Non dovevamo tradire Maometto

Il grande studioso novantenne racconta la passione della sua vita Il grande studioso novantenne racconta la passione della sua vita Non dovevamo tradire Maometto 'bili solo ai lati » ROMA RAINTENDIMENTI, forzature, immagini distorte, giudizi ingiusti. E, da qui, incomprensioni, ulteriori ostacoli al dialogo di pace. «La nostra semicultura ha dato un'immagine dell'Islam scenografica, stilizzata, romantica nel peggiore dei sensi» accusa Francesco Gabrieli, grande islamista tradotto e premiato in tutto il mondo, dall'85 all'88 presidente dell'Accademia dei Lincei, in questi giorni - quasi novantenne - insignito di un nuovo riconoscimento dall'associazione «Civiltà del Mediterraneo». Nel silenzio della casa annidata in cima a Monte Mario la sua voce è ferma e leggera, con le erre che si srotolano veloci. Lo studio pieno di libri riserva uno spazio non secondario per la conversazione e i visitatori. Alto, la figura dritta e solenne, il professore ammonisce gli uomini di cultura, i mass media. Dice: «Non è vera, è molto esagerata, questa storia che l'Islam si è propagato solo con il sangue e la violenza. La sua diffusione è avvenuta anche per la sua forza suasiva, per convenienze economiche e sociali, perché aderirvi significava uscire dalla minoranza dei tollerati e entrare nel ceto dominante. Quest'immagine dell'Islam guerriero - rafforzata oggi dall'intransigenza dei fondamentalisti musulmani, dalla loro applicazione rigida, provocatoria e ostentata della norma, di norme per la civiltà occidentale inaccettabili come il taglio della mano del ladro, la lapidazione dell'adultera - è un'immagine profondamente radicata. Alla fine dell'800 c'era stato un moto modernista e sostanzialmente liberale nel mondo musulmano, che si sforzava di dimostrare che l'Islam era conciliabile con la civiltà moderna sentita come un valore da imitare, anche se non passivamente. Nessuno se ne ricorda. Mentre il fiammeggiare dell'estremismo dei nostri giorni fa sì che alcuni si chiedano se non siamo alla vigilia di una nuova ondata di conquista dell'Islam. Un timore infondato, anche per ragioni tecniche, economiche. Una specie di "mamma li turchi!" modernizzata, con gli arabi al posto dei turchi». Il professore ride quietamente, come un grande vecchio saggio. Che però non è indulgente con quanti, alimentando l'ignoranza, impediscono la conoscenza e quindi la possibilità di intesa fra le diverse civiltà. Insiste: «Non è vera l'accusa alla religione islamica di essere una religione pietrificata. Io ricordo alcuni decenni fa lo sforzo di Atatiirk per de-islamizzare la Turchia, sforzo imposto con la violenza ma che poi si è rivelato vano perché l'Islam è tornato a essere praticato dalla maggioranza. E' un forte indizio della vitalità della religione musulmana, che - anche quando è stata perseguitata - ha saputo resistere e riguadagnare le sue posizioni. E' un'esperienza profonda, millenaria, che non si può per via burocratica contrastare o presumere di annullare. Altro che religione pietrificata! Oggi l'Islam semmai è un vulcano in eruzione: spiritualmente è proteso all'espansione, all'offensiva e non più sulla difensiva come un secolo fa». Le responsabilità dei fraintendimenti non sono poche. Un tema che li ha alimentati, sottolinea, è quello della sessualità: «La poligamia, con i suoi eccessi e le sue limitazioni insieme, spesso è stata oggetto di giudizi falsi, distorti, da parte di male informati occidentali. Si è insistito sul libro sacro dell'Islam e sul profeta dell'Islam riguardo alla sua sessualità e al suo programma di poligamia estesa, su quelle visioni e promesse escatologiche di beatitu¬ dine celeste in cui hanno parte anche creature femminili. Da parte cristiana questa insistenza derivava dalle origini stesse del cristianesimo, da come il cristianesimo si pone di fronte alla donna e al rapporto fra i sessi: ne sono nate posizioni ingiuste verso l'Islam». Anche la divulgazione della cultura araba è stata fatta male, in marnerà superficiale: «Non si è approfondita la conoscenza della lingua. Ci si è accontentati di traduzioni coloristiche, di seconda mano. Questa conoscenza approssimativa ha dato luogo a molti equivoci». E non poco i mezzi d'informazione avrebbero contribuito alla cattiva conoscenza di una civiltà che oggi ci appare minacciosa, incomprensibile: «Ci si è occupati del mondo arabo ciclicamente, solo quando ci sono stati eventi clamorosi, drammi di sangue. La reciproca comprensione e la collaborazione pacifica sono considerate un fatto eccezionale. Ma la parzialità è fuorviante. E' sbagliata la sensibilità al lato abnorme e patologico più che a quello sano e pacifico, fattivo, operoso, che senza dubbio c'è nell'Islam. Come è un errore identificare integralismo e Islam. Non tutti i musulmani sposano la causa del fondamentalismo. Il fondamentalismo è solo una parte dell'Islam, anche se è una parte in espansione. C'è tutta una classe, un ceto di persone culturalmente sviluppate, familiarizzate con l'Occidente, che nell'intimo non condi- vidono questa durezza aggressiva dei loro leader o governi, anche se non