Convegno a Asti
Convegno a Asti Convegno a Asti Fusione fredda L'industria scommette ASTI. L'industria è disponibile a scommettere sulla fusione fredda, a investire denaro, a finanziare ricerche. L'incontro che si è svolto ieri ad Asti tra i massimi esponenti di questi studi, il primo del genere, è probabilmente destinato a provocare un'accelerazione decisiva ad attività confinate finora all'interno di pochi laboratori. C'erano, con i padri della fusione fredda, Martin Fleischmann e Stanley Pons, tutti i più agguerriti esponenti di questa controversa, eccitante avventura scientifica, da Giuliano Preparata dell'università di Milano, a Tullio Bressani dell'università di Torino, a Franco Scaramuzzi dell'Enea (che ha ripetuto con successo l'esperimento), Hubert Girault del Politecnico di Losanna, Yan Kucherov, russo, che lavora con il Mit di Boston. Quando il 23 marzo dell'89 Fleischmann e Pons annunciarono di aver ottenuto una piccola quantità di energia, sotto forma di calore, dalla fusione a freddo di due atomi di deuterio (una forma particolare di idrogeno), con un procedimento elementare, l'elettrolisi, praticamente identico a quello che tutti gli studenti delle superiori possono ripetere nelle loro aule di chimica, tra gli scienziati la reazione più diffusa fu l'incredulità. Come era possibile accettare che due ricercatori fino ad allora sconosciuti, con un'apparecchiatura ridicola (un contenitore a forma di bottiglia, una batteria, due elettrodi) fossero stati in grado di provocare quella fusione che altri ben più illustri scienziati andavano inseguendo invano da anni con impianti sofisticatissimi e investimenti colossali? E le prove dov'erano? Tra gli scienziati lo scetticismo non è finito nonostante il gran lavoro fatto da Fleischmann-Pons e dalla crescente schiera dei seguaci per ripetere l'esperimento e, appunto, per provare che si tratta proprio di fusione, il procedimento opposto alla fissione oggi sfruttata nelle centrali nucleari, e a differenza di questa senza rischi, illimitato e poco costoso. Nell'incertezza, l'industria non vuol rischiare di perdere il tram. I giapponesi sono i più attivi: da tre anni Fleischmann e Pons lavorano a Sophia Antipolis, la città tecnologica sulla Costa Azzurra, a un progetto finanziato dalla Toyota; Eiichi Yamaguchi si occupa di fusione fredda per conto della Nippon Telegraph and Telephone, la Mitsubishi è entrata nel gioco fin dal '90, la Nippon Steel ha stanziato grosse cifre; e pochi giorni fa il Miti, il potente ministero per il commercio estero, ha messo in bilancio 40 milioni di dollari. Secondo Fausto Lanfranco, responsabile delle politiche industriali Fiat e regista dell'incontro, è ormai possibile accantonare la «querelle» sull'esistenza o meno della fusione fredda; oggi la domanda è: «Quando e come la domineremo? Quando la potremo trasferire dal laboratorio alla produzione?». Risponde Bressani: bisogna creare gruppi di tecnici, ingegnerizzare gli attuali dispositivi, poi in tempi brevi sarà possibile ottenere potenze fino a 10 kilowatt, circa un quarto della potenza di un'utilitaria, utilizzabili per esempio per termosifoni o piccoli dissalatori; nel termine di una decina d'anni si potrebbe già pensare a potenze dell'ordine del megawatt, sufficiente per un paesino. Vittorio Ravizza
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