Il trionfo dei demagoghi di Mirella Serri

Un pamphlet delgrecista Luciano Canfora: da Togliatti elngraoaFini ePannella, «buoni» e «cattivi» Ne siamo tutti vittime, mai come ora: dalla politica al mercato, esiste ancora una via di scampo? dei DEMAGOGHI wylN mestieraccio, il politico I di professione. Lo riconoI sceva persino Aristofane: I I «Ormai la guida del popoA«_l lo (demagogia) non tocca più a persone bene educate e perbene, è andata a finire nelle mani di un ignorante schifoso». Un mestiere antico e «schifoso» che non ha mai goduto di troppa stima: «In principio erano le persone perbene che facevano i demagoghi», osserva Aristotele. Ad Atene c'erano i capi del «demo» e i capi dei «nobili», ma, con il salire sulla scena politica del popolo, sono arrivati i lestofanti, i bugiardi, i truffatori a colpi di parole. «Conquista il popolo con gustosi manicaretti di parole, tutti gli altri requisiti per la demagogia li hai - osserva ancora Aristofane -; una voce repugnante, origini basse, volgarità». «Non è sempre stato così. In origine demagogia voleva dire semplicemente leadership, era un termine neutro. E' difficile essere precisi sul periodo in cui la parola acquista i connotati negativi che l'hanno caratterizzata fino a oggi», spiega il grecista e storico del pensiero politico Luciano Canfora. Alla «demagogia» ha dedicato il suo ultimo, polemico libretto edito da Sellerio, in cui segue le evoluzioni dell'oratoria politica fino ai nostri demagogici giorni. «Intorno al 424 a.C, anno in cui fu rappresentata Cavalieri, la commedia dove Aristofane parla di demagogia, il termine indicava, semplicemente, far politica con un ruolo di spicco. Ad Atene, con il crescere dell'importanza politica dei nullatenenti, delle frange più marginali della società, lo stile cambia e progressivamente si consolida il significato deteriore». Per conquistare, per sedurre, per far breccia nel cuore dei meno ricchi e dei meno sapienti si usano tutti i mezzi, soprattutto la logorrea, e i politici finiscono per essere affetti da una malformazione di natura professionale: «Il veicolo della demagogia è la parola - osserva Canfora -, la polemica socratica e poi platonica si scaglierà contro la retorica per denunciare il carattere ingannevole del discorso politico». Folle calamitate, adunate conquistate: truffaldina, piena di trabocchetti, la vis oratoria è una forma di adescamento. «Ecco un esempio che calza a pennello per i giorni nostri - dice Canfora -: Lisia, grande oratore e "logografo", precursore della figura del moderno avvocato, stendeva i discorsi che poi i clienti dovevano leggere da soli in tribunale per perorare la propria causa. Un giorno scrisse una difesa e la consegnò alla persona interessata che, sul momento, si convinse della bontà del testo. Ma a casa il cliente rileggendolo ci ripensò. Portò indietro lo scritto dicendo che non gli piaceva. Lo devi leggere una volta sola, in tribunale, controbatté Lisia. Così è per il comizio e l'intervento in Parlamento: come dai tempi degli ateniesi, hanno una finalità immediata e non scientifica. Soprattutto in regimi parlamentari complessi come il nostro, lo scopo è di tirare comunque dalla propria parte e non di persuadere, in tempi estremamente rapidi. Quando si discute una legge, gli interventi sono mirati a sgominare l'avversario, a vincere sul nemico e non a migliorare un provvedimento». Il saggio di Canfora ripropone la voce «demagogia» che il volume Scienze sociali dell'enciclopedia Treccani gli aveva commissionato e solo in parte pubblicato, escludendo proprio la parte più polemica in cui lo studioso si dedicava alle moderne implicazioni del termine: «Comunque mi pare che parlare di demagogia sia adeguato al momento in cui stiamo vivendo. Con la riforma elettorale, la battaglia politica, come ha ben dimostrato in questi giorni la dura contesa per la carica di sindaco a Napoli, Roma, Venezia e Genova, è sempre più personalizzata e dunque inevitabilmente piena di finalità demagogiche». Ma intanto per secoli, almeno fino al Seicento, la demagogia era scomparsa dal lessico degli studiosi e dei letterati. Per ritornare alla ribalta con la rivoluzione francese: «Allora - afferma Canfora - è emersa una difficoltà concettuale che perdura ancora oggi. I grandi nemici della rivoluzione, come lo storico Francois Furet, oscillano nell'usare l'aggettivo demagogico. Lo intendono sia nel senso che il popolo trascinava i capi, che nel significato opposto: dei leaders che, invece, modellavano come creta le masse». La voce «demagogie» nel Grand Dictionnaire di Pierre Larousse denuncia l'uso strumentale del termine, mentre la spagnola (e franchista) Enciclopedia universa! illustrada europeoamericana fa rilevare che la rivoluzione e la Costituzione del '93 sono esempi tipici di dominio demagogico. Tanto la destra che la sinistra appaiono riconoscersi e specchiarsi in un denominatore comune. «Non è proprio così - dice lo studioso -, esiste una demagogia pedagogica dai tratti positivi. Per esempio quella di Togliatti, un uomo politico che non si preoccupava solo di arringare, ma faceva riferimento al sistema di pensiero in cui credeva fermamente. Voleva "convertire" alle sue idee e aveva uno scopo educativo. Esiste anche una demagogia negativa, da Mussolini a Maurras. La demagogia trascinava la folla e la poteva condurre tanto alla democrazia che alla monarchia o all'aristocrazia. Stalin come parlatore era noiosissimo, mentre Goebbels era capace di far faville facendo appello a tutti i più bassi istinti». E oggi? Che voti dà Canfora in demagogia ai nostri politici? «Oggi, Fini cerca di imitare la demagogia di destra, ma al confronto di Almirante, che aveva avuto la sua formazione alla scuola della Repubblica di Salò, è una pallida controfigura, una copia sbiadita. Almirante aveva un'oratoria ducesca, tracotante, che Fini non possiede. Rutelli non è un gran demagogo. E poi c'è l'agitazione fine a se stessa, senza ideologie, senza un sistema di idee, come quella di Pannella, enfatico parlatore. Craxi s'imponeva per la sua retorica, ma la gente lo stava a sentire per la suggestione del potere, per timore reverenziale della sua arroganza. A sinistra sembrerebbe usare le arti retoriche Ingrao, ma in realtà finisce quasi sempre in lunghi monologhi, in sedute autocoscienziali». Grandi agenti di demagogia sono poi per Canfora i mass media, in particolare la tivù, e gli stadi, occasione unica di mobilitazione delle masse, di manipolazione politica e di formazione di clientela elettorale. «Le tifoserie sono il terreno di coltura, dove attecchiscono tutti i peggiori discorsi demagogici, dove si scatena il campanilismo che si trasforma in neorazzismo, di città contro città, di regione contro regione, del Nord contro il Sud. Dal fiorire della demagogia nella società moderna ci possiamo aspettare tutto: anche l'esplosione della violenza fratricida per cui non mancano le premesse». Mirella Serri Un pamphlet delgrecista Luciano Canfora: da Togliatti elngraoaFini ePannella, «buoni» e «cattivi» DEMA

Luoghi citati: Atene, Genova, Napoli, Roma, Salò, Venezia