Rocco addio ai frateli

LA STAMPA E' morta la famiglia del Sud in cui i vincoli di sangue prevalgono sulla morale? Uno studio sulla rivista «Meridiana» apre il dibattito Rocco, aàdb ai EILUMENA Marturano, con il volto drammatico di Pupella Maggio o quello divistico di Sofia Loren, che dice piangendo: «'E figlie so' ffiglie». Francesca Serio, la madre del capolega Salvatore Carnevale assassinato dalla mafia, che dice a Carlo Levi parole che sono pietre. Le famiglie povere di Regalpetra che, come raccontò Sciascia, consideravano una speranza la nascita di un maschio e una jattura la nascita di una femmina. Il patrimonio di solidarismi famigliari di Rocco e i suoi fratelli che si disgrega al contatto con i costumi del Nord. E il Padre padrone di Gavino Ledda. E i matrimoni riparatori. E i giovani borghesi che restano in casa fino a trent'anni in attesa di vincere un concorso. Ninetta Bagarella, moglie di Totò Riina, che per l'onore del boss sfida le telecamere nell'aula bunker. 0 Carla Cottone, nuora di Francesco Madonia, che viola le regole partecipando allo show di Maurizio Costanzo. Immagini di un mito: la famiglia meridionale. In cui l'individuo è tutt'uno con la rete parentale. In cui i vincoli di sangue impongono doveri più forti di qualsiasi norma etica. La famiglia che origina un familismo amorale, nel senso che il bene del gruppo famigliare precede e preclude gli interessi collettivi più generali. La famiglia come istituto naturale che nel Sud d'Italia si contrappone alla società civile e resiste alla modernizzazione e allo sviluppo. Quanto è reale questo modello? Non esiste. Non è mai esistito. E' un pregiudizio. E' un'invenzione ideologica. Lo sostiene e lo denuncia l'ultimo numero, in libreria a giorni, della rivista Meridiana, quadrimestrale dell'Imes (Istituto meridionale di storia e scienze sociali), completamente dedicato a saggi sulla famiglia meridionale. Lo sguardo degli studiosi si spinge oltre avvenimenti, statistiche, dati di registri parrocchiali o commerciali, per catturare pezzi d'identità famigliare, fra i negozianti pugliesi o gli artigiani campani, ma anche fra i camorristi dei Quartieri Spagnoli, mentre lo storico inglese Paui Ginsborg, autore di una Storia d'Italia dal dopoguerra a oggi, cerca di capire come gli storici hanno considerato finora la famiglia: un pezzo della società civile, un ingranaggio del motore dello sviluppo o un universo domestico statico e congelato, estraneo alle trasformazioni politiche ed economiche? Bisogna ricordare un libro di quasi quarant'anni fa, al centro di polemiche come forse nessun'altra inchiesta sociologica: Le basi morali di una società arretrata, frutto di una ricerca condotta dall'americano Edward Banfield nel paese di Chiaromonte in provincia di Potenza. Le cause dell'arretratezza meridionale non andavano cercate nella struttura economica, ma nelle tradizioni culturali e in particolare in quei valori che apparivano ra- dicati nella famiglia e che Banfield chiamò «familismo amorale». «Io ho avuto la ventura di vivere nella Sicilia Iblea, nella quale ho conosciuto effettivamente un modello di famiglia meridionale - dice lo scrittore Gesualdo Bufalino -. Grazie all'estrema frantumazione della proprietà, in questa zona, fra Ragusa e Siracusa, si era costituito, diversamente dalle zone messe a latifondo, un piccolo ceto di proprietari agricoli, favorendo la formazione di aggregati domestici in cui lo stereotipo della famiglia meridionale era abbastanza vicino alla verità. Questi nuclei erano caratterizzati da rispetto e soggezione verso il maschio, da assoluta sottomissione dei figli ai genitori, da un matriarcato nascosto, nel senso che la donna appariva all'esterno sottomessa all'uomo ma era in casa una regina possessiva, e da forme patriarcali, poiché la famiglia includeva nonni, zii, cugini. Erano piccoli Stati neilo Stato. Tutto ciò cominciò a sfaldarsi a partire dal dopoguerra». «Da Torino mi sono trapiantata a Napoli e anche sulla base della mia esperienza io penso che la famiglia meridionale sia assolutamente identica a quella settentrionale - dice la storica Gabriella Gribaudi, che apre Meridiana con un affascinante saggio su «Familismo e famiglia a Napoli e nel Mezzogiorno» -. Nel senso che non esiste un modello tipico: la diversificazione dei modelli famigliari è enorme, sia al Nord sia al Sud. E il familismo, se c'è, funziona dovunque, è un carattere della famiglia italiana in generale, che sopperisce con le solidarietà parentali alle carenze delle istituzioni pubbliche, negli ospedali, nella scuola e così via». Il fatto è che siamo prevenuti: «Quando parliamo della piccola impresa emiliana o veneta, consideriamo la famiglia un fattore di sviluppo, ma studiando la storia dei sarti dei vicoli napoletani ho constatato che fanno un uso altrettanto razionale della struttura famigliare. Il familismo amorale delle popolazioni meridionali è un errore scientifico dietro il quale si nasconde un'ideologia. Si sono talmente diffuse e radicate le immagini di un'Italia divisa in due che gli stessi meridionali pensano che da loro la famiglia sia qualcosa di diverso». «Non dobbiamo cadere nella miopia di ritenere scomparsa la cultura meridionale arcaica obbietta l'antropologo calabrese Luigi Lombardi Satriani -, Arcaico non significa inesistente: è un substrato che può permanere. I forti vincoli, il dovere della