sempre possono esprimerlo liberamente per il rischio di essere messi al bando o essere attaccati per tiepidezza rehgiosa». Quel mondo - che per noi è di volta in volta mitico e inquietante, quello delle Mille e una notte e quello della condanna a morte di Rushdie - il professore lo conosce bene. Racconta: «Incominciò quasi per gioco. Mio padre, che si interessava di cultura orientale, come per scherzo - quando ero un bambino mi insegnò l'alfabeto arabo. Una curiosità, di cui mi facevo bello con i miei coetanei. Diventò il filo conduttore della mia vita». Sorride, guardando davanti a sé con gli occhi vivaci. Il rosso del tramonto incornicia il profilo degli alberi e il disegno della città, che si estende in basso, coi suoi rumori lontani. Ri- corda: «All'università quest'attenzione all'islamistica fu al centro dei miei studi. Seguii i corsi dei grandi maestri di queste discipline. Poi, se mi permette ima citazione, "ho avuto il coraggio di insegnare quello che avrei dovuto apprendere dagli altri". Nel '30 ero libero docente di lingua e letteratura araba». Una vita di viaggi, incontri, premi, pubblicazioni, confronti, scoperte. «Gli anni dell'approfondimento, gli anni delle peregrinazioni mcominciarono subito dopo la laurea. Con una borsa di studio feci il primo viaggio. Nel '26. Come volevo, andai in Grecia e in Turchia. Nel '27 fu la volta dell'Egitto. Guardavo, ascoltavo, in pratica facevo turista. Purtroppo, e di questo mi sono sempre rammaricato, non mi sono mai fermato a lungo in quei Paesi. Rimanevo alcuni mesi e poi rientravo in Italia. Infatti la mia co¬ noscenza della lingua è un po' libresca, parlo la lingua letteraria comune, non i dialetti che si imparano vivendo a contatto della gente, nel sistema della quotidianità». Con alcuni dei Paesi arabi ha avuto frequentazioni più assidue: «Nel '54 insegnai per alcuni mesi all'Università di Algeri. Ero visiting professor. Stava per cessare l'occupazione francese e si organizzava la lotta per l'indipendenza e la democrazia. La città era calma ma già allora tutto intorno ribolliva». Il ricordo di quel tempo è in lui vivo e presente: «Personalmente mi duole molto vedere questo Paese che, dopo aver conquistato a così alto prezzo di sangue la sua indipendenza, è preda della lotta fra gli uomini stessi che fecero la resistenza al colonialismo e i loro compatrioti e correligionari musulmani che dell'Islam propugnano l'aspetto più aggressivo». Il professore è preoccupato. La pacificazione fra mondo arabo e Occidente si è avviata, quella stret- ta di mano tra Rabin e Arafat gli ha aperto il cuore alla speranza. «Ma è passato un mese circa e già la violenza degli opposti estremismi esplode. Di nuovo arabi ammazzano ebrei, e ebrei ammazzano arabi. E' cominciata male. Non oso dire come finirà. Chi come me ha molti anni sulle spalle, una definitiva pacificazione nel vicino Oriente dispera quasi di vederla». Non rinuncia tuttavia né alla speranza né alla ricerca del terreno su cui far maturare quel dialogo e quella pace che dalle sole alchimie politiche sarebbe vano aspettarsi: «Bisogna lavorare sulle radici e sui valori comuni. Come la stirpe semitica, che è di ebrei e arabi. Il principio della tolleranza. Il monoteismo. Il problema della giustizia sociale. Il valore della fraternità fra gli uomini». Anche se grandi sono gli scogli da superare, per esempio la radicale differenza fra «il posto da protagonista che la religione occupa nell'organizzazione sociale del mondo musulmano e il laicismo del mondo cristiano-occidentale». L'esigenza di dialogo fra civiltà diverse riguarda ormai anche il nostro Paese, dove ci sono sempre più etnie e sempre più frequenti esplosioni di razzismo. Il professore ne conosce i rischi, ma non drammatizza: «Vorrei essere ottimista. Vedo ancora forze sufficienti in Italia per fronteggiare e isolare questi rigurgiti di intolleranza che ci ricordano tempi e sistemi di vita politica detestabili, di cui noi stessi abbiamo tanto sofferto». Ma non vuole fornire «ricette» per fronteggiare le difficoltà. Si schermisce. Nel linguaggio forbito che gli è proprio, dice: «Io sono un osservatore non un propalatore di soluzioni». L'incontro finisce qui. Il buio della sera ormai è sceso sulla città. Il grande islamista si alza e chiude con vigore le persiane. Si gira e chiede divertito: «Sa che ho novant'anni?». Poi confessa: «Se proprio devo mettere il mio cuore a nudo, io mi sento più arabista che islamista: quello che sento di più e prediligo è la cultura, la storia della civiltà araba, più che l'Islam come grande religione». E un guizzo di impertinenza gli accende lo sguardo. Liliana Madeo «Abbiamo dimenticato presto le grandi correnti di rinnovamento: sono ancora in atto, anche se più segrete» «L'Islam è un vulcano in eruzione: altro che religione pietrificata» Sopra Francesco Gabrieli. A lato Mustafà Kemal Atatiirk, padre della Turchia moderna La Moschea Blu di Istanbul, uno dei capolavori dell'architettura islamica

Persone citate: Arafat, Francesco Gabrieli, Liliana Madeo, Mustafà Kemal, Rabin, Rushdie

Luoghi citati: Egitto, Grecia, Istanbul, Italia, Roma, Turchia