Neanche un prete per l'addio a Liggio

Il Padrino sepolto nel cimitero della sua Corleone fra curiosi e parenti che si nascondono Il Padrino sepolto nel cimitero della sua Corleone fra curiosi e parenti che si nascondono Neanche un prete per l'addio a Liggio Solo un vecchio fra gli agenti: l'ho salutato sottovoce Uno zio: ma i morti per tangenti hanno avuto ilfunerale CORLEONE DAL NOSTRO INVIATO Non c'è nemmeno un prete nel piccolo cimitero appoggiato sulla collina. Il boss se ne va via senza perdono, come se gli avessero lasciato ancora le manette. E quando la bara viene calata nell'avello, c'è solo Arcangelo Salemi con la sua coppola sulla testa e il giubbotto chiuso sulla camicia lisa, in mezzo al grappolo di carabinieri e agenti in borghese, davanti ai fotografi aiTampicati sui muri. C'è solo questo vecchietto con la faccia cotta dal sole e le rughe tagliate con l'accetta: «Gli ho detto addio. Sottovoce». Quando lo presero 19 anni fa, in via Ripamonti a Milano, Luciano Liggio disse al colonnello Vissicchio: «Ora è proprio finito tutto». Eppure, non dev'essere vero, neanche adesso che Lucianeddu scende nella terra. Non è ancora finita. Accanto all'ingresso del cimitero, un giornalista della tv americana spiega che «qui dietro, dietro questo cancello, dietro questo cordone di polizia, stanno seppellendo Luciano Liggio, capo della mafia. E lo seppelliscono senza funerali, senza benedizione, nella cattolicissima Corleone della cattolicissima Sicilia». Vicino a lui, i ragazzini fanno mucchio e ridono: «Ma che cosa dice questo scimunito?». Poi cercano i giornalisti italiani, li assediano come mosche («quello là, non si capisce niente»), chiamando i microfoni: «Raiuno, raidue o raitre?». E davanti alle telecamere, spingendosi l'un l'altro, ripetono tutti quella che non dev'essere nemmeno una provocazione: «Liggio era una brava persona. Liggio era uno di noi. Un corleonese». Là dentro, nel cimitero occupato da poliziotti e carabinieri, è entrato solo Arcangelo Salemi, assieme a tre cugini che stanno chiusi nel gabbiotto del custode. Qui fuori, Antonietta Sanzo («una parente, una cugina») ferma il padre che vuole aggredire i fotografi: «Rumpitici le macchine!». E lascia le sue parole ai cronisti: «Dovete capirci. Io avrei preferito vedere i funerali fatti al cimitero. Alle persone che si sono uccise per tangentopoli glieli hanno fatti. Non volevo un corteo, non volevo la folla, però almeno un funerale, una preghiera». Ma Luciano Liggio deve far paura anche da morto a questo Stato che magari solo per ignavia ne è stato suo complice. E alle 16,16, quan¬ do cala la bara di noce chiaro, tira un vento brutto che scuote i cipressi e brucia le coscienze. I balzi di campi verde, la strada che s'arrotola, e Corleone là sopra, grappoli di case. Qui sotto, davanti al camposanto, c'è una strana folla che mischia protesta e ricordi. Ci sono i bambini che ridono davanti alle tv. «Era una brava persona». Gli hanno dato l'ergastolo, dice una cronista. E un ragazzino: «Era un corleonese, nel senso che era uno di noi». Francesco Massalisi, infermiere: «Era un uomo. E voi giornalisti ne avete fatto un mostro, sprecato chili d'inchiostro. E adesso, ancora adesso, gli avete impedito i funerali». Però, qui non c'è tanta folla. Come mai Corleone non è venuta? «E perché doveva venire? Qui ci siete solo voi che fate il vostro show e noi che siamo venuti per vedere voi». E voi che pensate di Liggio? «Noi non giudichiamo. Le sentenze le fanno i magistrati». E Salemi: «Non è giusto che non gli facciano i funerali. Era un boss della mafia? II vero boss è Andreotti, che c'entra Liggio?». Certo, quelli che sono venuti qui non sono venuti per condannare. Appaiono anche i figli di Riina, Giovanni e Giuseppe, su una moto da cross. Vedono la ressa di giornalisti e fanno retromarcia. Sono le 15,30 quando il carro funebre fende il drappello di poliziotti. Il feretro di Liggio è avvolto in un telo blu dell'Alitalia, un cuscino di fiori dei fratelli e quattro mazzi anonimi. Nient'altro. All'aeroporto di Palermo spazzato dal vento c'era ad aspettare il volo da Cagliari BM124 delle 13,30 solo una Mercedes targata Ragusa. Un'autista con la camiciola verde e il figlio vestito di nero. Hanno caricato la bara sulla macchina e sono andati via. L'ultimo viaggio passa in mezzo a due ali di agenti, adesso, davanti al piccolo cimitero. Il vento taglia le facce. Un signore che dice di chiamarsi Scalisi guarda la scena aggrappato alle sbarre, il carro che sfila fra le tombe. «Quando è stato preso la prima volta, io l'ho visto, ero un bambino. Lui sorrideva prima di entrare nella macchina della polizia. E aveva fatto segno agli agenti di aspettare perché voleva farsi fotografare meglio. Era molto bello. Una persona molto intelligente». Totò Ferrara: «Bello era bello come una femmina. Mi ritorna in mente quando veniva nelle sale dove molti di noi imparavano a ballare. Ed era sempre il migliore. Elegante e gentile con tutti». Il signor Calogero: «Era un caso umano, assolutamente. E voi ne avete fatto un mostro». Quando i due necrofori cominciano a calare il feretro nell'avello sono le 16,16. Il boss è solo. Proprio a pochi metri di distanza dalla tomba di Michele Navarra, il medico capomafia che Lucianeddu uccise nel '58. E' il destino di Corleone che si compie, amaro. Salemi non si leva la coppola, piega appena il capo come per una preghiera. Anche questa è una foto da Corleone. Il vento che passa è come se portasse via dolori nascosti. La sorella Carmela («Era un cristiano come gli altri, non potevano fargli questo») e due lontani cugini arrivati da Genova sono rimasti nella cappella all'ingresso del camposanto. I vialetti del cimitero sono occupa- ti dai carabinieri e dagli uomini della polizia, qualche cronista e qualche fotografo che ha scavalcato i muri. «Io ho conosciuto Luciano da giovane», dice Giuseppe T., «i ragazzi qui non se lo possono ricordare. Lui era uno come gli altri in questo paese abbandonato». Senza un prete, non resta che questo saluto per il boss che se ne va. Cielo scuro. Fra un po' piove. Pierangelo Sa pegno E in paese ripetono «Era una brava persona distrutta dai giornali» Un'immagine dei funerali di Luciano Liggio, il boss morto in cella stroncato da un infarto

Luoghi citati: Cagliari, Corleone, Genova, Milano, Palermo, Ragusa, Sicilia