Il carcere che scoppia, l'Italia che soffre e la preghiera aerobica di M. Gram.

Le autorità non hanno crisi di coscienza lettere AL GIORNALE // carcere che scoppia, l'Italia che soffre e la preghiera aerobica Drogati in cella più costi che benefici La Stampa di domenica 21 riporta brani dell'intervento che ho svolto nel convegno su «Il carcere oggi» organizzato dall'Istituto Gramsci, e dà un certo risalto a talune riserve che ho sollevato nei confronti degli interventi legislativi che il ministro Conso ha in animo di proporre. Esigenze di brevità del resoconto hanno dato alle mie parole una perentorietà che avverto la necessità di chiarire, perché il tema è di drammatica urgenza e mi pare utile che l'opinione pubblica ne prenda esatta consapevolezza. La promessa ò nota: il carcere scoppia e rischia di trasformarsi in una sede di gravi turbolenze, strumentalizzabili dalla criminalità organizzata mafiosa. Purtroppo a questa situazione, in varia misura cronica, si risponde da sempre con interventi dì puro alleggerimento: ieri con gli indulti e con la stessa legge Gozzini, oggi, a quanto consta, con l'imminente disegno. Questo perché con il carcere è emergenza continua, dovuta allo scarto tra un apparato penitenziario che ha dei limiti oggettivi e una domanda di carcere che cresce senza apparenti limiti. Per cui da un lato sempre nuovi comportamenti vengono sanzionati con la pena detentiva e dall'altro lato sempre nuove misure indulgenziali tendono a sfollare un carcere perennemente sovraccarico. Bisogna dunque invertire la rotta. Non si può inseguire indefinitamente una domanda di repressione carceraria irrazionale, non si può continuare a costruire nuove carceri, ad arruolare nuovi agenti, a stivare nuova umanità nelle celle. Bisogna agire sul rubinetto, non solo sullo scarico. E il primo rubinetto da chiudere è la criminalizzazione della droga. Oltre un terzo dei detenuti ò costituito da tossicodipendenti, gran parte della criminalità or¬ ganizzata prospera sul traffico degli stupefacenti, moltissimi dei delitti comuni hanno questa matrice. Perseguire con il carcere questa illegalità universale produce ormai costi assai superiori ai benefici. E' questo dunque il tema che va posto sul tappeto: sia a livello internazionale, perché dobbiamo coordinarci con la comunità degli altri Paesi, sia a livello di grandi scelte di politica criminale interna, accompagnate da un gigantesco sforzo di maturazione e di prevenzione collettiva da compiersi attraverso tutti i mezzi di informazione. Ma neppure questo basterebbe, perché è proprio sulla qualità della pena che bisogna intervenire. Come ieri le pene corporali cedettero a un nuovo tipo di sanzione incidente sulla libertà, così oggi il carcere ha fatto il suo tempo e, per la maggior parte dei reati, può e deve essere sostituito da una penalità di tipo diverso, non detentiva e degradante, ma positiva e costruttiva, quale la prestazione lavorativa in attività socialmente utili: per i detenuti a bassa pericolosità, con limitata sorveglianza; per gli altri con cautele più rigorose. Ne deriverebbe un beneficio per la collettività, che fruirebbe di opere non offerte dal mercato: una riduzione di spesa, una maggior dignità dell'espiarne, una più chiara percezione di senso della pena. Per questo ritengo che l'ipotesi di lavoro del ministro possa essere accettata perché dettata da uno stato di necessità che non permette tempi lunghi di azione, ma che essa debba farsi e dichiararsi punto di partenza per una strategia di più largo respiro, nei termini di cui sopra, o in altri che la comunità degli studiosi e degli operatori può mettere a punto. Il ministro ha l'autorevolezza per proporre questa svolta, la collettività penso abbia la maturità per accettarla. Elvio Fassone, Pinerolo componente del Csm Chi assisterà i nostri figli disabili? Quanto riferito dalla Stampa del 22 novembre: «Fate morire Cristina» - ripreso poi da diversi organi di stampa - a proposito del caso di una ragazza in coma da molti anni