BERLINO le macerie e la gloria

le macerie e la gloria La metropoli si distrugge per rinascere: un lungo periodo di scavi, scheletri, buchi e lavori le macerie e la gloria BONN DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Hanno rifatto e controllato i conti, i senatori di Berlino, e non ci sono sbagli: da soli, i detriti e le macerie estratti dagli scavi della Potsdamerplatz formeranno una collina grande quanto dieci stadi e alta come la torre tv che fu il vanto di Honecker e del suo regime, poco meno di quattrocento metri. Per portarli via, ci vorrà una colonna di autocarri idealmente lunga quattro volte la strada che collega Berlino a Boma, settemila chilometri. Ogni giorno, e fino al Duemila, almeno cinquemila camion invaderanno le strade della città. Ma non potrebbe essere altrimenti: da solo, il cantiere gigantesco appena aperto nel cuore della capitale dimezzata batte ogni record, è il più grande in Europa, gli investimenti nei prossimi dieci anni supereranno i venti miliardi di marchi. Perché dunque «Berlino torni ad essere una città normale» e si compia così la «grande promessa dell'89», la vita quotidiana dei suoi abitanti sarà sconvolta, le sue strade saranno devastate dagli scavi, il traffico diventerà ancora più caotico e agitato di quello d'oggi, e i suoi canali - più numerosi e contorti di quelli veneziani - dreneranno i fumi e la polvere di migliaia di ruspe e scavatrici. Fin d'ora a Berlino non c'è quasi strada senza gru, non c'è spiazzo senza i container blu e gialli dell'edilizia, non c'è marciapiede senza un deposito di attrezzi. «Ci aspettano quindici anni di lacrime», confessa il responsabile per i lavori edili nel governo cittadino, Wolfgang Nagel, «ma alla fine questa sarà una metropoli fantastica». Set te milioni di abitanti: il più grande polo economico e sociale dell'Europa centro-orientale, la vetrina d'Occidente al limitare di un mercato immenso, postazione avanzata per il marco e le sue legioni. Non a caso la Berlino del Duemila comincia sulla Potsdamerplatz. Per quanto elevati siano i costi economici e ambientali, ammettono al Senato, sarebbe difficile immaginare «la città futura» con quella ferita enorme (oltre sessantaduemila metri quadrati) ancora aperta. L'ultima immagine della distruzione e della guerra - la più sconvolgente, per via della sua vastità inerte - è anche quella che corre a cavallo di due mondi e di due storie parallele: dov'erano la divisione del mondo e il Muro, dove «cominciava l'Occidente». E' qui che un nuovo emblema dovrà cancellare simboli ingombranti, è qui che il passato più difficile dovrà venire esorcizzato: dalla desolazione della terra di nessuno nascerà la nuova City, il cuore commerciale, finanziario e mercantile della futura capitale federale, un gigante proteso verso Oriente. Secondo il progetto dell'architetto Benzo Piano, à fine secolo la Potsdamerplatz sarà rianimata con negozi e grandi magazzini, uffici, 750 appartamenti, alberghi e ristoranti, un teatro musicale e un casinò, tutti convergenti verso un centro, la «Piazza» aperta soltanto al passeggio. Ma questa connessura fisica e ideale fra l'Est e l'Ovest dovrà dare il tono generale alla nuova capitale del Duemila, dovrà esprimerne i valori di città uscita dal disordine. E annunciare la fine delle utopie contrapposte che, per quarant'anni, hanno fatto di Berlino una città divisa anche nei miti urbani: il sogno americano all'Ovest, aggredito fin dal primo dopoguerra dalla gigantomania e dal consumismo esasperato; e la penuria socialista all'Est, quella patina di povertà edilizia imposta dal regime come illusoria garanzia di eguaglianza. Per questo, promette Piano, la Potsdamerplatz che nascerà alla fine del millennio «non sarà né ricca né povera, ma sarà qualcosa di semplicemente giusto». Il cantiere gigantesco aperto dove correva il Muro è un'avanguardia, il primo soltanto di una lunga serie. Saranno quasi trecento quelli che dovranno «definire la nuova metropoli europea», con un impegno finanziario di centinaia di miliardi di marchi a carico del governo federale, di quello regionale e di decine di investitori privati, dalla «Sony» alla «Daimler-Benz», dalle catene di