Sensini: e adesso salto anch'io di SensiniClaudio Giacchino
Sensini: e adesso salto anch'io Sensini: e adesso salto anch'io «Ho atteso per anni la grande squadra Con il Parma finalmente esco dai sogni :» PARMA DAL NOSTRO INVIATO Hai un bel dire che la bravura e l'impegno da soli bastano ad illuminare una carriera, che l'aiuto della sorte non è mai determinante, che, anzi, sei tu l'unico tessitore del tuo destino. Prendiamo, ad esempio, Roberto Nestor Sensini: per quattro anni è stato tra i migliori dell'Udinese, per quattro anni la critica l'ha eletto cardine della squadra e il pubblico friulano applaudito come il Trascinatore e il Capitano: eppure, all'argentino solo adesso è riuscito il grande salto. La sfortuna di Grun è stata la sua fortuna, se il belga non si fosse fatto male in modo così grave da dover rimanere fermo sino a pri¬ mavera, mai l'idolo dei friulani sarebbe arrivato al Parma, continuerebbe a lottare per non precipitare di nuovo, come gli era accaduto nel maggio '90, in B dove poi a lui, vicecampione del Mondo a Italia '90, toccò languire due stagioni. Così, grazie ai legamenti rotti del ginocchio di Grun, ecco Sensini alla corte di Scala. Il che, oltre a dimostrare l'indispensabilità della Dea bendata, dimostra anche la potenza del Parma, di un club che è provinciale solo per la geografia: quale provinciale, infatti, può permettersi di sostituire prontamente un campione ko sborsando altri 5 miliardi dopo i tanti spesi in estate? Oggi Sensini ha un motivo di gioia in più: ha ritrovato Escu- bidù, «l'amato cocker che l'altra sera s'era perduto seguendo una cagnetta». Roberto Nestor ha appena finito l'allenamento, la sua tuta è quella più macchiata di fango, segno che sul terreno melmoso l'ultimo arrivato non ha lesinato l'impegno. Per l'argentino, il trasferimento in Emilia è «una sferzata d'entusiasmo che d'improvviso ha movimentato la vita mia, di mia moglie, della nostra bimba di 7 mesi, Juliette, e dell'indisciplinato Escubidù. A Udine sono stato da re. Però, è normale ambissi ad una squadra con grandi traguardi. E, per due anni di seguito m'ero illuso di averla trovata. Nell'estate del '92 la Sampdoria mi cercò, pareva fatta, invece... Mi consolai pensando che con l'Udinese ero finalmente tornato in serie A, potevo valorizzarmi. A giugno seppi che la Juventus mi voleva, il mio manager era sicuro che la trattativa sarebbe andata in porto, ripeteva che ero proprio l'uomo giusto che Trapattoni cercava per equilibrare l'assetto bianconero. Infatti... rimasi in Friuli: chissà, forse il presidente Pozzo aveva chiesto troppo (come fece con il Torino dopo che Mondonico aveva posto l'argentino in cima alla lista dei comperandi, ndr). Ancora a ottobre sentivo parlare della Juve, che forse ci sarei andato il prossimo luglio. Ma ormai, visti i precedenti, non m'illudevo più. Così, quando tre settimane fa, è spuntato il Parma, ho tentato disperatamente di tenere a freno i sogni. Non m'è costata molta fatica, perché, stavolta, di parole se ne sono fatte davvero poche, è accaduto tutto in un lampo. Due giorni dopo che il Parma s'era fatto avanti mi presentavo a Scala». Il suo ottavo allenatore in Italia. «Già, all'Udinese non facevi in tempo a conoscerne uno che Pozzo lo cacciava per assumerne un altro. Fedele e Mazzia quelli ai quali sono rimasto affezionato. Con Bigon, Scoglio, Marchesi e Buffoni normali rapporti di lavoro. Vicini? Ah sì, c'è stato anche lui, è durato un lampo. Scala? Mi sembra, dal pochino che ho visto, possedere qualcosa in più degli altri». La cosa che l'ha colpita maggiormente del Parma? «La mancanza di pressione attorno alla squadra, pensavo che ce ne fosse sin troppa su un gruppo che corre per lo scudetto. Tempo fa ho sentito Balbo, non s'è ancora abituato alla Roma, rimpiangeva la tranquillità di Udine: posso ritenermi fortunato». Pregi e difetti di Sensini? «Il pregio è l'adattabilità, posso giocare da mediano, mezzala, libero, marcatore. Il difetto, non sono amico del gol, in Italia ne ho segnati solo 10. L'ultimo al Toro, a marzo. Sarebbe ora di farne un altro: magari domenica, al Milan, sarebbe, come dite voi, il massimo dei massimi». Claudio Giacchino
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