Riina: non voglio vedere Buscetta di Francesco La Licata

Riina: non voglio vedere Buscetta Riina: non voglio vedere Buscetta «Non ha nessuna morale, ha troppe donne» ROMA. «Con Buscetta no. E' vero, ho fatto il confronto con Mutolo e Marchese, ma con lui non intendo parlare». Don Totò Riina, dopo averlo sollecitato più volte, rifiuta il confronto in aula col suo nemico giurato, il collaboratore Tommaso Buscetta, tornato dagli Stati Uniti per lo storico faccia a faccia. E sapete perché non vuol parlare con «Masino»? Così il boss ha spiegato il suo rifiuto al presidente della corte d'assise Gioacchino Agnello: «Ha una dirittura morale troppo bassa. E' un uomo che ha tante mogli, non intendo rivolgergli la parola». Che autogol, il «numero» di Riina. Forse, se si fosse consultato, i suoi avvocati glielo avrebbero sconsigliato. Giudicando, infatti, Buscetta non meritevole della sua attenzione per via della «vita sessuale e sentimentale sregolata», il padrino ha implicitamente ammesso di essere il capo di Cosa nostra. Ormai tutti sanno che uno dei principi cardini della «morale» mafiosa impedisce agli «uomini d'onore» di intrattenere rapporti con più donne. Proprio Buscetta è famoso per avere avuto la carriera stroncata dalle sua frequenti avventure sentimentali. Se Riina accetta il «comandamento», significa anche che vuole sia osservato e quindi delegittima in pubblico il Buscetta donnaiolo. Ed è proprio lui, il capo, uno che tra l'altro ha le carte in regola avendo vissuto per anni in clandestinità sempre con la moglie, a poter lanciare l'anatema. In verità, altri ci avevano tentato - in passato - di punzecchiare don Masino sulla vita privata. Ma con risultati catastrofici. Durante il maxiprocesso, uno dei legali più in vista cominciò la sua arringa cercando di demolire Buscetta e definendolo immorale sempre per via delle donne. Don Masino, in quella occasione, non perse la sua proverbiale calma. Si rivolse freddamente al presidente invitandolo a consigliare all'avvocato di darsi una calmata perché altrimenti gli «avrebbe letto la vita». Pochi capirono il messaggio: cioè che il legale era il meno adatto a fare le prediche, su quell'argomento, visto che anche lui aveva infranto una regola ben più importante di Cosa nostra, quella che vieta a chiunque di intrecciare relsuaoni con donne che hanno i mariti in carcere. E l'avvocato in question j lo aveva fatto, con l'aggravante che era pure il difensore del mafioso in galera. Ma don Totò Riina al maxiprocesso non c'era e forse nessuno gli ha mai raccontato l'aneddoto. Per questo si lancia in spericolate prese di posizione, arrivando a ritenere più «confacente» il confronto con Mutolo e Marchese - pentiti che gli contestano addirittura il diritto a dirigere la cupola - e tradendo forse un certo «ripensamento». Che don Totò, dopo aver chiesto il faccia a faccia, abbia capito finalmente che potrebbe rivelarsi un boomerang? I suoi avvocati, comunque, non rimpiangeranno certamente il ripensamento del boss. Ma c'è un altro aspetto di questa singolare vicenda che dà spazio a qualche riflessione. Per un Riina che rifiuta il faccia a faccia, c'è un Calò che lo chiede ad alta voce, noncurante del precedente (sempre al maxiprocesso di Palermo) che si risolse in un disastro per la sua posizione giudiziaria. Calò vuole il confronto, Riina no. C'è una divergenza tra due dei «capi storici» di Cosa nostra? E' venuto il momento che le posizioni personali, almeno in corte d'assise, abbiano il sopravvento sull'interesse supremo della «Grande famiglia»? Se così è, non c'è da stare molto allegri. Una frattura al vertice della mafia potrebbe mettere in moto meccanismi pericolosissimi. Certe incomprensioni i «bravi ragazzi» le risolvono con metodi drastici e il tempo fisiologico per una terza guerra di mafia (in genere se ne scatena una ogni decennio) non è poi molto lontano. Specialmente ora che Cosa nostra sembra soffrire della perdita di centralità da parte della mafia palermitana, tornata a reclamare il proprio ruolo. A meno che non siano tutti d'accordo a recitare, per confondere le idee. Ma questo si capirà presto. Francesco La Licata L'«erro.re» del padrino che ammette d'essere uomo d'onore: il rispetto della famiglia è una regola dei mafiosi Sopra il «pentito» Tommaso Buscetta, a destra Totò Riina

Luoghi citati: Palermo, Roma, Stati Uniti