«lo fascista? Vergognatevi» di Pierluigi Battista

r Berlusconi: o il Centro si unisce o dovrò fare un mestiere non mio «lo fascista? Vergognatevi» «Su Fini ho risposto da industriale La sinistra deve essere bloccata» ROMA. Spintoni, turbinio di flash, ancora spintoni, signore di una certa età travolte senza misericordia dall'onda d'urto di cameramen, fotografi, cronisti armati di taccuini che la ressa e la mischia rendono sempre più stropicciati, poliziotti che fanno cordone attorno a Silvio Berlusconi, un tempo Sua Emittenza, oggi ribattezzato dagli avversari Cavaliere Nero, Tutti accalcati per la megaesternazione del presidente della Fininvest. Tutti pigiati nella grande sala della stampa estera per capire se si farà o no questo misterioso partito berlusconiano, o per accertarsi dell'assenza carica di significati di Gianni Letta e Fedele Confalonieri, che stavolta non seguono come un'ombra il Grande Capo nella sua esibizione. Ma lo show must go on e Berlusconi, dopo aver affrontato sul marciapiede il drappello di Marco Pannella, abbandona presto la politica del sorriso per descrivere a tinte fosche l'Italia che sta per cadere nelle mani «delle sinistre», il Centro moderato frastornato e annichilito che ha bisogno di una salutare «scossa», l'economia di mercato che è in pericolo, l'«intolleranza» e le «menzogne» che avrebbero avvelenato le reazioni degli avversari dopo che il presidente della Fininvest ha pubblicamente optato per Gianfranco Fini. Ecco il distillato «di un imprenditore che malgrado tutto vorrebbe continuare a fare l'imprenditore», insomma del Berlusconi più apocalittico mai conosciuto negli ultimi tempi. Il partito che non c'è (ancora). «La mia è stata una provocazione», ma «da uomo di mercato e uomo di trincea» dico che «i protagonisti della politica hanno bisogno di una grande scossa» e che un'intera «classe dirigente è prigioniera del passato, cieca e intossicata dalle ideologie». E mentre la sinistra ha saputo adeguarsi alla «nuova situazione che si è determinata con l'adozione di un sistenma elettorale maggioritario» creando un suo proprio rassemblement, dall'altra parte, dalla parte dei «moderati», «ciascuno se ne va per proprio conto» come «i polli di Renzo». Dunque o si capisce, «prima delle prossime scadenze elettorali», che tra i moderati bisogna «esaltare ciò che unisce e minimizzare ciò che divide» oppure sarò costretto a fare «un mestiere nuovo, una professione che non conosco», insomma la politica, pur di non consegnarsi nelle mani del pds; «spero proprio di non doverlo fare». La sinistra. Ovvero il Male. Ovvero la centrale operativa dello «statalismo e del dirigismo», l'espressione di una «mentalità molto lontana dall'economia di mercato». E poi il pds non è che un pei riverniciato: «I suoi esponenti sono gli stessi del pei, lo stesso segretario, gli stessi sistemi, gli stessi comportamenti». Aggiunta autobiografica: «Come ho potuto constatare di persona». E del resto la storia del comunismo che cos'è? «Lenin, Stalin, il sacrificio dei kulaki, 35 milioni di morti». Fini. «Sono stato un ingenuo», «ho risposto con franchezza», «nella mia ingenuità di imprenditore non avvezzo ai sofismi della politica non mi ero reso conto di quale intossicazione ideologica» fosse ancora intrisa l'Italia. «Non ho cercato si svicolare» alla domanda su quale candidato romano avrei scelto tra lo schieramento moderato e le «forze della sinistra». Ho «risposto Fini», che è «una brava persona» di «buon senso», nata nel 1952. «Vergogna» (e qui Berlusconi si arrabbia) per chi ha scritto «stupidaggini», «menzogne» e mi fa passare «con il fez e mi chiama Cavaliere Nero». «Vergogna» (ancora) che si possa dubitare della mia «lontananza da quell'ideologia». Il fascismo. Lo dico. Non lo dico. Sì lo dico: «Mio padre è stato in esilio per due anni. La mia famiglia ha avuto dei guai durante il fascismo». Io sono «per l'economia di mercato mentre il fascismo era statalista e sosteneva l'autarchia» ma ormai sono passati cinquant'anni e il «fascismo è un'ideologia sepolta nel passato». «Citatemi un solo atto nella mia storia di imprenditore che possa testimoniare la mia tenerezza verso quell'ideologia». «Vergogna» (e tre), «siete in malafede». «E' come se si dicesse di Agnelli, che aveva detto di scegliere Castellani presentato dal pds, che ha sposato la storia del comunismo». P2. «Un'altra menzogna assoluta». «Ho dato la mia adesione solo perché stressato dall'insistenza del mio amico Gervaso e poi nessuno allora pensava ancora che la P2 fosse quella cosa segreta e pericolosa che poi si è manifestata. Un giorno mi portarono una tessera con su scritto "muratore apprendista". Mi sono offeso. Visto che ero un imprenditore edile meritavo almeno la qualfica di Gran Maestro. Ho rispedito la tessera al mittente, come può testimoniare Vittorio Moccagatta, che allora partecipò alla riunione e che oggi è capo ufficio stampa del gruppo De Benedetti». Berlusconi-story. Io monopolista? Con la mia tv «si è compiuto un miracolo straordinario». Ho cominciato assieme a Rizzoli, Mondadori, Rusconi e dopo aver «salvato» due gruppi ho combattuto da solo contro lo strapotere della Rai (nel linguaggio berlusconiano il «competitor»), «che aveva la diretta, disponeva di star famose e di un canone per cui soltanto nel mese di gennaio incassava tanto quanto per noi è necessario un anno di pubblicità». «Siamo riusciti a contrastare questa concorrenza» nell'incertezza e sotto la costrizione di quanto «ci concedeva il Principe» e appena abbiamo avuto la diretta («a noi non davano ordini, semmai chiedevano cortesie») abbiamo fatto i tg, e «aumentato il pluralismo con un telegiornale liberamente fatto come ha orgogliosamente detto Enrico Mentana» (e anche la fronda interna è stata blandita». Craxi? «Sono suo amico». «La bilancia della storia ci dirà se sono maggiori le cose negative o quelle positive». Mormorii, mugugni. Gli ultimi flash. E poi tutti a casa. Pierluigi Battista «I protagonisti della politica hanno bisogno di una scossa I moderati sono come i polli di Renzo: ognuno corre per sé» A sinistra, Silvio Berlusconi durante la conferenza stampa di ieri a Roma In alto, la polemica copertina dell'Espresso

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