che ha rischiato di vedersi sospendere l'assistenza dalla Usi per le festività natalizie, ò esemplificativo di quanto «morda» e faccia male e sia diffuso l'handicap vero, al di là dei polveroni sommari sui falsi invalidi. Esiste una vasta Italia che soffre in silenzio e con dignità, con l'appoggio sempre più precario delle istituzioni. Il caso citato dal giornale, al di là dell'e¬ pilogo felice (l'assistenza a Cristina non sarà sospesa), pone un problema grave e sentito da centinaia di migliaia di genitori di disabili gravissimi: «Chi si prenderà cura di mio figlio quando non ci sarò più io?». A questo terribile quesito avrebbe dovuto dare risposte soddisfacenti la legge quadro sui disabili: la 104 del 1992, ma a tutt'oggi il 90% di questa norma è inapplicato. Non ci sono finanziamenti adeguati, si dice, ma la realtà è che molte, troppe leggi sull'handicap in Italia sono nate più per ragioni di facciata politica che per dare risposte concrete alla gente. Come Anmic siamo impegnati in prima persona per dare risposte serie e definitive a quesiti come quello proposto dalla Stampa. Alvido Lambrilli, Roma presidente dell'Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi Civili Il freddo ritmo del rosario elettronico Più che una trovata, mi è sembrata una persa (occasione) di saper essere moderni senza rinnegare la tradizione. Mi riferisco al rosario elettronico che un religioso di Roma ha di recente messo in vendita (La Stampa, 10 novembre). Ritengo che il continuare a pregare come sempre, magari umanamente sbagliando o dimenticando qualche Gloria abbia il sapore del buon tempo antico e sia decisamente preferibile a questa originale invenzione che però pare dare alle preghiere il freddo ritmo di una lezione di ginnastica aerobica. D'altra parte l'elasticità mentale di Dio sarà certamente indulgente verso chi dice soltanto 47 Ave Maria (o magari 53) anziché le canoniche cinquanta ma fa questo in intima sintonia con lui, e forse meglio nella propria cameretta che non fra cento superficiali fedeli. Mario De Martiri Pontecurone (Alessandria) Superbolletta non è colpa della Sip In merito agli articoli apparsi su Im. Stampa di ieri dai titoli «Porno-Sip: bolletta milionaria a prete» e «Se il porno fa guadagnare», permettetemi alcune precisazioni. La notizia riportata, che imputa al «144» l'origine di una bolletta di 50 mila scatti in conversazioni erotiche, è del tutto infondata. Come riportato da un'Ansa delle ore 20,18, immediatamente successiva a quella da voi pubblicata, quegli scatti non sono attribuibili al servizio Auditel «144» bensì all'uso delle messaggerie erotiche gestite da privati all'estero e a cui la Sip è del tutto estranea. Trattandosi quindi di normali telefonate internazionali o intercontinentali non si possono distinguere dalle altre. Vorrei inoltre sottolineare che, in accordo con l'Anfov, tutti i fornitori di servizio Audiotel «144» sono tenuti per contratto a non fornire servizi per adulti, il che esclude quindi qualunque possibilità di organizzare messaggerie erotiche. Alessandro Di Giacomo, Roma responsabile Informazioni e Stampa Sip Gli sbagli di Bossi il martello del capo Nell'articolo apparso su La Stampa di ieri a firma di Massimo Gramellini mi vengono attribuite le seguenti dichiarazioni: «Speriamo che il capo non mi martelli» e poi ancora: «Questa volta il capo ha sbagliato». Tengo a precisare che all'interno del movimento di cui faccio parte ho sempre espresso il mio pensiero e talvolta il mio dissenso in totale libertà, le frasi che contesto non mi appartengono né le condivido, sono piuttosto frutto della fantasia di un giornalista che, se in buona fede, ha fatto confusione fra gli intervistati. on. Giulio Arrighini, Roma Veramente nel pezzo c'era scritto «Questa volta Bossi ha sbagliato», [m. gram.]

Persone citate: Alessandro Di Giacomo, Bossi, Conso, Elvio Fassone, Giulio Arrighini, Gozzini, Lambrilli, Mario De Martiri, Massimo Gramellini

Luoghi citati: Alessandria, Italia, Pinerolo, Pontecurone, Roma