Bevilacqua un «ladro» nella culla di Buddha di Marco NeirottiAlberto Bevilacqua

Bevilacqua, un «ladro» nella culla di Buddha In viaggio con lo scrittore tra i monasteri del Sikkim e i Lama reincarnati: business e fede Bevilacqua, un «ladro» nella culla di Buddha «Su queste montagne qualcosa curagli affanni dell'anima» GANGTOK (Slkklm) DAL NOSTRO INVIATO Le bandiere bianche sventolano intorno al tempio di cinque colori: bianco, oro, rosso, blu e verde. Vento, sole e pioggia diffondono nell'aria le preghiere scritte sulle sete. Nell'ombra dei monasteri, i monaci bardati di vesti rosso porpora - anziani, giovani, e tanti bambini dai capelli rasati - pregano e chiamano gli spiriti protettori: salvaci dall'ira, difendici dalla paura, facci resistere all'acrimonia. E' la puja, la cerimonia buddhista attraverso la quale questa gente di montagna e di pensiero libera la mente da quelle che noi chiamiamo nevrosi. Il piccolo Buddha di Bernardo Bertolucci sta per entrare nei cinema. Ed eccoci qui, fra i piccoli Buddha, i piccoli Lama, i piccoli reincarnati, che guidano la puja alteri e sicuri. Solenne fra i tappeti e cuscini del monastero di Rumtek, il Lama Tai Situ Rimpochè dice: «Voi, fra pochi occidentali, avete il privilegio di assistere a questa cerimonia». Grazie, Lama: a fine cerimonia, i public relations men della Mondadori distribuiranno dollari e rupie. Mondadori, appunto. Siamo qui, nella culla del buddhismo perché qui ci ha portati la casa editrice di Segrate, con Alberto Bevilacqua, che fra queste montagne ha chiuso - in un metafora sulla speranza, sulla salute degli affetti umani - il romanzo Un cuore magico. Scusi, Bevilacqua, lei che ci guida in questo ex principato che fu terra «in affitto» per battaglie altrui, in questo verde magico che ospita gli esuli del Tibet occupato dai cinesi, tra foreste e monasteri, lei crede davvero che ci porteremo a casa qualche insegnamento? Be¬ vilacqua risponde pacato: «Io sono anarchico, un ladro di religioni. Rubo quello che serve alla spiritualità. Non credo alla messa in scena del buddhismo come a quella del cattolicesimo. Però sento la forza, la spiritualità che qui si può cogliere». Così, ai piedi dell'Himalaya, proviamo a cercare invano spiritualità nelle strade di Gangtok, capitale del Sikkim, che è la culla del buddhismo. Bevilacqua, non le pare un po' troppo? non potevamo parlarne a Roma, o a Milano? «Rispondete voi. Avete sentito qualcosa qui?». Sì. Qualcosa si sente. E non sono le vacche che attraversano i viali di Delhi, non è il pulmino che arranca dalle stradine del Bengala verso il Sikkim, con le ruote che sfrigolano sulla ghiaia che si sbriciola nei baratri. E' il mistero di queste cerimonie, dove si intrecciano parole a volte con e a volte senza senso, e battiti di mani e schiocchi di dita che «allontanano le influenze negative». E bordate sul tamburo, squilli di trombe. Ai piedi della foresta, Gangtok è città commerciale. Vanno e vengono i pullman, i camion, uomini e ragazzini si caricano sulla schiena gerle piene di ghiaia per le case in costruzione. C'è anche un cinema: una casaccia di assi di legno, con un televisore, un videoregistratore e una cassetta: proiettano un giallo, pistole e cazzotti. Lungo tornanti e curve improvvise, ci sono villaggi di baracche, capanne di terra, sterco e bambù. Rumtek, Phodong, Labrang sono i monasteri: eccoli i rimpochè, i «preziosi maestri», i reincarnati. Tinley Tulku ha 18 anni, è occidentale, madre americana e padre francese: aveva due anni quando si è deciso che nel suo corpo viveva un Lama. A Rumtek ci portano a vedere, reggendolo fra le braccia, come un'offerta e un esempio, Kaki Rimpochè, bimbo di tre anni già «padrone» di un monastero: ha lo stesso sguardo dei grandi saggi, la medesima quiete. E' ancora un bambino? In basso, a poche ore di volo, c'è l'India della miseria, della malaria, della lebbra. C'è Delhi con nove milioni di abitanti, un terzo compresso nella città vecchia. Lungo la strada i macachi s'affacciano ai pochi paracarri per guardare i pullman. Nei monasteri, cani ciechi, rognosi, deturpati da escrescenze, bastonati e offesi, vengono, con uccelli malandati, a spolpare le offerte che il monachino più piccolo lancia nel cortile, dopo la puja, quando carni e sangue si sono caricati di energie positive. A Labrang, in montagna, davanti alla catena dell'Himalaya che si colora di nero quando le nuvole circondano le vette, i monaci danzano roteando nell'unico cerchio di sole, al ritmo di un tamburo inflessibile. Scusi Bevilacqua, lei crede davvero che sia qui la cura dei nostri mali mentali? «No, non è questo». E allora? Una donna entra in un tempietto grosso come una cabina di spiaggia, a due passi dal ponte e dalla sua capanna di terra e canne. Dice Bevilacqua: «Quando dico che sono la dro di religioni, voglio dire che esiste una spiritualità magica, una grandissima possibilità di libera zione per chi soffre. Se ne colgono frammenti». Abbia pazienza, proprio qui na sce la moda del buddhismo... «La moda prende tutto, dal business alle apparenze, dalla filosofia all'è steriorità. Io credo che si possano sentire magie, individuare sentieri per la propria serenità degli affetti, E fra queste montagne questo c'è, al di fuori di esibizionismi, rituali ricerca affannosa di adepti». Un bimbetto viene a chiederci di esse re fotografato. Non ha l'orgoglio dei Lama. Marco Neirotti Un bambino di tre anni altero e impassibile: in lui vive un vecchio maestro Alberto Bevilacqua con il Lama reincarnato

Luoghi citati: India, Labrang, Milano, Roma, Segrate, Tibet