Scene di una dc beffata e impazzita di Augusto Minzolini

Scene di una de beffata e impazzita Scene di una de beffata e impazzita Martinazzoli: se ilpartito si spacca me ne vado L'ULTIMA BUFERA B ROMA UVETTE di Montecitorio, ' primo giorno dell'era postdc. Remo Gaspari, grande sconfitto, sorseggiando un cappuccino dice la sua sui motivi che hanno fatto crollare la de anche in quello che una volta era il suo Abruzzo «bianco». «Dopo di me il diluvio spiega - e non perchè io sia il Padre Eterno ma perchè gli altri hanno sbagliato. A Chieti hanno mandato via tutti i vecchi, pure quelli che non erano inquisiti. E questi ultimi, ovviamente, invece di fare la campagna elettorale se ne sono andati al mare». Accanto a lui la vecchia «pasionaria» dorotea, Nenna D'Antonio, prova a consolarlo, «su, Remo - sussura siamo ancora al 23%». L'altro si adira: «Nenna è possibile che tu viva solo di fregnacce. Ci hanno dato una sberla e che sberla!». Altro cappuccino, altro cornetto, altro sfogo. E' di scena Angelino Roich, il deputato sardo che guida in commissione bilancio l'assalto alla finanziaria e al governo. «Il punto - spiega - è che Ciampi è un Giano bifronte. Quando il governo fa la parte del risanatore è pidiessino. Quando deve fare delle scelte impopolari è democristiano. Noi, però, visto che siamo al 12%, non dobbiamo farci carico di tutto, faremo i pasdaran: o sulla finanziaria il governo ci accontenta, o la votano anche gli altri, o il nostro voto non ci sarà». Ad un metro di distanza il pidiessino Gavino Angius ascolta quei discorsi e prende in giro il deputato de: ((Angelino, se non votate la finanziaria non prendete neanche il 12%. I pasdaran fateli dopo le elezioni, quando al governo ci saremo noi. Hai visto che il New York Times e Le Monde ci indicano come la forza più responsabile del paese». Il povero Roich a quelle parole va su tutte le furie: «A noi ci basta che Ciampi non diventi democristiano solo quando taglia i posti di lavoro. Noi non vogliamo essere cornuti e mazziati. Cornuti lo siamo già, ma mazziati ancora no». Scene di una de impazzita, scene di una de arrabbiata, scene di una de beffeggiata. Ormai non c'è uomo dello scudocrociato che non reciti a soggetto, che non abbia perso i freni inibitori. Avviene di tutto, dicono di tutto: c'è chi chiede una crisi subito, c'è chi dice «no» alla finanziaria e, ancora, chi è pronto a dare una fiducia «tecnica» ma non vede l'ora di andare all'opposizione. Eppoi c'è chi vuole andare a destra, chi vuole andare a sinistra, chi vuole rimanere al centro. Infine, c'è chi come Clemente Mastella, si propone per prendere il posto di Martinazzoli, per fare il segretario. E senza indugiare troppo convoca una conferenza al circolo della Stampa estera per domani e, intanto, inventa formule su formule: «Prima delle elezioni - azzarda - dovremmo lanciare l'idea di un governo costituente. Dopo potremmo formare un governo di garanzia democratica». E Martinazzoli? Un martire sulla croce. Forse il segretario, in cuor suo, si è già pentito di non essersi dimesso subito dopo il voto. Da due giorni, infatti, sta vivendo un calvario nel tentativo di bloccare la ribellione de, quella gran voglia di lasciare il governo che ha contagiato i suoi. Ieri mattina è andato a Palazzo Madama per sedare i senatori e, nel pomeriggio, è stato costretto, controvoglia, a correre alla Camera per tranquillizzare i deputati. Un'assemblea da panico quella del gruppo di Montecitorio. Alla fine, per riportare tutti alla disci- plina di partito Martinazzoli è dovuto ricorrere, ancora una volta, all'arma estrema, le dimissioni. «Se deciderete - ha detto in faccia ai suoi - di non votare la finanziaria cercatevi un altro segretario perchè io sono il segretario di un partito responsabile». E lo stesso avvertimento ha dovuto lanciare per riporatre sui binari chi vuole andare a destra (Casini) e chi vuole andare a sinistra (Mattarella). «Io - ha ripetuto - non sarò segretario