Bruno Buonincontri, Sergio Fantoni ha incarnato un Padre granitico nel compor tamento e nelle parole, ma lace rato nell'intimo del proprio esse re. Elisabetta Pozzi è una Johan na fervida, vitale, ansiosamente libera come una donna strin dberghiana (e non a caso). Bruna Rossi è una Leni ragazzinesca nell'improntitudine, ma ombreggiata dal segreto dell'amore incestuoso che la lega a Franz. Il quale è Piero Di Iorio, impeccabile nella simulata follia e negli spasimi dell'uomo sconfitto dalle idee. Conclude il cast Franco Castellano, che dà il giusto tono all'inettitudine di Werner. Pubblico attentissimo che, alla fine, si è sciolto in lunghi applausi. Osvaldo Guerrieri

Luoghi citati: Argentina, Germania, Torino