aiattàjà di Oreste Del Buono

aiattàjà aiattàjà TALIA, patria del Diritto. , Del Diritto Onorato e del Diritto Calpestato. Il cittadino è chiamato incessantemente a impegnarsi per conto proprio, a interpretare i vari spettacoli in corso. E, ancora una volta, la palma del migliore o peggiore spettacolo è contesa tra Milano e Roma. Al Palazzo di Giustizia di Milano, al processo cosiddetto Cusani (anche se Cusani per i primi giorni non si è degnato di comparire), lo scontro è tra il sostituto Antonio Di Pietro e l'avvocato difensore di Cusani, Giuliano Spazzali. Uno scontro continuo che fa sbiadire il fantasma di Perry Mason. In certi momenti, sprizzano pericolose scintille. Spazzali, solenne, accusa Di Pietro di prenderlo in giro, di prendere in giro l'aula, non entrando nel cuore del problema, esercitando la sua attenzione solo su episodi e personaggi minori, senza coinvolgere i personaggi più importanti che dovrebbero già figurare in aula. Di Pietro s'ammutolisce, come imbarazzato, abbassa il tono di voce e, quando riprende la discussione, parrebbe in cerca di argomenti per contestare il difensore trasformatosi in accusatore. Poi riparte con grande foga. A volte, il presidente dà l'impressione di propendere più per Spazzali che per Di Pietro. E si potrebbe ipo lizzare una certa solidarietà di classe tra uomini di legge ap partenenti da sempre ai vertici nei confronti del magistrato che arriva dalla polizia. Ma la foga, le parole che quasi si sovrap pongono nell'oratoria popolaresca di Di Pietro, la sua gesticolazione irrefrenabile, il suo I schiacciare a un certo punto il I naso contro il microfono come per entrarci di più, tutto, e per comunicare più intensamente e sonoramente il proprio pensiero, riporta la situazione in una assoluta parità. Ma si verificano anche improvvisi assensi, alleanze minacciose per qualsiasi imputato si voglia tenere lontano dall'aula (a eccezione di Cusani) che si costituiscono tra Di Pietro e Spazzali. Succede quando lo stesso Spazzali chiede di ascoltare il presidente attuale dell'Eni, Bernabò, accusato di aver goduto di una tangente di sette miliardi da Grotti, l'uomo d'affari di Forlani, che si sarebbe dovuto presentare a testimoniare, ma è restato a Roma, giustificandosi di avere appreso la citazione dai giornali. Di Pietro sorride: «Ma glielo avevo detto io». E Spazzali si associa nel sorriso. Un guaio per chiunque, per qualunque potente della terra, se i duellanti coincidono nel tracciare un profilo della classe dirigente. A Roma, invece, è ritornato alla ribalta il grande comunicatore. Non ci riferiamo a Grillo, ma a Cossiga. Dovrà probabilmente rifare la deposizione di circa cinque ore sul piano Viktor, perché la registrazione non è andata troppo bene. Roma resta un poco indietro tecnologicamente. L'esperto psicologo o criminologo o quel che è che avrebbe dovuto assicurare il silenzio di Moro, ove costui fosse stato risparmiato dalle Brigate Rosse, dice che di piani ne esistevano tre. La moltiplicazione dei piani e dei pesci. Sono molti, infatti, della Procura romana di allora a voler restare muti come i pesci. Oreste del Buono inoj jà

Luoghi citati: Milano, Roma