«Così muore uno città»

«Così muore uno città» «Così muore uno città» Studenti, operai e imprenditori tutti in piazza contro Bruxelles TARANTO DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Una ciminiera di cartone sbuffa nuvolette di fumo e riporta in piazza della Vittoria, il centro della città gremito da q^undicimila persone, il simbolo di un'industria senza la quale tutto crolla e - come dicono i cartelli attaccati alle vetrine dei negozi - «Taranto muore». I metalmeccanici della Sidermontaggi - azienda dell'indotto IIva - l'hanno costruita per portarla tra la gente, issandola come un totem mentre dal palco i sindacalisti scandiscono slogan contro la Cee. Qumdicimila, mia folla da Anni Settanta. Ieri mattina, dalle 9 alle 13, la capitale della siderurgia italiana si è fermata. Sciopero dei metalmeccanici, ma non solo. Sciopero di una provincia che si è schierata accanto a loro, con falangi di studenti a urlare cantilene sui «trent'anni di veleni e sudore, questo il compenso per la città che muore», con gruppi di dirigenti di azienda, un tempo dall'altra parte dello steccato, arrivati per ascoltare il segretario generale della FimCisl, Gianni Italia, il suo elogio a Taranto e le sue accuse alla Cee e al ((trattamento privilegiato riservato a Francia e Germania». Sale sul palco anche Leonardo Lomartire, terza liceo classico, e dice emozionato: ((Avevamo il dovere di lottare con i lavoratori. Siamo stanchi di dover emigrare per trovare un posto». A scuola ci sono andati in pochi, ieri. «Siamo almeno seimila», dice Antonio Cannata, 18 anni, liceale di sinistra, e racconta: «Un mio amico per trovare un lavoro dopo la scuola è andato a Bologna. Fa il muratore. Io voglio frequentare l'università che Taranto non ha, ma poi tornare qui a lavorare. Ecco perché sono qui». I dirigenti che erano i pilastri del padrone e la controparte degli operai, sfilano con loro nei cinque chilometri che dividono la fabbrica e le sue alte, e vere, ciminiere, dalla città. Alle 9 il corteo è già in strada, s'ingrosssa fino a diventare marea alle porte di Taranto, dove incrocia il plotone degli studenti e si dilata ancora. Migliaia attraversano il ponte girevole, fettuccina di asfalto che unisce l'isola, la parte antica, al borgo, preceduti dalia carica dei ((bisonti», dieci strombazzanti motrici di Tir. «La Cee non può far nascere la Ilva Laminati Piani senza un occhio», commenta Felice Moscariello. Parla come un metalmeccanico, ma è il presidente del sindacato dei dirigenti d'azienda ed è convinto che questa fabbrica gigantesca, nata nel 1960, possa essere acquistata dai tarantini. Lo pensa anche Enzo Capotorto, «quadro» dell'Uva e coordinatore dell'associazione Quimdi che ha fatto un migliaia di aderenti, tutti dipendenti disposti a metter mano al portafoglio e comprare una fetta di Uva insieme con Lucchini, Falck, Marcegaglia o chi si farà avanti. Ma è vero quanto dice Van Miert, è vero che chiudendo tre forni di riscaldo la produzione non cala? Risposta in coro: «Falso. La produzione passerebbe da otto a sei milioni di tonnellate. E calerebbe l'occupazione». E dal palco, Gianni Italia critica Riva, ((produttore italiano che ha acquistato un'azienda tedesca, finanziato dal governo tedesco perché investa in un nuovo treno di laminazione, pare autorizzato dalla Cee, mentre in Italia si vorrebbe far chiudere i treni di laminazione di Taranto». Per la Firn ((ben vengano gli investitori non siderurgici e i dipendenti azionisti», ma alla larga, oltre Riva, anche «Lucchini che sta lavorando per Usinor Sacilor, diretto concorrente dell'Uva». Alle 12 si spengono gli altoparlanti e la città si svuota, gli operai tornano compostamente in fabbrica a tendere l'orecchio verso Bruxelles, per ascoltare la voce dell'odiato Van Miert, il commissario Cee che qui è ormai più famoso di Maradona. Ma anche a Roma il caso Taranto fa discutere. Per il segretario generale della Uil, Pietro Larizza, alla Cee «non si sta discutendo la quota di produzione italiana di acciaio, ma la stessa sopravvivenza della produzione siderurgica deU'Italia, che passa innanzitutto dal mantenimento deU'integrità degli impianti di Taranto». E la Cgil, per bocca del segretario aggiunto Guglielmo Epifani, chiede un incontro urgente con il governo per conoscere quanto è emerso in sede comunitaria e per approntare un piano d'intervento sulla siderurgia. Tonio Attilio