Bertoldo contro i tromboni

contro i tromboni Ristampati in cofanetto i primi 49 fascicoli della celebre rivista di Guareschi, nata nel '36.1 figli ricostruiscono quegli anni contro i tromboni RONCOLE VERDI (Parma) DAL NOSTRO INVIATO Nella Sala delle Tre Damigiane fa freddo, si sta seduti su una panca di fronte a due grossi pezzi di legna che bruciano nel camino. Le tre damigiane pendono dal soffitto attaccate a un minuscolo vaso da notte. E' il lampadario disegnato da Giovannino Guareschi per quello che fu il suo ristorante, accanto alla casa natale di Verdi. Sulla panca Alberto e Carlotta, i figli di Guareschi, tengono in braccio la prima annata rilegata del Bertoldo: 49 numeri del '36 ripubblicati ora da Rizzoli in cofanetto con introduzione di Oreste del Buono. Sono passati cinquant'anni dalla fine della testata, venticinque dalla morte di Guareschi. Alberto e Carlotta assomigliano al padre: stessi occhi tondi, miti e febbrili insieme, stesso naso prolungato. Sono i sacerdoti, i custodi delle sue memorie. Carlotta è la Pasionaria di tante pagine di Guareschi. Appena nata, «non poteva parlare, ma nei suoi occhi c'era tutta la rivoluzione d'ottobre». A due anni scappò piangendo sotto il tavolo: il padre stava lavorando e per farla smettere le allungò una caramella; lei la succhiò un po' ma poi gliela rese dicendo: «Preferisco piangere». Lo contestava: «I babbi sono sbagliati», sentenziò. Alberto non era da meno: «Io voglio bene ai miei genitori compreso il babbo», scrisse in un tema. Adesso vivono per lui. Banda di monelli cresciuti, quelli del Bertoldo, goliardi di genio. Gli editoriali di Giovanni Mosca prendono in giro la fanfara di regime. «Com'è l'adunata?», domanda a Bertoldo il Granduca Trombone. «Oceanica», risponde lui. «Com'è lo slancio di solidarietà umana?». «Commovente». «E l'iniziativa?». «Coraggiosa». E Vittorio Metz con i suoi «Sillogismi» ribalta ogni logica. L'assurdo, il nonsenso, è rinforzato dal leggendario Signor Veneranda di Carlo Manzoni. Tutte le sei pagine del bisettimanale, fra raccontini, storielle e vignette, sono un peana alla freddura, alla battuta demenziale. «Oh, maestro, voi che siete un sì delicato poeta: fatemi un verso!». «Buuuu!». Vignetta di Italo Calvino, che si firmava Jago (da Santiago, a Cuba, dov'era nato). «Per favore, siete voi il famoso Gran lama del Tibet?». «Sì». «Be', allora: barba e capelli». Vignetta di un Oreste del Buono coi calzoni alla zuava, che firmava bello chiaro e tutt'attaccato, così: Orestedelbuono. Tutti e due, Calvino e Del Buono, venivano pubblicati nel «Cestino», rubrica per giovani umoristi ideata e tenuta da Giovannino Guareschi nel '39. Il Bertoldo, voluto da Angelo Rizzoli, l'ex martinitt, il Cum- menda, per fare concorrenza al Marc'Aurelio, fu un grande successo: ebbe presto un «nipote», il Settebello, e diede vita all''Arcibertoldo, serie di numeri unici a tema. Lo spirito era identico. In una tavola di Walter Molino, Cesare Borgia esclama: «Oggi voglio scialare: cameriere, acido prussico per tutti!». In un'altra tavola, di Giaci Mondami, un ferroviere blocca un treno affollato di ragazzi mentre bianchi angioletti in camicione volteggiano nel fumo nero: «Mi dispiace, ma il treno è troppo pieno. Se volete partire, dovete scendere tutti». In questa Sala delle Tre Damigiane, meta di pellegrinaggi (vengono laureandi e studiosi), c'è un patrimonio da disseppellire. Annate di riviste dimenticate o mai più viste, come II Galantuomo di Mondaini; le collaborazioni di Guareschi, come quelle per La Stampa e Omnibus; i disegni originali a colori dello stesso Bertoldo, quelli salvati dal macero: se ne farà presto una mostra a Milano. Alberto e Carlotta non erano ancora nati quando il babbo sbarcò a Milano per fare il Bertoldo, ma ricordano quel che sentivano raccontare in casa. Guareschi l'aveva segnalato Zavattini, antico complice al convitto Maria Luigia di Parma, dove Za era istitutore. Il liceale Guareschi inchiodava di notte al pavimento di legno le ciabatte di Za e poi faceva un gran fracasso: Za scendeva di furia dal letto, infilava le ciabatte e s'abbatteva. A Milano Guareschi vive in una stanza ammobiliata con la sua Ennia. Hanno freddo: lui lavora «imbacuccato in una coperta» con i piedi dentro una cassa piena di carta straccia. Di fianco abita «una matura signora di estremamente facili costumi»: quando è sola, Ennia si barrica in stanza perché i clienti spesso sbagliano porta. Lui va contento al Bertoldo perché «dem-o la nebbia di Milano è nascosto il suo avvenire». La redazione è uno stanzone con un tavolo e dodici sedie. I bertoldiani danno scandalo: schiamazzano, escono a prendere il caffè, non rispettano l'orario. Una mattina Metz e Manzoni trovano ad aspettarli in cima alla scalone d'ingresso l'amministratore Ferrazzuto, che estrae l'orologio dal panciotto e sibila: «Sono le dieci e un quarto». «Solo? - replica Metz -. Allora andiamo a prendere un caffè». Dopo l'8 settembre '43 il Bertoldo chiude. Guareschi se lo porta nel cuore anche nel lager, in Germania e in Polonia. Confeziona un Bertoldo parlato, edizione speciale per italiani all'estero. Lo legge di baracca in baracca secondo un programma che affigge nella latrina. Nel dopoguerra molti amici del Bertoldo seguono Guareschi nel Candido. L'avventura, ora politica, continuava. «Che peccato! - esclama Carlotta -. Negli ultimi anni l'hanno tagliato fuori. Non lo facevano quasi più lavorare. Abbiamo una lettera in cui si dice che alla Rai non avrebbero più fatto per motivi politici i telefilm tratti dal Corrierino delle famiglie: il nome di Guareschi riusciva ostico ai membri della commissione di vigilanza. Il babbo era amareggiato. E' sempre stato un uomo scomodo perché libero. Non qualunquista, come dicevano. Adesso lo riscoprono tutti». All'uscita, dove c'era il bar, un altro lampadario firmato da Giovannino Guareschi: tre manubri di bicicletta attorno a un fanale di trattore, una catena, due pedali, un pistone. «Papà s'è divertito», dice Carlotta. Alberto: «E' sempre lo spirito del Bertoldo]». Claudio Altarocca Una banda di monelli: Mosca, Metz, Calvino, Del Buono egli altri Giovanni Mosca: nei suoi editoriali prendeva in giro la fanfara del regime Giovanni Guareschi con i figli Alberto e Carlotta, quando erano bambini. A sinistra una copertina del «Bertoldo» nell'annata 1936