solidarietà, il diritto alla protezione, l'obbligatorietà della vendetta sono caratteri della famiglia arcaica che nelle fasi di crisi possono riemergere dal fondo delle cose. Oggi si tende a ignorarli per paura di apparire passatisti. Ma è vero che questo modello di famiglia ha in parte bloccato le possibilità di sviluppo, fungendo d'altronde da meccanismo protettivo, da mezzo di sopravvivenza: e se non avessero avuto neanche la famiglia? Quando questo tipo di famiglia è andato in crisi per effetto della modernizzazione, si è avuta una disgregazione di tutto il tessuto sociale meridionale». «La solidarietà famigliare è più visibile al Sud che al Nord perché effettivamente la famiglia spesso è l'unica risorsa cui affidarsi - osserva la sociologa Chiara Saraceno, autrice di Sociologia della famiglia e di altri studi sull'argomento -. E' una solidarietà per mancanza d'altro. Se lo Stato è assente o non si vede, se i servizi sono inefficaci, se la società civile non si è costituita, rompere le lealtà famigliari diventa quasi un suicidio. Oggi, per esempio, i giovani meridionali sono meno disposti a emigrare perché, dicono, "qui almeno c'è la famiglia"». Come scrisse Pizzorno, a proposito del libro di Banfield, la società meridionale non è arretrata perché è familistica ma è familistica perché arretrata. «Gli stereotipi ci sono - riconosce la Saraceno -. Per esempio si pensa che la famiglia meridionale sia tanta, sia estesa: invece è nucleare, con i figli che se ne staccano presto per formare nuovi nuclei. La famiglia estesa era assai più diffusa nelle campagne padane. Però è anche vero che la famiglia meridionale è tuttora più feconda e ha un senso più forte della propria identità». La famiglia meridionale, con i suoi modelli storici, con il suo carico di rappresentazioni, è in realtà lo specchio dei contrasti che ci dividono quando parliamo del Sud d'Italia. L'immagine della famiglia è un'immagine del Mezzogiorno. Il parallelo d'altronde è stato ampiamente sfruttato dal cinema. Rocco e i suoi fratelli di Visconti è la tragica metafora della disgregazione prodotta nel mondo meridionale dalla perdita di peso dei valori arcaici. I tre fratelli di Francesco Rosi è la malinconica metafora dell'abbandono in cui il nostro Sud è stato lasciato una volta chiusa la stagione del meridionalismo. La redazione di Meridiana dichiara apertamente, in una nota introduttiva, di aver puntato sull'insidioso tema della famiglia per contestare i pregiudizi ideologici su un Mezzogiorno condannato «a sentirsi periodicamente in stato d'accusa». Ma è lo stesso mondo meridionale - come dice la Gribaudi - ad alimentare nel bene e nel male una saga, una mitologia della famiglia. «La famiglia tipica siciliana è la culla dei clan mafiosi», ha detto infatti, non più di due mesi fa, monsignor Rosario Mazzola, vescovo della diocesi di Cefalù. La contiguità con la mafia è l'accusa più pesante da parte dei sostenitori del familismo. «In realtà i legami si esaltano laddove c'è la necessità: è la mafia a utilizzare la struttura famigliare perché in generale ci si fida di più del proprio fratello che di chiunque altro - dice Salvatore Lupo, recente autore di una Storia della mafia e vicedirettore di Meridiana -. Nel mio libro osservo che i trafficanti internazionali di droga sono spesso parenti fra loro. Perché operando lontano dai loro territori e sedi hanno bisogno di contare su persone fidate al massimo. No, con la mafia il familismo non c'entra. No, non c'entra neanche col Sud. Sa quando io ho capito cos'è il familismo? Quando ho visto le soap-opera americane. Quando ho visto Dallas e Beautiful, dove si accoppiano pure fra cognati o il suocero con la nuora, tutto ovviamente per il bene della famiglia». Alberto Papuzzi Bufalino: «Oggi non è più così ma ho visto zii, nonni e padri che erano Stato in uno Stato» dicati nella famiglia e che Banfield chiamò «familismo amorale». «Io ho avuto la ventura di vivere nella Sicilia Iblea, nella quale ho conosciuto effettivamente un modello di famiglia meridionale - dice lo scrittore Gesualdo Bufalino -. Grazie all'estrema frantumazione della proprietà, in questa zona, fra Ragusa e Siracusa, si era costituito, diversamente dalle zone messe a latifondo, un piccolo ceto di proprietari agricoli, favorendo la formazione di aggregati domestici in cui lo stereotipo della famiglia meridionale era abbastanza vicino alla verità. Questi nuclei erano cattiti d itt wmmmmmm Bufalino, Francesco Rosi e una scena di «Rocco e i suoi fratelli» Sopra: foto Sellerio da «Inventario siciliano» Bufalino: «Oggi non è più così ma ho visto zii, nonni e padri che erano Stato in uno Stato» Arcaico non significa inesistente: è un substrato che può permanere. I forti vincoli, il dovere della solidarietà, il diritto alla protezione, l'obbligatorietà della vendetta sono caratteri della famiglia arcaica che nelle fasi di crisi possono riemergere dal fondo delle cose. Oggi si tende a ignorarli per paura di apparire passatisti. Ma è vero che questo modello di famiglia ha in parte bloccato le possibilità di sviluppo, fungendo d'altronde da meccanismo protettivo, da mezzo di sopravvivenza: e se non avessero avuto neanche la famiglia? Quando questo tipo di famiglia è andato in crisi per effetto della modii i è t Bufalino, Francesco Rosi e una scena di «Rocco e i suoi fratelli» Sopra: foto Sellerio da «Inventario siciliano»