«Non sono i miei veri genitori uccideteli» di Giuliano Marchesini

Verona, uno dei sicari ha svelato il progetto omicida. Ma la madre: è figlio naturale Verona, uno dei sicari ha svelato il progetto omicida. Ma la madre: è figlio naturale «Non sono i miei veri genitori, uccideteli» Ventenne si scopre adottato e assolda due killer VERONA DAL NOSTRO INVIATO «Quelli non sono i miei veri genitori. Ho saputo dopo vent'anni che mi hanno adottato. Mi hanno tradito per tutto questo tempo. Allora, voglio che li uccidiate». Matteo Z., un ragazzo di 23 anni, ha fatto questo discorso terrificante a due pregiudicati, lì li ha assoldati perché andassero a «far fuori» quel «padre» e quella «madre». Quelli che dovevano essere i killer sono stati fermati dai carabinieri prima che la «condanna» fosse eseguila. Una storia che somiglia a quella tremenda di Pietro Maso, il ragazzo di Montecchia di Crosara che uccise i genitori insieme con i complici, con i quali avrebbe spartito l'eredità. Per fortuna, in questo caso non c'è stato un massacro. Ma una gelida preparazione di un piano per un assassinio. Le foto dei genitori, la mappa della zona in cui abitano, l'indicazione dei loro spostamenti abituali: lutto messo nelle mani dei due uomini incaricati di uccidere. Con dieci milioni come «acconto» per il pagamento del delitto. Un movente diverso: non il denaro, i campi e la casa paterna di cui venire in possesso, come nel caso di Pietro Maso. Ma una specie di ossessione, un tormento che ha demolito un amore straordinario durato vent'anni. Questo il racconto. Qualcosa avrebbe fatto diventare Matteo Z. gonfio di un rancore assurdo. Ma può anche darsi che il ragazzo non abbia detto la verità: la madre dice che lui non è figlio adottivo, ma naturale. Non mancava nulla, comunque, a Matteo, nella casa dei genitori, a Parona, appena fuori dalla città, un posto abbastanza tranquillo. La mamma, Pia, una donna che pensa più agli altri che a se slessa, il papà, Bruno, impiegato di banca, preoccupato di evitare qualsiasi problema in famiglia. «Gente con il cuore in mano, dicono in paese. Hanno un altro figlio. E hanno tirato su Matteo con la stessa cura». Una premura dietro l'altra. Matteo insieme con il fratello, senza che qualcosa, un minimo particolare facesse pensare a una differenza. Del resto, che differenza poteva esserci per Pia e Bruno? Per loro, quelli sono figli, e basta. Così, dai giochi dei bambini all'adolescenza, alla maggiore età è cresciuto Matteo. Fino all'ingresso nel lavoro, in una ditta di impianti elettrici. Quante soddisfazioni stava dando quel ragazzo, a quei coniugi che lo avevano allevato. Ma d'improvviso s'è infranto tutto. Matteo avrebbe saputo, infine: adottato, una parola che lo avrebbe sconvolto, come se fosse piombalo in un inganno. E lo avrebbe fatto diventare ostile, rabbioso. Ha deciso di andarsene da casa, di sistemarsi in un piccolo alloggio in città. «Una rottura che noi non sappiamo spiegarci», ripeteva il padre. Lui rimasto solo a covare un rancore che lo avrebbe portato a un progetto terribile. Una specie di vendetta cui Matteo ha detto ai «killer» di aver pen¬ sato a lungo. Lui conosceva quei due balordi: forse li ha rivisti al bar, dove s'incontrano tanti ragazzi. E con quei due, tirati in disparte, ha fatto discorsi di morte, di assassinio. Si vedevano in giro insieme, spesso appartati. Qualche giorno fa una donna telefona ai carabinieri di Sommacampagna: segnala che ci sono delle persone sospette, che parlottano al margine di un campo. Poco dopo arriva un'auto civetta. Ci sono tre giovani, sembrano complottare. Due sono ragazzi del posto: Albino Ciarferna ed Enrico Borsacchiello, che hanno sul conto qualche reato. Ciarferna, tra l'altro, avrebbe appiccato un incendio a una discoteca di Balconi di Pescantina. Quel gruppetto si scioglie, chi se ne va da una parte e chi dall'altra. Ma i carabinieri seguono Albino Ciarferna, infine lo fermano. Nelle tasche ha dieci milioni. «Da dove vengono questi soldi?». Lui non dà spiegazioni: «Sono faccende mie, lasciatemi in pace». Ma è turbato, impaurito. Più tardi finisce per chiedere un «colloquio confidenziale». E fa un racconto raggelante: in quel posto, a Sommacampagna, lui e Borsacchiello si sono incontrati con Matteo Z., per «combinare». Matteo ha dato loro i milioni, le foto dei genitori e tutto il resto. Avrebbe consegnato altro denaro quando mamma Pia e papà Bruno fossero stati fatti sparire. Ma forse quei due non avevano alcuna intenzione di compiere un delitto: si sarebbero tenuti i 10 milioni, e basta. La storia di Matteo Z., così come l'ha raccontata uno dei mancati killer, è passata alla procura della Repubblica, poi al giudice per le indagini preliminari Aldo Celentano. Il magistrato, che prende in considerazione l'accordo o comunque l'istigazione a commettere un reato, ha già adottato misure di sicurezza nei confronti di Matteo Z.: il ragazzo non può uscire di casa prima delle 7,30 del mattino e deve rientrare prima delle 22. Gli è anche fatto divieto di cambiare residenza, e ogni giorno deve presentarsi a firmare il registro dai carabinieri. Che sarà, adesso, di Matteo? E dei due giovani che lui ha ingaggiato per questa avventura orrenda? Se non ci saranno elementi concreti per stabilire che s'è effettivamente messo in atto un tentativo di uccidere i coniugi, non ci sarà punibilità, se non per l'istigazione a delinquere. Ma la storia di Matteo, adesso, si accosta a quella di Pietro Maso. Qualcuno ripete che lui è un figlio naturale. E chi ha ancora nella mente il caso Maso dice che Matteo voleva impadronirsi dei soldi dei genitori. Ma, secondo gli inquirenti, non è un personaggio di quel genere. «Qui commenta - il giudice Celentano - il movente potrebbe essere il dramma psicologico di un ragazzo che crede che genitori adottivi lo abbiano tradito per tutta la vita. E l'amore potrebbe essersi trasformato in odio». Giuliano Marchesini Pietro Maso, assassino dei genitori, anche lui veneto come Matteo Z.

Luoghi citati: Montecchia Di Crosara, Parona, Pescantina, Sommacampagna, Verona