«Se perdo io per la dc è finita»

«Se perdo io/ per la de è finita» LA SFIDA DEL PREFETTO «Se perdo io/ per la de è finita» Caruso: Roma è l'ultima speranza per il Centro SE perde Roma, la de va in frantumi. Devo impedirlo». Il suo nome è Caruso, Carmelo Caruso. Il popolare prefetto 007 di Mino Martinazzoli è impegnato in un'altra missione impossibile: conquistare il Campidoglio dopo esser stato l'unico capace di sgomberare il Leoncavallo. Che tempi, quelli. Caruso li rievoca in macchina, parcheggiato in terza fila come un romano qualunque. «Era il ferragosto di quattro anni fa. Io facevo il prefetto di Milano, gli autonomi esportavano violenza in tutta la città e il sindaco Pillitteri era in ferie. Si decise lo sgombero. Loro erano in ottanta, asserragliati dentro il Leoncavallo con i passamontagna e le bombe molotov. La polizia caricò. Mai sgombero fu tanto pulito. Un solo ferito lieve: una ragazza che prese un colpo al setto nasale. Eh, Fini non sa nemmeno che cos'è la sicurezza. E' per questo che ne chiacchiera in continuazione. Funziona così: chi sa fa, chi non sa parla». Molto bene, prefetto 007. E adesso sotto con il Campidoglio. Qui al posto dei passamontagna ci sono Rutelli e Fini, due avversari che potrebbero essere suoi figli e a cento ore dal voto lo sopravanzano ancora nei sondaggi. C'è una de nuova che si è svegliata troppo tardi e una de vecchia che ha cominciato a tradirlo troppo presto. «Trascurabili frange», le chiama lui, che non sente nostalgia di quelle facce e, assicura, neanche di quei voti. «E' una de ormai scomparsa, che aiuta Fini per reazione al bisturi con cui Martinazzoli ha ripulito il partito. Non vivo l'appoggio della de come un macigno. Perché quando penso alla de non mi viene in mente Sbardella ma Martinazzoli». Intanto però il suo slogan è: «Guardate la mia storia personale, null'altro». Come 007 il prefetto Caruso non è troppo fotogenico. Decisamente meglio dal vivo; somiglia un po' a Gorbaciov, specie quando non sorride e per sua fortuna non sorride quasi mai. E' che non ne ha il tempo: salta da un convento a un convegno in meno di mezz'ora. Non c'è un minuto da perdere, specie adesso che il partito si è svegliato e, oltre alle suo¬ re e ai volontari, appaiono finalmente gli assicuratori di D'Onofrio e gli impiegati pubblici di Marini, che ha mobilitato persino la compagna di banco di suo figlio. Si chiama Cristina Brizzolari e fra i capelli biondi ha un cerchietto rosso alla Hillary: con i suoi diciotto anni è la più giovane candidata alle elezioni e non fa che ripeterlo a chiunque le capiti a tiro. «Siamo partiti in ritardo, ma stiamo accelerando», garantisce Marini alle sue truppe. Poi impartisce le ultime disposizioni, quelle di sempre: «Fate uno sforzo sui posti di lavoro e dove abitate. La battaglia è dura, ma possiamo ancora vincerla». Tocca a lei, prefetto. «Non ho tessere di partito in tasca, ma ho una tessera della Cisl». Gli impiegati applaudono felici. Poi comincia a parlare dei diritti di «Sua Maestà il cittadino» nei confronti della pubblica amministrazione e nessuno applaude più. Sarà anche un po' paternalista, il prefetto, ma la sua missione ce l'ha ben chiara in testa: «Guardate, non esagero. Non possiamo permetterci di bissare la sconfitta di Milano e Torino. Se io perdo, il Centro scompare. E alle prossime elezioni avremo un Parlamento per metà leghista e per metà pidiessino. Che allegria». E allora avanti: contro Fini, la Lega e il pds, verso una nuova avventura. L' «Istituto Ancelle Sacro Cuore» è a 50 metri dalla breccia di Porta Pia, il cuore laico dello Stato: per il prefetto cattolico è quasi una sintesi sentimentale. «Oh, è lei il predicatore?», lo accoglie con un sorriso forse ingenuo suor Verdina. In sala ci sono Luca Danese, il nipote di Andreotti, l'onorevole D'Onofrio e la corrente democristiana degli assicuratori dell'Ina. Li ha riimiti la signora Maria Luisa Gobbini, impegnata nel volontariato: «Non avevamo soldi per un teatro, così ho chiesto asilo alle suore». Ammette: «Ho parenti ed amici che chiamano Fini "il nuovo". Ancora un anno fa lo chiamavano "il fascista"». Il prefetto saluta e attacca a parlare di Merano: «In quella cittadina, una volta, mi cadde di tasca una cartaccia. Un signore mi tirò per il cappotto: "la raccolga", disse. E sapete perché?». Sguardi perplessi. «Perché sentiva quella strada come sua». Merano è una delle sue fissazioni. L'altra è «Sua maestà il cittadino». Ma siamo a Roma e la gente sorride. «Non fatelo, per favore. Io ci credo davvero. Oggi ho visto due spazzini che fingevano di spostare le foglie da un punto all'altro della strada. Gli ho detto: "Dovreste avere un po' più di rispetto per voi stessi". Lo¬ ro mi hanno risposto che era il vento a ricacciare indietro le foglie. E io: "Non è il vento, siete voi". A Merano non c'è un filo d'erba fuori posto. Tutti i gerani sono rossi e freschi. E' l'amore per le proprie cose, capite... Capite?» Non c'è che dire: lo 007 di Martinazzoli ama davvero le missioni impossibili. Massimo Gramolimi «Fini? Non sa cosa sia l'ordine Io feci sgombrare il Leoncavallo» Carmelo Caruso Sotto, Franco Marini

Luoghi citati: Merano, Milano, Roma, Torino