Conte, un Sandokan con orchestra di Marinella Venegoni
Conte, un Sandokan con orchestra Torino: suoni dal sapore esotico e grandi applausi ai concerti del cantautore Conte, un Sandokan con orchestra E arriva «Tournée», disco dal vivo con 19 brani TORINO. Quanta gente, in queste sere, passa sulle vecchie tavole dell'Alfieri. Davanti, sul proscenio, c'è lui naturalmente, Paolo Conte, ormai in fine di tournée, con la sua barba eternamente mezzafatta, lo smoking a pestoni, la voce che sa di smeriglio e di sigarette divorate con vizio antico; ma dietro, di là dalla cortina elegante e composta degli orchestrali, si muove un traffico che neanche a Montenapoleone nelle ore di punta. Come in un Grand Hotel d'altri tempi, la gente che va, la gente che viene, hanno facce di penombra e di malinconia, scavate dentro il corridoio ambiguo della memoria: c'è il vecchio commendator Pittaluga e il cinema a manovella di Pastrone, ma anche la Chicago nera di Sandburg e Algren, passa Rudy Valentino che s'appoggia a una palma di cartone, si fa vedere Papa Hemingway profumato di mqjito e di habanere di caucciù, saltella da lontano un Joe Louis tuttodenti, Ava Gardner se la fa con un nugolo di ragazzoni sulle spiagge preguerra delle Hawai, sfilano uno zio padano e Silvana Mangano, le mondine della Patria del Nordovest, le sabbie di Timbuctù, Chinatown tutta ghigno, un tanghero che s'allaccia la rumba, e infine, fatto di sudore e fango, il vecchio Diavolo Rosso, che mentre pedala per raggiungere un Mocambo che mai raggiungerà, quasi ammazza il mirabile chitarrista che traccia il ritmo alla sua corsa. Sandokan, ecco chi è Paolo Conte: è proprio Sandokan, che se ne sta incollato sul suo panchetto di pianoforte in un vecchio teatro umbertino, ma non appena tocca la musica, e la canta, e la dirige, e la tira fuori con le mani come una cosa viva dalla cassa di legno e ottone della sua orchestra, il suono e la voce si fanno un'avventura senza spazi, che spalanca la tenda nera del palco e la apre sugli itinerari bugiardi della fantasia. Conte, che già in disco seduce davvero, poi dal vivo è un affabulatore trascinante: ma non soltanto perché lo schema fissato della partitura si apre ai guizzi rapidi deU'unprowisazione; il suo gusto beffardo della sorpresa, della trappola maliziosa al luogo comune, del contrasto come regola della scrittura, gli fa reinventare costantemente le vecchie partiture, e Ravel, Ellington, Satie, Schumann, Henderson, anche Puccini e forse Verdi, e il vecchio Colloway, saltano tra le note, tirano la corda della chitarra e del basso, schiacciano i pistoni del sax, martellano la tastiera del piano e il fiato struggente del bandoneon. Non potendosela portare a casa, quest'orchestra mirabile, né potendo godersi troppo spesso l'Avvocato in teatro, che con i suoi lunghi tour internazionali passa vicino alle nostre case abbastanza raramente, arriva adesso «Tournée», un disco dal vivo con 19 canzoni registrate fra Amburgo, Parigi e Vienna: e gl'inconfondibili sapori del concerto teatrale riportano al tour di «Parole d'amore scritte a macchina», quello con il delizioso trio di voci femminili ora abbandonato (perché Conte cambia sempre, questo è un altro dei suoi segreti). Voce di cartavetro, atmosfere le più diverse ma sempre straordinarie, il disco contiene anche tre inediti: lo strumentale «Ouverture alla russa», «Reveries» in francese e «Bye Music». Piccoli gioielli che si lasciano alle spalle «Novecento», proiettati già verso una nuova avventura della memoria. Marinella Venegoni Paolo Conte in un momento dello spettacolo. Il cantautore astigiano è per 3 giorni all'Alfieri di Torino
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