Un profilattico fra noi e la fede; trasfusioni senza contagio

Un profilattico fra noi e la fede; trasfusioni senza contagio LETTERE AL GIORNALE Un profilattico fra noi e la fede; trasfusioni senza contagio Contraccezione e perdono Leggo su La Stampa di ieri che all'appello di Lue Montagnier circa l'invito alla tolleranza ecclesiastica sull'uso del preservativo padre Piero Gheddo avrebbe replicato che «la Chiesa non può fare sconti su nulla, nemmeno sul preservativo... La Chiesa comprende e perdona, ma sulla fede, come sugli altri aspetti della vita, ha il dovere di annunciare la parola di Dio». Intanto si deve evidenziare che se veramente l'uso di metodi anticoncezionali fosse un peccato, la pratica di esso escluderebbe, secondo la parola di Dio, ogni perdono. «Se noi volontariamente continuiamo a peccare anche dopo che abbiamo imparato a conoscere la verità, allora non c'è più sacrificio che possa togliere i peccati» (Ebrei 10:26). Altro che «comprensione e perdono»! Non c'è confessionale che possa fare «sconti» a tale giudizio. Ma chiunque si professa cristiano farebbe bene a chiedersi in quale punto della «parola di Dio» si impone il fine procreativo alla relazione coniugale? I seguenti testi potrebbero essere d'aiuto per chi ha la coscienza turbata dall'impossibilità pratica di conformarsi a tale rigore dogmatico: «Tua moglie è come una sorgente d'acqua pura... Con lei sii felice. Cerva graziosa, amabile gazzella! Il suo seno ti colmi sempre di piacere ed ella ti abbracci nel suo amore» (Proverbi 5:15-19). «L'uomo sappia donarsi alla propria moglie, e così pure la moglie si doni al proprio marito (per procreare? Il testo non lo afferma)... Non rifiutatevi l'un l'altro a meno che non vi siate messi d'accordo di agire così per un tempo limitato (per quale scopo? In attesa di poter generare un altro figlio? No ma) per dedicarvi alla preghiera. Ritornate però subito dopo a stare insieme per evitare che Satana vi tenti facendo leva sui vostri istinti» (1 Corinzi 7:3-5). Dott. Lello Mario Sarteschi Lucca Alternative al sangue La sindrome da emoderivati infetti che in Germania addirittura ha spinto alcuni a scegliere di morire o di rifiutare un intervento chirurgico, per non incorrere nel rischio di una trasfusione pericolosa, ha mostrato, purtroppo, quanto la medicina sia impreparata ad affrontare la tematica delle alternative alle emotrasfusioni. I testimoni di Geova, che da sempre rifiutano il sangue per profonde ragioni di principio, hanno dato una mano ai medici nel perseguire tali alternative; la maggioranza delle quali ora anche utilizzate su pazienti non testimoni. Ad esempio, ci sono vari liquidi non ematici che sono usati con successo per ristabilire il volume della massa circolante. In caso di grave emorragia, la cosa più importante è ripristinare il volume in circolo. Si sa che il sangue è costituito per oltre il cinquanta per cento da acqua; ci sono globuli rossi di riserva ad accelerare la produzione di nuovi globuli rossi. Ma occorre ripristinare la quantità di liquido circolante. A questo scopo si possono usare espansori del volume plasmatico non contenenti sangue, tipo Plasmaexpander. Tali espansori sono stati usati con eccellenti risultati su migliaia di pazienti in Italia e nel mondo. Inoltre, attraverso la macchina Autotrans, è possibile recuperare, lavare e reintrodurre in circolazione il sangue durante il decorso operatorio o durante il periodo post-operatorio, recuperando il sangue dalle ferite sanguinanti, come ad esempio in caso di protesi del ginocchio. Attualmente in Italia vi sono circa 400 medici chirurghi ed anestesisti disponibili a collaborare con i testimoni di Geova, venendo incontro al nostro rifiuto delle emotrasfusioni. A Torino e provincia tale disponibilità è offerta da oltre 50 medici, di cui undici primari ospedalieri. A fronte della attuale situazione di carenza di