Ansaldo i giorni del Lager

Il Diario del grande e discusso giornalista prigioniero dei tedeschi nel '43-'45 Il Diario del grande e discusso giornalista prigioniero dei tedeschi nel '43-'45 Ansaldo, i giorni del Lager «Un avvenimento: 60 grammi di formaggio!» ft\ ZESTOCHOWA. Campo I ' per ufficiali internati. 29 I gennaio 1944. Sabato, li «Mattinata allietata da -^J qualche raggio di sole, durante l'appello. Si sparge la voce della caduta di Roma: sfuma come la voce della Sibilla. Castagneto ha ricevuto un pacco da casa, e mi porta un pezzo di torta e un mezzo salammo, che mangio ghiottamente. Una lettera di Mary in data 14. Leggo un capitolo de Gli Eroi di Carlyle e visito Parodi che domani parte con i repubblicani. Egli mi offre gentilmente in prestito 2000 lire». 30 gennaio. Domenica. «A Messa con Castagneto, Parodi, di partenza, mi dà non due, ma 3000 lire. La giornata è allietata - modesta letizia - da un pezzo di pagnotta che mi permetto di acquistare pagandolo con 200 lire. C'è anche un altro grande avvenimento: un pezzetto di 60 grammi di formaggio! Scrivo una lettera per Mary, affidandola a Rosina, repubblicano in partenza. Rosina mi dice che la mia mancata adesione è un "mistero". Un "mistero" per lui!...». Così comincia il Diario di prigionia di Giovanni Ansaldo, che il Mulino pubblica a cura di Renzo De Felice a un anno sì e no di distanza dalle Memorie del carcere e del confino 19261927, dello stesso autore, pubblicate dalla stessa casa editrice di Bologna sotto il titolo L'antifascista riluttante, a cura di Marcello Staglieno. Due esperienze di un personaggio che, di solito, per chi vede il passato non ancora remoto della nostra storia patria come un unico blocco oscuro, risulta un imperdonabile fascista nel senso di grande propagandista del regime grazie al suo talento giornalistico. Eppure il carcere e il confino negli anni 1926-1927 furono inflitti a Giovanni Ansaldo dai fascisti e la prigionia in lager negli anni 1943-1945 gli furono inflitti dai nazisti. E', infatti, come internato militare italiano dopo l'iB settembre 1943 che Giovanni Ansaldo comincia a scrivere que- sto diario, di cui in una bellissima introduzione Renzo De Felice dice: «Che qualcuno dei lettori di questo Diario di prigionia di Giovanni Ansaldo, arrivato alla sua fine, possa essere deluso non riusciamo proprio a crederlo. Potrà rifiutare una parte, maggiore o minore a seconda dei casi, delle idee e delle valutazioni in esso esposte. Potrà essere irritato da singole affermazioni e persino dall'atteggiamento morale di Ansaldo che esso rivela. Certo non gli negherà quel valore che ne fa un documento essenziale per comprendere a fondo la perso¬ nalità di un uomo che - comunque lo si giudichi - è stato uno dei massimi giornalisti italiani del nostro secolo e una figura intellettuale ben diversa, nel bene e nel male, nella sua ambiguità e nel suo fascino, da tante altre, ma non per questo atipica, salvo che per la conseguenzialità del suo comportamento, rispetto allo standard di un ceto intellettuale incapace di agire e spesso anche di pensare al di fuori sia di schemi ideologicoutopistici sia delle blandizie e strumentalizzazioni del potere politico...». Giovanni Ansaldo era nato a Genova il 28 novembre 1895 da una famiglia borghese che annoverava il fondatore degli omonimi cantieri. Era stato un fervente interventista e aveva partecipato alla prima guerra mondiale combattendo in Italia e Francia. Laureatosi in giurisprudenza nel dopoguerra aveva cominciato a fare il giornalista per il Lavoro di Genova e ne era diventato presto, per naturale capacità e autorevolezza, redattore capo. Era stato in rapporto con intellettuali come Giustino Fortunato, Gaetano Salvemini e, soprattutto, Piero Gobetti con il quale aveva stret- ta una viva amicizia. Si era messo in luce come una delle più brillanti firme del giornalismo antifascista, collaborando