Civitavecchia scoppia la guerra tra i padri

11 Dopo lo scandalo per l'amore tra minorenni, la città si ribella: qui non ci sono mostri Civitavecchia^ scoppia la guerra tra i padri «Mio figlio torturato per una assurda vendetta» CIVITAVECCHIA DAL NOSTRO INVIATO «Cosa sarà che ti fa morire a vent'anni anche se vivi fino a cento». (Lucio Dalia-Francesco De Gregori). I ragazzi di Civitavecchia hanno l'orecchino che brilla e l'occhio spento. Arrivano sul piazzale con i motorini scarburati, parcheggiano sotto la chiesa, ma poi si appoggiano al muretto e le voltano le spalle. Qualcuno gioca a calcio con una palletta rattoppata. Le femmine fumano, guardando il vuoto, i maschi parlano di giubbotti e dell'ultimo disco degli 883. Fanno: «E tu chi sei?». Uno della Stampa. «Che è La Stampa?». Un giornale. «Ah». Non leggete i giornali? «Non arrivano». Nemmeno i fumetti? «Boh». Che film vi piacciono?. «Film». E la tv? «La tv fa schifo». Le bambine di undici anni no, però. «Ancora 'sta storia! A parte che quella se l'è andata a cerca. Sempre in giro a fare la smorfiosa. E poi chi se ne frega, che importa. Non è nemmeno divertente». Che cosa? «Il sesso, no? E' sempre la stessa roba, più o meno». Il ragazzo più alto, quello col giaccone bianco e i capelli a caschetto, sta per dire qualcosa, ma poi sbuffa soltanto e se ne va. Gli amici lo guardano con stupore: ha avuto una reazione umana. Restano lì, sotto il muro con la scritta enorme: «Vomitare contro la noia». L'avete fatta voi? «Boh». Ma c'è qualcosa che vi interessa davvero? «Qualcosa che?» La politica, magari: con tutto quello che sta succedendo. «La politica fa schifo». Adesso sta cambiando, no? «Certo. Quelli che han rubato se ne vanno. E quelli che arrivano, ruberanno uguale». Una risata non vi scappa mai? «Eh?». Ma ci sarà qualcosa che desiderate. «Boh». «Boh». In fondo al gruppo, un biondino finalmente si illumina. «Sì. La macchina. Quando faccio diciott'anni». Su una cosa i ragazzi di Civitavecchia hanno ragione. «Smettetela di parlare di noi come se fossimo dei diversi. Qui si vive come dappertutto». Civitavecchia come Los Angeles o il Bronx. Là le piscine o i ghetti, qui una piccola borghesia che garantisce una sopravvivenza quasi sempre decorosa. Ovunque, però, la stessa noia. Gli stessi videogiochi. Gli stessi silenzi: fra ragazzi e con i genitori. Vincere, perdere. Fare l'amore con una bambina, non farlo. Uguale. Alessandro ha diciassette anni e le orecchie che svettano come pale sopra i capelli neri tagliati corti. Sta aspettando di parlare col magistrato. Ha il maglione peruviano, il giubbotto alla moda e gli occhi... Bisognerebbe guardargli gli occhi. Occhi bassi, da cane bastonato. Il padre è un impiegato dell'Inail con la voce che trema: «Sono preoccupato. Mio figlio si sveglia di notte in preda agli incubi». Per quello che ha fatto? «Per quello che gli hanno fatto. Vi rendete conto? Se il padre della ragazza lo avesse lasciato lì, senza slegarlo, a quest'ora Alessandro sarebbe sicuramente morto. E prima quel ramo, infilato lì, voi sapete dove». Lui e il ragazzo si allontanano. Impossibile far capire a quest'uomo sconvolto che la vendetta del signor Gianni Amodeo, certo, è stata terribile, ma che quel che davvero sta sconvolgendo gli italiani è l'immagine di una quindicina di minorenni senza scenari sociali devastanti alle spalle che praticano l'amore libero all'insaputa dei familiari. L'argomento in città non piace a nessuno: le autorità minimizzano, gli adulti scappano, i ragazzi se ne fregano. Davanti alla scuola media frequentata dalle ragazzine dello scandalo, ci sono madri che arrotolano i calzettoni bianchi delle figlie, urlando contro le telecamere e invocando la polizia. «Non ci sono mostri, qui». La figlia di Amodeo è chiusa in casa, a via Tarquinio. Si affaccia per un attimo: capelli biondi e una faccia che suggerisce almeno cinque anni più del vero. Dietro c'è una storia che ciascuno racconta a modo suo. «Giocava un po' a fare la superstar. Le piaceva far girare la te¬ sta ai ragazzini un po' più grandi», spiega padre Girolamo, il viceparroco di San Felice, che dal