sangue e di potenziale pericolo di contagio, la cosa più auspicabile sembra quella di perseguire la strada della ricerca di serie alternative alle emotrasfusioni. Alberto Bertone Congregazione Cristiana dei testimoni di Geova, Ufficio stampa, Moncalieri (To) In difesa di Telepiù 3 A proposito di Telepiù 3, l'8 novembre 1993, Giorgio Dell'Arti ha scritto nella rubrica «Antenna» che «è un peccato che l'unica emittente davvero culturale debba sparire dall'etere». Concordo: è davvero un peccato; e davvero immalinconisce la considerazione che tra qualche mese la cultura in tv, quando per cultura si intende in particolare la musica classica, tornerà ad essere monopolio pressoché esclusivo del Dse; cioè cesserà di esistere, visto che la tv di Stato non sa né probabilmente vuole offrire questo servizio ai suoi utenti. Successivamente la lettrice Gabriella Sterzi «spezza una lancia per Telepiù 3» (cfr. Lettere al giornale). Mi accodo. Ma perché - aggiungo - un quotidiano come Lo Stampa, che alla musica classica ha sempre dedicato spazio e interesse e che nel campo della critica musicale può vantarsi di avere avuto e di avere tuttora firme prestigiose, anziché rivolgere oggi all'emittente elogi meritati ma tardivi non si è invece impegnato a suo tempo per difenderne la sopravvivenza? Pur consapevole che in questo nostro Paese disastrato e dissestato altre battaglie hanno certo carattere prioritario, ritengo che il vostro giornale, che da anni è anche il mio, avrebbe dovuto muoversi con autorevolezza a garanzia non tanto, o non solo, di una singola emittente, ma più in generale di un modo di fare cultura televisiva. Giovanna Daprà, Verona La domenica di Rutelli Spiace dover precisare e rettificare un articolo come quello firmato da Augusto Minzolini (La Stampa, 22 novembre) in cui mi si dipinge come un cinico calcolatore; di solito il puntiglio è inutile, e di fronte ad un attacco personale conviene lasciar perdere: da qualche mese, ad esempio, leggo critiche sulla «messinscena» del mio motorino, un mezzo di trasporto che uso esattamente da venticinque anni. Ma le balle vanno corrette. Non è vero che io non sia andato a vedere la partita della Lazio «per non indispettire la tifoseria romanista». Ci sono andato eccome (purtroppo, visto il risultato). Sono andato in «Tribuna Tevere»: a differenza di Fini e di tanti onorevoli io pago da molti anni l'abbonamento (per me e mio figlio). Non ho fatto alcuna «rapida apparizione ad una riunione di Greenpeace» (cancellata per la pioggia); non ho «trascorso una giornata tutta casa e famiglia per rubare il cuore alle elettrici»: a casa non ci sono stato quasi mai. Non è vero che sono «stato radicale, poi ambientalista, per diventare ora un candidato rosso-verde»: radicale lo sono tuttora, ambientalista lo sono da sempre, e nel termine «rosso-verde» non mi riconosco, perché sono sostenuto anche da Mario Segni, da forze cattoliche e laiche tutt'altro che catalogabili in questo modo. Infine, esilarante è la «descrizione» (ma Minzolini in quel momento non c'era, ha letto qualcosa su un'agenzia e si è ben guardato dal verificarlo, come tutto il resto) secondo cui «al candidato viene pure voglia di salutare quella platea con il pugno alzato, quasi un addio alla vecchia militanza radicale». Bum! Dopo l'annuncio dei primi «exit poli» ho serrato una mano in segno di gioia. Un gesto che ho visto fare in tv anche a Formentini. Ma forse non dovrei dirlo, perché il prode Minzolini penserà che l'ho fatto, da quel freddo calcolatore che sono, per catturare lo 0,6 per cento dei voti leghisti andati alla signora Maria Ida Germontani. Francesco Rutelli, Roma Tralascio tutto il resto, prendo atto, però, che il pugno chiuso alzato non è un richiamo alla tradizione comunista ma solo l'imitazione di un sindaco leghista, lau. min.]

Luoghi citati: Germania, Italia, Lazio, Moncalieri, Roma, Torino, Verona