«la nostra strage cancellata» di Enrico Deaglio

Tre anni fa un jet cadde sulla scuola uccidendo 12 ragazzi, negata l'assistenza per cure ai superstiti Tre anni fa un jet cadde sulla scuola uccidendo 12 ragazzi, negata l'assistenza per cure ai superstiti «la nostra strage icmellcitu» Casalecchio non perdona lo Stato UNA FERITA MAI CHIUSA L m CASALECCHIO m ISTITUTO tecnico com¬ merciale Salvemini ha da tre anni una nuova sede e, come tante altre scuole in Italia, è in agitazione. Qui sono quasi tutte ragazze che diventeranno ragioniere o periti aziendali. Hanno occupato, hanno formato gruppi di discussione autogestiti, hanno indetto assemblee, hanno parlato con i professori del decreto tagliaclassi e della riforma Jervolino. La scuola è nuova, bella, sembra di quelle che si vedono nei telefilm americani. I corridoi spaziosi, i laboratori moderni, una bella biblioteca, un auditorium. La vecchia scuola è distante poche centinaia di metri, sigillata da tre anni per ordine del magistrato. Sul prato davanti all'ingresso nessuno taglia più l'erba. U muro del primo piano è squarciato da un buco: il buco provocato dall'aereo. Successe tre anni fa. Il 6 dicembre 1990 alle 9,48 decollò dall'aeroporto militare di Villafranca (Verona) un vecchio Aermacchi 326, pilotato dal sottotenente Bruno Viviani, 24 anni, settecento ore di volo in un curriculum che comprendeva anche diverse missioni urgenti in elicottero. Tra i suoi passeggeri anche il Papa e l'ex presidente del Consiglio Andreotti. Quel giorno era in missione militare segreta: il velivolo doveva fungere da «bersaglio» per verificare la bontà dei radar e dei sistemi di puntamento delle artiglierie. Alle 10,22 il pilota comunicò che il motore si era «piantato» e chiese lumi a Villafranca. La torre di controllo di Bologna predispose un atterraggio di emergenza e allertò i vigili del fuoco. Nei dieci minuti che seguirono il pilota volteggiò sopra Bologna, spingendo l'Aermacchi con il motorino d'avviamento; alle 10,32 azionò il comando di espulsione del seggiolino e l'apertura del paracadute. Alle 10,33 l'aereo, in fiamme, perse quota e precipitò in direzione di Casalecchio. Dalla scuola Salvemini lo videro e lo sentirono arrivare. Al primo piano, nella classe II A, la professoressa Cristina Germani stava svolgendo lezione di tedesco ai suoi sedici allievi, quando l'Aermacchi entrò come una bomba dalla finestra. Dodici studenti vennero uccisi. Undici erano ragazze, due si chiamavano Laura, due Alessandra, le altre Deborah, Carmen, Sara, Tiziana, Elisabetta, Elena, Antonella. L'unico ragazzo si chiamava Dario. I soccorsi furono immediati: intrappolati nella scuola che bruciava, decine di ragazzi si aiutarono l'un l'altro a saltare, senza panico: anzi, con una spontanea solidarietà. Alla fine della giornata restavano in ospedale novanta feriti, per ustioni e fratture, e il pilota, atterrato con il paracadute nella campagna. I bolognesi, colpiti questa volta dal cielo, dopo che erano stati colpiti alla stazione e sui treni, parteciparono in decine di migliaia ai funerali. I ragazzi della scuola portarono Fiori di campo e molti di loro un piccolo biglietto su cui era stampato «Mai più». Volevano dire: mai più esercitazioni militari sopra i centri abitati, mai più i war-games, mai più gli ordigni di morte. Poi la storia scomparve, nella normalità del dopo strage. L'istituto Salvemini si trasferì nella nuova sede, gli studenti feriti presero a ritornare. Prima quelli con i gessi e le bende, poi quelli con le carrozzelle: i loro amici le spingevano, facendo le corse nei corridoi. Una équipe di psicologi seguì i ragazzi, cercando di alleviare «elaborare» - le angosce e le fobie che avevano ghermito degli adolescenti che, improvvisamente, avevano visto la Morte; ed ora sobbalzavano per un rumore improvviso, trasalivano per le scene di guerra trasmesse dalla televisione, in ogni luogo cercavano ossessivamente l'ubicazione delle uscite di sicurezza. E ancora: il senso di colpa per essere rimasti vivi, mentre amici erano morti; una spropositata commozione per le piccole gioie della vita quotidiana: una gita, una carezza dei genitori. Ci fu chi smise di credere in Dio, perché Dio non può esistere se per¬ mette ad un aereo di entrare in una scuola. Ci fu chi prese a credere in Dio, che l'aveva salvato. Per i novanta feriti cominciava poi la lunga, triste trafila delle cure «non urgenti»: i ripetuti interventi di plastica, i trapianti di cute, la rieducazione delle ossa offese, gli appuntamenti nelle cliniche specializzate. Nella sede del comune di Casalecchio ho incontrato il sindaco, tre genitori di ragazze morte, il vicepreside della scuola. Stanno preparando la terza commemorazione di quel 6 dicembre. I genitori sono persone ancora giovani e parlano di fatti concreti, ma ogni tanto il pianto ricompare, inaspettato, negli occhi. Che cosa succede, dopo una strage? Me lo spiegano così. Successe che lo Stato versò alle vittime 15 milioni, acconto di cento stabiliti con decreto legge. Successe che per i feriti la Usi si incaricò, ottimamente, delle cure urgenti, ma poi