supermercati alle compagnie di assicurazione, dalle banche agli editori (nell'insieme, i privati spenderanno almeno il doppio della somma prevista dal cancelliere Kohl per costruire al¬ loggi e uffici sufficienti ad ospitare i funzionari che lasceranno Bonn per Berlino, dopo il trasferimento di governo e Parlamento). Si apriranno cantieri accanto al Beichstag e lungo l'arco della Sprea, dove nascerà il «quartie¬ re del governo»; al centro del Tiergarten, uno dei più bei parchi in città, per il tunnel che servirà al traffico pesante, e naturalmente sull'Alexanderplatz, un altro luogo della mitologia berlinese accerchiato da prefabbricati giganteschi e gre- vi, moscoviti. Se la Potsdamer è il segno dell'inerzia distruttiva ereditata dalla guerra, l'Alexanderplatz è l'emblema dell'illusione garantista dei regimi comunisti. Ulbricht e Honecker le avevano assegnato il ruolo che Krusciov riservò alla prospettiva Kalinin, a Mosca: condensare nel minimo di spazio il massimo di una modernità edilizia illusoria. Per toglierle questa «impronta socialista» e «far tabula rasa con la Ddr», l'architetto Hans Kollhof ha preparato una «cura radicale», che ha tuttavia sollevato perplessità e proteste: tredici grattacieli di 150 metri dovrebbero assediare la «torre Honecker» sormontata dal ripetitore tv e dal ristorante panoramico. Lo spazio attorno sarebbe colmato da ristoranti, negozi e teatri. Una sola strada l'attraverserebbe. C'è un terzo polo d'intervento, nella Berlino che guarda al Duemila. E' sparso nei quartieri popolari che richiedono un risanamento radicale, ammodernamenti dei servizi, nuove case per le centinaia di migliaia di persone che affolleranno la futura capitale: gli ottantamila appartamenti che saranno pronti nel '97 copriranno appena le necessità di oggi. Soltanto all'Est, l'ex villaggio socialista coperto da una patina di usura precoce, bisognerà recuperare oltre venti milioni di metri quadrati per appartamenti e uffici. Dietro questo cantiere gigantesco e multiforme, dietro questi «lavori d'Ercole» come li chiamano i senatori di Berlino, si intravedono forse le «meraviglie del millennio», ma anche ambizioni che potrebbero essere frustrate. In questo sforzo gigantesco di colmare un vuoto, di chiudere il cerchio della storia ricomponendo la città divisa, «Berlino vuole vincere il futuro», riassume il borgomastro Eberhard Diepgen. Vuole «recuperare una visione», auspica il presidente della «DaimlerBenz» Edzard Beuter, figlio del borgomastro che chiese al mondo appena uscito dalla guerra: «Abbiate cura, tutti voi, di questa città». Ma, obietta Klaus Hartung sulla «Zeit», quel che sta accadendo oggi a Berlino è più che un balzo verso il futuro: nella capitale dimezzata, «il futuro ha sottomesso il presente, in una piccola guerra con migliaia di spiacevoli fastidi». Non soltanto la cartografia della città è diventata fluida, alle volte incerta e ambigua; rischia di dissolversi e sparire un patrimonio sociale e urbano, rischia di estinguersi «la capitale della malinconia», quell'insieme di «periferie interne» che erano anche «lo spazio della fantasia». E se continuasse l'aggressione alla particolarità dei suoi quartieri - da Kreuzberg a Prenzlauerberg, dove Bonn è più lontana di Managua o di Istanbul - Berlino rischierebbe di diventare un uniforme, dilatato, enorme «centro». Senza contare i «rischi umani», sottolineano gli oppositori del nuovo mito, la «metropoli Berlino»: un'intera generazione crescerebbe in un'entità urbana sconosciuta e misteriosa, in un orizzonte urbano disegnato da migliaia di gru e di cantieri, in una città indefinita e incerta che negli anni della maturità diventerebbe all'improvviso «un'altra». Ammonisce lo storico Karl Schloegel: «Più che di matite da disegno, Berlino ha bisogno di una lunga convalescenza». Ma mentre il dibattito sul futuro infuria, c'è chi si ricorda di Max Bloch: «Berlino sarà sempre e non è mai». Emanuele Novazio Investiti venti miliardi di marchi nel più grande cantiere d'Europa Una nuova Potsdamerplatz di hotel, case, negozi, teatri I m A sinistra: resti di Muro fotografati da Alain Volut A destra: Honecker Qui sotto Helmut Kohl In basso: una veduta del Reichstag