finestrone della sagrestia non si perde nulla di quel che succede sul piazzale. Ogni tanto i ragazzi del muretto gli bruciano il campanello d'ingresso. Una volta, poi, ir. un sussulto di energia, hanno incendiato un motorino, lasciandogli la carcassa fumante sotto casa. Cos'altro fanno, padre? «Niente. Questo è il problema. Qualcuno lavora, qualcuno va a scuola, qualcuno dice di andarci. E invece si viene a parcheggiare qui, già alle nove del mattino. Restano sul piazzale fino a notte, anche quando fa freddo. Ma a casa non ci stanno. Famiglie complicate. O assenti, che poi è anche peggio. Da bambini entravano in chiesa, poi hanno cominciato a scivolare verso le ultime file, finché un giorno sono rimasti fuori e non sono entrati più. Non sono naziskin. Non picchiano, non fanno del male. Non fanno niente, purtroppo. Non li senti mai dare un giudizio su nulla. O desiderare qualcosa. Come se il vuoto che hanno dentro avesse divorato anche l'ambizione». Con lei parlano? «Un po' la mattina, quando pulisco il piazzale. Hanno paura del futuro, sentono che per loro è privo di sbocchi. Si chiedono: ma domani cosa ci darà lo Stato?». E loro cosa daranno allo Stato, cioè a se stessi? «Eh, questa domanda purtroppo non se la pongono. C'è il vuoto, dentro». Vicino a lui, Massimo e Francesco stanno preparando il presepe: piantano dei chiodi dentro un asse. Hanno un po' di barba in più rispetto a quelli del piazzale, «ma fino all'anno scorso eravamo lì anche noi». Poi? «Poi a forza di prendere sberle, uno capisce». Capisce cosa? «I valori. Che c'è qualcosa che conta nella vita. Ma non date la colpa a questi ragazzi. E neanche alla bambina. Guardate cosa c'è dietro». Cosa c'è? «Cosa non c'è. Le famiglie. Non ti insegnano niente. Oppure sì, ed è peggio. La mamma di una di quelle, l'ha sentita un'amica nostra mentre diceva alla figlia: non uscire senza metterti il rossetto, altrimenti non piacerai mai a nessuno. E la figlia ha undici anni, capito?». Le famiglie, certo. E la scuola. All'istituto tecnico Ipsia, dove fino a lunedì scorso studiavano Alessandro e i suoi amici, c'è la professoressa d'inglese che dice: «Non so che è successo, ma comunque non è successo qui». E la suora che insegna religione: «Non so nulla, vengo da Brescia, sa?» Il preside, Gianfranco Zantu, è preoccupato per il buon nome della ditta: «Già avevamo solo due ragazze. Se diventiamo «la scuola dello stupratore» perderemo anche quelle». E già. In fondo alla strada c'è l'Inter club. C'è venuto anche Trapattoni, quando allenava i nerazzurri. Si è seduto qui, davanti a questo bancone con le tendine nerazzurre, dove Alessandro e la figlia del signor Gianni si sono conosciuti. L'inizio di tutto. Gli altri, nove ragazzi e tre ragazze, sono arrivati dopo. Oltre il bancone c'è la sala col biliardo e i videogiochi addossati alla parete, fra una foto di Zenga e una un po' ingiallita di Matthaeus. I videogiochi, che negli angoli più desolati della piovincia italiana hanno ormai soppiantato la tv. «Alessandro ci passava le ore, davanti a quell'affare», racconta il signor Federico, il segretario del club. Basta mettere duecento lire. Lo schermo si illumina, c'è un omino che cammina in mezzo ai «nemici» e per andare avanti deve sparare. «Barn, barn». Un rumore che Alessandro e i suoi amici ascoltavano per ore e ore, fino a cancellare ogni altro suono, anche umano. «Non si parlavano neanche fra di loro», sbotta il segretario. «Io ho 40 anni. Alla loro età facevo le tre di notte a parlare di politica. A dire: ecco cosa farò da grande. Questi manco sanno chi è il presidente della Repubblica. Manco sanno suonare una chitarra. Sono cinici. L'amore? Un gioco. Pure per 'ste bambine. Non conta nulla, non c'è problema. E noi, scemi, che non ci accorgevamo di niente...». Massimo Gra mei lini La chiesa di San Felice a Civitavecchia, davanti alla quale si ritrova la gioventù della città A fianco il vice parroco, padre Girolamo

Persone citate: Amodeo, Francesco De Gregori, Gianfranco Zantu, Gianni Amodeo, Lucio Dalia, Matthaeus, Trapattoni, Zenga

Luoghi citati: Brescia, Civitavecchia, Los Angeles, San Felice