se non saremo uniti sulla proposta di Centro. Dobbiamo far decrescere il livore e dare al paese questa nostra linea, che è una risorsa. Dobbiamo sapere che se la de si dovesse spaccare, non si spaccherebbe in due, ma in tre, quattro o cinque, rendendo insignificante la presenza dei cattolici in politica». E rivolgendosi ancora a Casini, promotore della svolta a destra, insieme a D'Onofrio e Gargani, il segretario ha spiegato ancora una volta: «Certo che non possiamo stare con il pds, ma non si può alludere a qualcos'altro perchè noi non siamo neanche da quell'altra parte. Avvicinandoci alla Lega e all'Msi non saremmo più noi. Non ci può essere un segretario de che si accoda al segretario del msi». Infine per rincuorare i suoi ha sparato sugli avversari esterni e sugli alleati che non lo hanno aiutato. «Vedo un gruppo dirigente del pds - ha avvertito - che ha accresciuto la sua doppiezza e una stampa che vuol far apparire centrale una forza condannata dalla storia». «Il corpo del nostro partito esiste sia pure mitragliato. Gli altri al centro non ci sono più: ii psi non esiste, 0 pri non si vede, c'è soltanto la Voce repubblicana che è come Radio Londra». E Segni? «Non avevo dubbi: il suo periplo non poteva alla fine che rivolgersi contro la de, come è accaduto. A Roma aveva già scelto, a Genova ha appoggiato uno dei prodotti più deteriori del catto-comunismo». Martinazzoli non ha mancato di rispondere anche a chi lo hai criticato per come ha condotto le elezioni a Roma. «Intanto - ha osservato - non è mai esistita una candidatura Buttiglione, per questo non l'ho mai contrastata. Amato e De Rita mi hanno detto no e il nome di Caruso mi è stato fatto da amici pattisti». Infine ha lanciato un ultimo appello: «Noi non abdichiamo anche se siamo ridotti ad un lumicino fumigante, per evitare a questo paese la tragedia». Belle parole quelle del segretario, ma a questo punto un dubbio legittimo sorge: quel linguaggio in prosa e in poesia riesce ancora a comunicare con le menti sconvolte di quei condannati a morte? A riguardar le scene di quella riunione surreale verrebbe da rispondere di «no». Ormai nella de nessuno più pensa al governo Ciampi, tutti si stanno già abituando al prossimo futuro. Un futuro che irretisce, mette in ansia un partito che non sembra abituato ad una scelta che sta per fare e non ha mai fatto: quella di andare all'opposizione. Ieri dentro e fuori quella riunione si avvertiva questo disagio, tant'è vero che per non sentirsi più soli i parlamentari de hanno deciso di proporre agli altri tradizionali partiti di governo di unificare i gruppi parlamentari, nazionali e regionali. Eppoi discorsi, tanti discorsi, spesso diversi, inconciliabili. «Io - dissertava De Mita - ho riconvertito il mio cervello all'opposizione. Il prossimo governo? Sarà di sinistra, la destra non potrà mai farlo. Se alla sinistra mancheranno i voti, qualcuno potremmo darglielo anche noi». Parole ben diverse da quelle di gente come Gargani e Pomicino, che all'unisono hanno annunciato «la de è morta» e hanno chiesto agli altri di scegliere «se stare a destra o a sinistra». Per non parlare di quello che si è detto in quella riunione sul governo. Tabacci ha chiesto di andare subito «all'opposizione, per uscire dalla trappola». Romeo Ricciuti ha comunicato alle tv il passaggio all'opposizione, mandando su tutte le furie Michele Viscardi, che è uscito gridando: «Non è vero, Ricciuti non rappresenta nessuno». Dentro Pietro Zoppi è arrivato a dare del «massone» a Ciampi. Fuori un ministro, Vito Riggio, a proposito della Finanziaria ha spiegato: «Se vogliono fucilarci non ci possono chiedere di votare questa finanziaria per costruirci da soli il patibolo». Tanta disperazione, in tanto folklore. Con Francesco D'Onofrio che scherzando prometteva il voto a Roma a chi, tra Fini e Rutelli, gli avrebbe concesso una licenza d'ambulante. Augusto Minzolini

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