Un Leonka nel caffè di Kafka e di Havel

Praga, occupato dagli habitué lo storico locale chiuso dai nuovi proprietari americani Praga, occupato dagli habitué lo storico locale chiuso dai nuovi proprietari americani Un Leonka nel caffè di Kafka e di Havel PRAGA NOSTRO SERVIZIO Il caffè è acquoso, il servizio fa schifo, i gestori dello «Slavia» non potrebbero apparire più felici. Probabilmente pensano che i problemi legali facciano parte dell'atmosfera. Vecchi clienti e nuovi adepti hanno celebrato la riapertura di uno dei simboli culturali di Praga. Per decenni la comunità artistica cittadina ha fatto di questo posto la sua seconda casa. Qui si vergavano manifesti, si accendevano storie d'amore e rivoluzioni. Smetana, Dvorak e Kafka erano habitué di questo locale sopravvissuto al collasso degli Asburgo, all'invasione di Hitler e ai giorni tetri di Stalin. Ma poi è arrivato il capitalismo, e lo Slavia è caduta nelle mani - fra tutte quelle possibili di un investitore di Boston. Dopo aver firmato un contratto d'affitto cinquantennale e annunciato un grande piano di ristrutturazione, la «H.N. Gorin Inc.» ha sprangato le porte. Mese dopo mese, la chiusura si è protratta per più di un anno; si è cominciato a gridare al tradimento. Alla fine del mese scorso il presidente Vaclav Havel, scrittore e frequentatore di lunga data dello Slavia, ha definito la prolungata chiusura del caffè come «un attacco criminoso alla vita spirituale di Praga» e ha vergato una petizione. Se lo Slavia non riapre al più presto, vi si legge, «saranno seriamente danneggiate le relazioni fra l'intelligencija praghese e il capitalismo e gli Usa». Le sue parole hanno ricevuto il plauso di tutti i letterati della città, ma in particolare si sono stampate nella mente di due proprietari di bar espatriati, l'americano John-Bruce Shoemaker e il canadese Glenn Emery. Assieme al ventottenne impresario teatrale praghese Marek Gregor, i due sono partiti per la guerra di liberazione dello Slavia. Hanno incontrato l'inaspetta- to consenso di Ladislav Provaan, il rappresentante locale dell'affittuaria H.N. Gorin Inc. nonché azionista di minoranza della società di Boston. Provaan ha dichiarato che lo Slavia è rimasto vuoto per tutti questi mesi in quanto la Gorin non dispone dei tre miliardi necessari a rinnovare il locale, e ha affermato di dubitare che la ristrutturazione verrà mai realizzata. «Che cosa dovevo fare? - dice con un sospiro -. Quando è sceso in campo Havel, mi sono detto "è destino che succeda qualcosa"». Per cui Provaan ha fornito la chiave, e lunedì lo Slavia è tornato in attività. «E' chiaro che la nostra nazione aveva subito un torto - esclama Shoemaker, rimpatriato dal Montana -. Per cui, Havel ha detto ima parola, e noi lo abbiamo seguito». In un limbo legale. Mentre il trio, assieme a circa duemila sostenitori, ha dato vita a una Società degli amici dello Slavia e si dice pronto a occupare il luogo sacro in eterno, altri protagonisti della vicenda si mostrano meno allegri. «Se questa occupazione risulterà essere illegale - ha fatto sapere martedì il portavoce di Havel - il presidente non può approvarla». Tuttavia, assistenti presidenziali sono arrivati allo Slavia quasi quotidianamente per tener d'occhio la situazione, e corre voce che lo stesso Havel possa capitare qui da un momento all'altro. Intanto, l'ente proprietario dell'edificio, l'Accademia di arti drammatiche, ha annullato il contratto d'affitto cinquantennale della Gorin, che partiva dal '92 e riguardava anche due vicini ristoranti. Il presidente della società, Rosalind Gorin, ha comunicato a Provaan l'avvenuto licenziamento. La signora Gorin ha anche fatto sapere che i suoi avvocati hanno avviato «appropriate azioni legali per espellere gli occupanti abusivi», e che si tratta con l'Accademia di arti drammatiche