all'Unità di Salvemini e alla Rivoluzione Liberale di Gobetti. Nel 1926, dopo l'attentato bolognese a Mussolini, temendo di essere coinvolto nella repressione, aveva abbandonato Genova tentando di espatriare. Gli era andata male e aveva dovuto subire alcuni mesi di carcere a Como e di confino a Lipari. Tornato in libertà nel 1927, aveva ripreso il suo posto al Lavoro ma avvicinandosi sempre più al fascismo, grazie anche all'ami¬ cizia di un fascista scomodo e geniale come Leo Longanesi al cui Italiano aveva collaborato. E nel 1935 era andato volontario in Abissinia, abbandonando il Lavoro di cui era arrivato a essere vicedirettore. Nel 1937 la grande amicizia stretta con Galeazzo Ciano lo aveva portato a Livorno a dirigere il quotidiano della famiglia Ciano. Nel 1943 aveva lasciato la direzione, chiedendo al ministro della Guerra, generale Sorice, di venir chiamato alle armi. Era stato accontentato e destinato come tenente colonnello all'Ufficio Operazioni della divisione «Marche». L'8 settembre si trovava a Ragusa, in Dalmazia. Il giorno 9 il comando della divisione tedesca «Principe Eugenio» aveva richiesto al comando italiano la consegna delle armi pesanti. Al corrente delle trattative, Ansaldo aveva messo subito in dubbio la buona fede dei tedeschi e aveva insistito perché il generale Piazzoni capisse cosa stava per succedere. L'ultima volta che aveva insistito era stato il 10 settembre. «Mi scusi l'ardire, Eccellenza aveva detto -, ho saputo che sono stati presi accordi con il comando tedesco per la consegna delle armi. Questo porterà irresistibilmente alla nostra cattu¬ ra». «Non è detto», aveva replicato il generale. «La prego di lasciarmi libero da ogni obbligo che troverò il modo di sottrarmi alla cattura». «Lei segua la sorte di tutti gli altri ufficiali», aveva sentenziato il generale. L'11 settembre gli accordi erano stati conclusi e il 12 mattina i tedeschi avevano catturato ufficiali e soldati italiani, avviandoli alla prigionia. Prima Giovanni Ansaldo era stato deportato a Bad Orb, in Germania, poi a Tarnopol e a Czestochowa in Polonia, e a Norimberga e infine Gross Hesepe di nuovo in Germania. Nella pagina del Diario di prigionia che si è citata all'inizio, Mary sta per Maria Luigia Boscoscuro, la moglie di Ansaldo, e Parodi e Rosina, i «repubblicani», sono due compagni di prigionia che, avendo aderito all'appello della Repubblica Sociale, erano quindi avviati a divenire «repubblichini». Renzo De Felice mette giustamente in evidenza nella sua introduzione che questo Diario di prigionia di Giovanni Ansaldo si stacca molto tra i duecento circa libri di memorialistica e diaristica, molto spesso rielaborata proprio in occasione della pubblicazione, dei militari italiani internati nei lager tedeschi, e che la maggioranza di questi scritti è ormai dimenticata e irrecuperabile salvo casi come il Diario clandestino 1943-1945 di Giovanni Guareschi, già comunque molto conosciuto prima di affrontare la carriera di internato. In generale, afferma Renzo De Felice, alle memorie dei militari sono state preferite quelle dei politici. Posso aggiungere, per conoscenza diretta, che ha avuto molta influenza su questa diversa considerazione quel termine di «internato» su cui si trovarono d'accordo fascisti e nazisti per declassare il pronunciamento di tante centinaia di migliaia di soldati italiani, 800 mila circa su 1 milione di «disarmati». Oreste del Buono Confinato dal regime, internato dai nazisti: ma per qualcuno è un fascista imperdonabile «Oggi mi permetto un pezzo di pagnotta pagandolo 200 lire. Rosina dice che la mia mancata adesione alla Repubblica di Salò è un "mistero". Un mistero per lui!...» Giovanni Ansaldo, nato a Genova nel 1895, morto a Milano nel 1969. Nella foto sopra è il primo a sinistra, accanto a Antonio Canepa e Enrico Emanuelli. Nell'immagine grande, con la moglie e la figlia