La «legione islamica» un Frankenstein della Cia di Domenico Quirico

La «legione islamica» un Frankenstein della Cia La «legione islamica» un Frankenstein della Cia 1 mi I VOLONTARI DI ALLAH LA colpa, anche questa volta, è della Cia. Ha partorito, nutrito e allevato la più agguerrita e fanatica Armata di Allah che si sia schierata contro l'Occidente dai tempi in cui «il feroce Saladino» incrociava la spada con gli infedeli. Adesso, come nella leggenda di Frankenstein, il mostro, la Legione islamica, è diventato incontrollabile. I commandos di Allah si battono nelle giungle filippine e nella casbah d'Algeri, tra le rovine di Sarajevo e nelle paludi del Delta egiziano, in Kashmir e tra la polvere di Ga- za. Tutti dei professionisti della Guerra Santa, forgiati dalla crociata afghana, e con un sogno nello zaino: imporre l'Islam dove sono al potere regimi atei e allargare l'impero del Profeta. La loro avventura è cominciata dodici anni fa in un lussuoso ufficio di Langley, Virginia, Usa, da dove le antenne della Cia scrutano il mondo. William Casey, il boss, voleva a tutti i costi un'idea da regalare a Reagan: l'impero del male sovietico sguazzava nella palude afghana, perché non rendergli più difficile il guado in¬ ventando una replica islamica delle brigate intemazionali di «Per chi suona la campana»? I volontari del Profeta avrebbero dato una mano ai mujaheddin e risollevato il look americano tra le recalcitranti plebi arabe. Gli agenti della Cia cominciarono così ad arruolare ai quattro angoli del pianeta questa inedita Jihad a stelle strisce. Un centro di reclutamento era, sembra una barzelletta, a Brooklyn, gestito da un egiziano amico del «generale» Abdullah Ezzam, che a Peshawar comandava la legione. I volontari erano graditi ospiti di un poligono in Connecticut. Al primo errore la Cia pensò bene ai aggiungerne un secondo, e più grave: i fondi per la «sua» guerra santa (5 miliardi di dollari) li regalò a uno studente fuori corso dalle idee misteriose, ma «sicuramente anticomunista»: si chiamava Gulbudin Hekmatyar. Un peccato che quel bravo partigiano fosse anche un consumato trafficante di droga e di armi, un discepolo di Khomeini e odiasse gli occidentali almeno quanto i russi. La legione straniera, che all'inizio contava 3 mila uomini, in poco tempo salì a 16 mila reclute. Addestrate e pagate con munificenza dagli uomini dalla Cia, che regalavano loro, autentico tocco di classe, anche copie del Corano. Alla sezione ideologica provvedeva, invece, solerte maestro, Hekmatyar: unica materia di insegnamento, mille modi per eliminare il satana dell'Occidente. Se cercate quei soldati, adesso, scorrete un atlante. Andate nelle Filippine, ad esempio, dove le armate del Fronte secessionista moro di Salamat Hashim sono inquadrate da «afghani» del Medio Oriente e del Maghreb. 0 nel Kashmir «colonizzato» dagli indiani, dove insegnano l'arte del terrore alle squadracce del Jammat Islami di Abdumagil Dar. Tayeb detto appunto l'Afghano, invece, è l'imprendibile Robin Hood che turba i sonni della giunta militare di Algeri. Sono stati i berretti verdi della Cia che gli hanno illustrato Tabe della guerriglia urbana e della destabilizzazione politica. L'Egitto del prudente Mubarak credeva di aver prevenuto il contagio: quando i reduci tornarono a casa trovarono al'aeroporto, invece di medaglie e fanfare, cellulari e manette. Ma una parte di loro scelse una rotta più sicura e scese a Karthoum. Come Mahmud Mekkuai, capo della brigata del Cairo la cui mano omicida ha sfiorato la settimana scorsa il premier. In Bosnia si batte il Corto Maltese islamico, il comandante Mahmud Abdelaziz. Ha eliminato infedeli in Afghanistan, Filippine, India e Nord Africa, odia l'acool e le depravazioni dell'Occidente. Ha giurato: libererà Sarajevo, a dispetto del mondo. Domenico Quirico