per sbloccare la situazione. «Ho assoluto rispetto per la gente che ha cura di questo tesoro culturale e capisco che per loro non sia bello saperlo finito in mani straniere. Ma mi indigna che un piccolo gruppo di trasgressori possa gettare discredito su un intero Paese compiendo atti del genere, tanto più se agiscono dietro impulso di un uomo della statura del presidente Havel». La Gorin ha dichiarato di non aver da ridire sulla petizione Havel e di non considerarla come la scintilla che ha originato il problema. Allegri e spensierati, lunedì sono accorsi a migliaia a bere caffè annacquato gratuito e ad immergersi in quello che uno dei presenti ha definito «l'evento più hippy dalla rivoluzione di quattro anni fa». Anziane donne sedevano vicino a ragazzi dai cui nasi spuntavano anelli di ottone. I portacenere straripavano. I turisti, che si illudevano di essere serviti, si allontanavano presto disgustati. Quelli che hanno familiarità con le tradizioni dello Slavia - e sono legioni - mi assicurano che c'è poco di sorprendente nel presente caos. Le radici del locale risalgono al 1860, l'era del na¬ scente nazionalismo ceko. Da allora, anno dopo anno, la creatività ceka è fiorita scaldandone le sedie. Il compositore Bedrich Smetana era un assiduo. Il premio Nobel Jaroslav Seifert ha scritto un'infornata di poesie su questo posto. Havel pare che ci abbia incontrato la futura moglie. Attorno a questi tavoli generazioni di intellettuali hanno complottato per il distacco di Praga da Vienna, la resistenza ai nazisti, la caduta del comunismo. «I ceki sanno fin dal Medioevo che le cose migliori nascono nelle birrerie e nei caffè mi dice Josef Lustig, un cineasta praghese -. E per la gente che lavora con la parola, non c'è, semplicemente, un posto migliore dello Slavia». Comunque, non tutti sono colpiti favorevolmente dalla resurrezione. «Assolutamente disgustosi» dice una donna, habitué dai tardi Anni Quaranta, fissando un tavolo di gente in giacche di pelle. <(Ai miei tempi il locale era pulito, e la gente vestiva bene». Pulito, può darsi. Ma molti testimoniano, senza lamentarsene, della leggendaria semplicità e della mancanza di servizio dello Slavia. Era un posto dove parlare, sostenere teorie, leggere, persino dormire. Da una parete pendeva una volta un'enorme dipinto con un cliente ubriaco trasportato fuori su di un tavolo. «Lo Slavia non è mai stato un posto lussuoso, al pari di molti caffè di Vienna» dice Zdenek Urbanek, che a 76 anni è considerato uno dei patriarchi culturali di Praga. Urbanek ha tradotto in ceko Shakespeare, Faulkner, Joyce e decine di altri autori, ma il suo lavoro meglio conosciuto in questi giorni è la sua firma sul contratto d'affitto che ha consegnato lo Slavia alla N.H. Gorin, quando era rettore dell'Accademia di arte drammatica. «Non posso dire quante volte sono stato accusato di aver svenduto lo Slavia agli americani - sospira -. Ma l'importante era che restasse accessibile agli studenti, agli artisti, agli intellettuali. Come facevamo a sapere che lo avrebbero tenuto chiuso per così tanto tempo?». Per ora, il destino dello Slavia non potrebbe essere più oscuro. Ma chissà? Una soluzione potrebbe trovarsi. «Sapete - dice Lustig, il cineasta - le idee più creative sono sempre nate davanti a un caffè con gli amici». Neil King Copyright «The Wall Street Journal Europe» e per l'Italia «La Stampa» Il Presidente ceko «Crisi nei rapporti con l'America se lo Slavia non riapre subito» Una folla di combattivi bohémien fra i tavolini che partorirono poemi, sinfonie e rivoluzioni PP*^^ '"'"-mill HM ►i, t Un cliente dello «Slavia» in questi giorni di occupazione Qui a destra due storici frequentatori del caffe praghese, gli scrittori Jaroslav Seifert e Franz Kafka Il presidente Havel ha condannato gli occupanti ma anche i proprietari