Bowie niente droga ma Dio

Incontro con il cantante che ha scritto la colonna sonora per il «Buddha» della Bbc Incontro con il cantante che ha scritto la colonna sonora per il «Buddha» della Bbc Bowie: niente droga, ma Dio «E non chiamatemi più rockstar» LONDRA. Ha sigillato la porta del suo guardaroba di personalità, con sollievo. Dopo Ziggy Stardust, Aladdin Sane e II Piccolo Duca Bianco, David Bowie pare intenzionato a mostrare una sola faccia: la sua. Punteggia la conversazione di risate brillanti, la stessa energia che emana dal suo ultimo album «Buddha of Suburbia», colonna sonora dello sceneggiato televisivo trasmesso in questi giorni dalla Bbc. L'incontro con Hanif Kureishi, autore dell'omonimo romanzo lo ha convinto a tradurre in didascalie musicali l'educazione sentimental-sessuale di un adolescente degli Anni 70. Al termine del primo brano, intitolato appunto «Buddha of Suburbia», c'è un'autocitazione da «Ali the Mad memi (1972). Rivela un suo revival di interesse per gli Anni 70? «La natura dell'album deriva dalla natura dello sceneggiato. Da qui il pastiche di musica dei Settanta: non solo la mia, ma anche quella di Brian Eno, Roxy Music e Kraftwerk». Perché ha accettato di scrivere sugli Anni 70 quando nutre sentimenti ambivalenti verso .quel decennio? Lei ha detto: «Mi sono quasi buttato via a quell'epoca, mi meraviglio di esserne uscito vivo». «Non ho scritto dei miei Anni 70, ma di quelli narrati nel meraviglioso copione del mio amico Kureishi. Il fatto di avere malanimo personale verso un periodo non significa doverlo ignorare. Probabilmente torno di continuo ad esaminarlo». E oggi lo esamina con serenità? «Chiamiamola tranquillità». Nelle note di copertina lei biasima l'America, colpevole di egemonia culturale. Anche l'Italia è stata colonizzata? «Mi pare che l'Italia sia rimasta molto italiana, e per questo sia ancora molto ammirabile. L'ho conosciuta con mia moglie e la considero la più romantica delle attrazioni. Cerco sempre un'Italia mistica. Vacanze a parte, vorrei tornarci presto in tournée. Adoro il pubblico, è fantastico». Lei è convinto ohe oggi gli artisti siano senza storia, interessi e spirito. Che cosa ha fatto Bowie per recuperare la sua eloquenza? «Sono stato molto fortunato a non avere mai perduto la capacità di farmi affascinare ed entusiasmare dalla musica. E' veramente un miracolo riuscire a mantenere l'amore per la propria carriera o arte lungo una vita». La soggettività dell'artista si può ottenere senza droghe? Quando tirava cocaina, diceva di farlo per amore dell'arte. «Quando mi drogavo, dicevo tante cose, la maggior parte delle quali ridicole. Provo sempre una sensazione trascendentale, quando compongo. Tento sempre di non specificare qual è il mio interesse per l'umanità e le sue invenzioni; oggi mi interessa molto di più il rapporto tra l'umanità e il suo Dio, più che tra l'umanità e le sue imprese, cosa che era invece presente nei miei primi dischi». Quale Dio? «La mia è una definizione personale; lei deve trovare la sua». I critici dicono che lei ha ritrovato la forma con «Black Tie, White Noise», uscito quest'anno dopo un lungo silenzio come solista. «Si vede che ho ritrovato una forma che fa piacere a loro. La mia forma mi soddisfaceva già da qualche tempo. Dev'essere una questione di gusto. Ho apprezzato la mia musica sempre di più, tra gli Anni Ottanta e i Novanta. E l'esperienza con i Tin Machine è stata un laboratorio, una delle cose migliori che abbia fatto». Se uno dei motivi principali per cui ha voluto diventare una rockstar era il suo desi¬ derio di sottrarsi agli altri, qual è la ragione, ora che Bowie si è aperto agli altri? «Non credo di essere mai stato una rock star. Credo di avere fatto questa roba a cui è capitato di essere inscritta nel genere del rock and roll. Rock star è una definizione che si attaglia meglio agli Springsteen o ai Jagger. Non so che cosa ero. Ero più vaudeville che rock. Considero me stesso soltanto un artista che lavora». Maria Chiara Bonazzi David Bowie

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