«Moro doveva finire in quarantena» di Giovanni Bianconi

Se liberato dalle Br poteva fare «dichiarazioni durissime sullo Stato e sui vertici dei partiti» Se liberato dalle Br poteva fare «dichiarazioni durissime sullo Stato e sui vertici dei partiti» «Moro doveva finire in quarantena» Cossiga: c'era un piano già pronto ROMA. Se fosse uscito vivo dalla «prigione del popolo», Aldo Moro sarebbe stato segregato in una clinica, a contatto solo con qualche familiare e un paio di giudici, con la supervisione del ministro dell'Interno. Tagliato fuori dal mondo, almeno nella prima fase, per paura che potesse dire «cose durissime di cui poi si sarebbe pentito». Così aveva deciso lo Stato, secondo l'ultima rivelazione sul caso Moro che porta la firma di Francesco Cossiga. Intervistato da una tv tedesca, l'ex-presidente della Repubblica e ministro dell'Interno in quella primavera del 1978 ha rivelato l'esistenza del piano chiamato «Moro-Viktor», che doveva scattare se le Br avessero rilasciato Moro o se le forze dell'ordine fossero riuscite a li- berarlo. Eventuali dichiarazioni del presidente della de sarebbero state «pericolose» per le istituzioni; c'era infatti la possibilità, spiega Cossiga, che Moro avesse «percepito come colpevoli non i suoi rapitori ma coloro che non l'avevano liberato» prima. Ma c'era anche un piano predisposto nel caso che poi s'è verificato, e cioè l'uccisione dell'ostaggio. Si chiamava «Moro-Mike», e prevedeva l'arresto in massa di tutti coloro dei quali si sospettava che avessero rapporti con le Brigate rosse. Questo però non lo dice Cossiga, bensì l'avvocato della de Pino De Gori, il quale aggiunge che «l'azione di rappresaglia a largo raggio» non scattò dopo il 9 maggio '78 per l'opposizione di alcune forze politiche. «Io mi dimisi - ha spiegato ieri sera Cossiga al Tg3 -, non seppi di opposizioni. So che era prevista una forte accelerata delle misure massive dell'ordine pubblico: arresti, rastrellamenti». La paura che Moro liberato avrebbe potuto attaccare le istituzioni veniva forse dai toni duri che l'ostaggio delle Br usava nelle sue lettere dalla «prigione del popolo». Lettere che allora furono giudicate «a lui non moralmente ascrivibili» anche da Cossiga. «Oggi non sosterrei quella tesi», ha detto alla tv tedesca, e al Tg3 ha aggiunto: «Dopo il rapimento di Moro scrissi una lettera, che misi nel cassetto e che dopo ho distrutto, nella quale davo istruzioni perché non si addivenisse ad alcuna trattativa nel caso che io fossi rapito». Cossiga dice anche che i piani «Moro-Viktor» e «Moro-Mike» furono predisposti non da lui «ma dalla Procura di Roma, dopo consultazione con il Viminale. La premura della Procura era che Moro fosse assistito e restituito alla serenità». L'ostaggio liberato doveva essere portato al policlinico Gemelli, e tutta questa vicenda «è nota da dieci anni, consacrata negli atti giudiziari dei vari processi Moro». Ma i magistrati che si stanno ancora occupando del sequestro e dell'omicidio del leader democristiano non ricordano di aver trovato, nelle carte vecchie e nuove, traccia di «Moro-Viktor» e «Moro-Mike». Senza chiamarlo con il nome in codice, il piano fu invece messo nero su bianco dal professor Franco Ferracuti, il do¬ cente di criminologia chiamato a far parte del «comitato di crisi» di cui si circondò Cossiga durante i 55 giorni del sequestro, uno di coloro che poi risulterà iscritto alla Loggia P2 di Licio Gelli. Ferracuti scrisse che Moro avrebbe potuto manifestare «diffidenza ed ostilità verso membri della famiglia o verso le "autorità" che non hanno "fatto il loro dovere"... All'atto della eventuale rimessa in libertà della vittima un certo tipo di trattamento potrebbe minimizzare le sequele negative ante descritte». Ed ecco i consigli del professore: «All'atto della rimessa in libertà il soggetto va protetto da incontri di gruppo frastornanti ed incontrollati. Tali incontri... creano una situazione di estremo pericolo... per le incontrolla¬ te dichiarazioni che egli può essere portato a fare nella prima fase. Dopo i primi indispensabili contatti con i familiari stretti e con le autorità giudiziarie, il soggetto va sottoposto ad accurata visita medica di controllo... Ciò fatto egli va isolato e protet- to rigidamente, assieme ad uno psichiatra-psicologo di sua fiducia, ma non a lui legato da rapporti di parentela o di lavoro...». Lo psichiatra (sottoposto a segreto professionale «assoluto») avrebbe dovuto raccogliere il racconto «a ruota libera» di Moro. «Al termine di questa fase il soggetto va fatto dormire, se necessario chimicamente. Al risveglio potrà essere avvicinato brevissimamente solo dai familiari...». Il deputato di Rifondazione comunista Giovanni Russo Spena ha chiesto che il Parlamento venga subito informato della vicenda perché - dice - «le rivelazioni di Cossiga confermano i misteri del caso Moro sono tutti interni allo Stato». Giovanni Bianconi L'ex terrorista rosso Mario Moretti Uno dei rapitori di Moro

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