Triste Europa tristi film di Lietta Tornabuoni

Il convegno a Roma Il regista ungherese Szabó: gli americani sono più vitali Triste Europa, tristi film «Ilpubblico scappa, e non ha torto» IT ROMA • ON credo che la soluzione IB dei nostri guai stia nel com1 battere contro gente terri- AAÌ bile come Al Pacino, Martin Scorsese o Robert De Niro. Il nostro problema è un altro: non abbiamo pubblico. Non siamo capaci di dare al pubblico un'idea di futuro. L'arte che trasmettiamo è all'ottanta per cento deprimente. Il cinema americano comunica vitalità, energia, spirito battagliero; i nostri eroi cinematografici sono perdenti, senza speranza». Istvàn Szabó, l'eccellente regista ungherese di Mephisto, Tentazione di Venere, Cara Emma, dolce Bòbe, è molto pallido e seducente tutto vestito di nero, ha una bellissima voce: ma le sue parole pesano come pietre, inquietano la platea, innescano la polemica al convegno «L'Europa fuori dagli schermi» organizzato dal Forum per la libertà di comunicazione e dalla rivista Micromega al Palazzo delle Esposizioni, per discutere «il Gatt e la crisi della produzione cinematografica e televisiva». Tra quindici giorni si affronta quella «eccezione culturale» richiesta perché in sede di commercio mondiale gli audiovisivi (film, telefilm, programmi televisivi varii) siano considerati diversi dalle patate, perché ne sia consentito il contingentamento, venga corretto 10 squilibrio degli scambi e il dominio del cinema americano sui mercati europei, si possa proteggere l'industria cinematografica europea insieme con l'identità culturale europea. Il convegno è un momento di questa battaglia; un altro momento è stato, venerdì scorso, l'incontro romano tra i cineasti italiani, i registi francesi e le autorità politiche di Francia, i presidenti Mitterrand e Balladur, il ministro della Cultura Toubon. E adesso Istvàn Szabó quasi dice che non ne vale la pena. Dice: «Il pubblico ha necessità anche di risposte ai propri interrogativi, d'essere aiutato a vivere. Il cinema americano dà al pubblico di tutto il mondo ciò di cui il pubblico ha bisogno, e non dice bugie: dà esattamente quanto promette. Il cinema europeo dà spesso pseudofilosofie, pseudopoesia, arte di serie B o Z: i registi geniali sono pochi, i registi che si autopromuovono geniali sono stupidi, noiosi. Siamo responsabili noi, e non gli americani, se il pubblico scappa lontano dai film europei: sovente ci interessiamo a noi stessi più che al pubblico, non rendiamo interessante per il pubblico il nostro lavoro. Ogni film americano, anche brutto, dice alla gente: combatti, abbi fiducia, abbi successo, spera. Ogni film europeo dice: l'esistenza fa schifo, tutto è finito, resta solo il suicidio. Sono arrabbiato con me stesso, con tutti voi, con i registi europei che rifiutano il sentimento, la semplicità, la forza, la commozione, l'ottimismo, 11 tocco umano della cultura americana. Non diamo ad altri responsabilità che sono nostre». Brusìo, dissenso, stupore, commenti. Edgar Reitz, il gran regista tedesco di Heimat, va al microfono: «E' vero che da decine d'anni il cinema europeo è triste, trasmette sentimenti d'impotenza: ma la storia politica europea di questo secolo è fatta di puro orrore, come potrebbe il cinema non rispecchiarla? Non possiamo combattere il dolore della cultura europea: oggi abbiamo invece bisogno di capire chi siamo, di riflettere, di ricordare...». Altre voci critiche prendono slancio: «Piantiamola di lamentarci, molti dei nostri guai ce li siamo meritati, non abbiamo preteso il ri- spetto delle leggi, non abbiamo denunciato abbastanza la corruzione», dice il regista italiano Roberto Faenza, che dà anche un consiglio al Presidente della Repubblica: «Voli a Parigi, Scalfaro, voli a Washington insieme con molti registi italiani, sostenga come Mitterrand le ragioni del cinema europeo...». Szabó e Reitz dicono cose giuste, riconosce il regista italiano Amedeo Fago: «Ma nella cultura americana c'è un sentimento d'onnipotenza che è patologico quanto il sentimento europeo di impotenza...». Più tardi i due registi stranieri intervengono di nuovo, fanno proposte «in positivo» ma non si smen¬ tiscono: «Bisogna compiere un passo avanti, considerare nemico il cinema americano sarebbe pericoloso», insiste Reitz. «Non abbiamo forza, non abbiamo "magic", non abbiamo verso il pubblico l'atteggiamento amichevole che aveva Bunuel. Persino in chiesa, prima si dice Messa e soltanto poi si passa a raccogliere i soldi; a me pare che noi facciamo il contrario... Non sappiamo cosa siamo, cosa vogliamo essere...», insiste Szabó. Repliche, rimbecchi, critiche. Miracolo: un convegno nel quale s'è discusso davvero. Lietta Tornabuoni

Luoghi citati: Europa, Francia, Parigi, Roma, Washington