non fu più au¬ torizzata a prestare gratuitamente le cure di ricostruzione, che oggi vedono, dei novanta feriti, settanta con invalidità permanente dal 75 all'85 per cento e undici oltre il cinquanta per cento. Famiglie che spendono decine di milioni in centri privati perché i loro ragazzi non restino deturpati. E poi, la lontananza, la freddezza dello Stato. L'Aeronautica militare condusse subito una inchiesta interna, concludendo per la «fatalità». Un'altra inchiesta, della procura di Bologna, dura da tre anni. Che cosa successe della proposta della scuola e del Comune di costituirsi parte civile? Un fatto sconcertante, perché scuola e Comune chiesero il patrocinio dell'Avvocatura dello Stato, ma il governo rispose: impossibile, perché l'Avvocatura dello Stato già patrocina l'Aeronautica. E alla scuola giunse poi la diffida da parte del provveditorato di usare fondi scolastici per la causa. Per questo i lavoratori del Salvemini (costituitisi in associazione) hanno lanciato una sottoscrizione per pagare le spese processuali. Non solo, ma il comune di Casalecchio e la Provincia di Bologna si trovano indagati in rapporto alla struttura edilizia della scuola addossando a quest'ultima il medesimo livello di responsabilità di quella attribuita all'aereo entrato nella classe n A. Così ì colpiti dall'aereo impararono le regole sconosciute della guerra in tempo di pace. Che la fatalità è il prezzo che si deve pagare per avere garantita la propria sicurezza. Che i piloti devono portare l'aereo in luogo dove esso sia recuperabile, per permettere l'inchiesta sulle cause della avaria (e per questo l'aereo non andò verso il mare). Che l'addestramento dei piloti costa. La «comunità» del Salvemini aveva solo richieste da fare. Impedire le esercitazioni militari sopra i centri abitati, causa di continui incidenti, e far sì che il pilota Viviani, sotto inchiesta, fosse destinato a servizi di terra, ma non reintegrato nel volo. Nessuna di queste due proposte ha ottenuto risultati. Per la prima, tra formali assicurazioni, la cosa si perse nel fumo di future commissioni di studio. Per la seconda, la richiesta formale avanzata al ministro della Difesa Salvo Andò giunse in ritardo. Il precedente ministro, Virginio Rognoni, aveva già vistato la procedura di riammissione al volo e Andò non se la sentiva di smentire il suo collega. I vertici dell'Aeronautica spiegarono peraltro che il problema non era da poco: l'addestramento di un pilota di jet costa due miliardi, e se Viviani non avesse più potuto volare, l'investimento sarebbe andato perduto. I genitori dei ragazzi morti a Casalecchio hanno incontrato i fami gliari delle vittime di Ustica. Hanno commentato la «distanza, quan do non l'arroganza» che l'Aeronautica ha avuto nei loro confronti. Sono rimasti feriti dalle dichiarazioni del pilota in due sue apparizioni televisive: ad Enzo Biagi che gli domandò: Che cosa ha provato, quando ha saputo di tutti quei morti? «E' stato come se lo avessi letto sul giornale». Che cosa direbbe se incontrasse i genitori? «Condoglianze». Ne hanno tratto la conclusione di due mondi che non possono incontrarsi: il primo, colpito senza colpa; il secondo chiuso nella propria corazza, nutrito di miti di forza, di tecnologia, di statistica. Un mondo che sta nei cieli e volteggia sulle case, si abbassa sul lago di Garda per spaventare i surfisti; un mondo che non chiede nemmeno scusa se ogni tanto precipita a terra. Il 16 gennaio prossimo, presso la procura di Bologna, si svolgerà l'udienza preliminare in vista di un possibile rinvio a giudizio. Le perizie sono arrivate a conclusioni nette: per il pilota Bruno Viviani e gli addetti alla torre di controllo dell'aeroporto militare di Villafranca, Eugenio Brega e Roberto Corsini, si parla di «responsabilità», di «imprudenza e imperizia», che hanno provocato un «disastro aviatorio colposo». Il 6 dicembre, invece, la comunità di Casalecchio si riunirà per parlare e discutere ancora in un pubblico dibattito alla presenza dei giornalisti Michele Serra, Roberto Scardova e Miriam Mafai. Nella scuola, gli studenti della II C, una delle classi con il maggior numero di feriti, sono arrivati al loro ultimo anno, a giugno usciranno diplomati e periti aziendali. Ma forse non tutti sceglieranno il lavoro di ufficio. Giusy vorrebbe fare il concorso per entrare in polizia, si ricorda della Volante che la salvò, del poliziotto che la portò di corsa in braccio nel pronto soccorso e la lasciò gridando «Buona fortuna». Elisa vorrebbe fare il magistrato: «Mi piace l'idea di una persona che studia e riapre un caso, come ha fatto il giudice Priore per Ustica». Vanessa vorrebbe fare l'infermiera, come ha fatto un'altra compagna ferita. Ilenia. Si ritirò da scuola per lavorare come infermiera volontaria. Tornerà al Salvemini a giugno per sostenere gli esami da privatista, tre anni in uno. Enrico Deaglio Tra i parenti delle vittime e il pilota della sciagura un incolmabile solco di freddezza ! La scuola di Casalecchio centrata da un aereo il 6 dicembre del '90 e (sopra) i primi soccorsi prestati ai ragazzi feriti