Intervista l'arte della rapina
Capolavori, passioni violente, sorprese: gli 86 faccia a faccia più famosi nella storia del giornalismo Capolavori, passioni violente, sorprese: gli 86 faccia a faccia più famosi nella storia del giornalismo Intervista, l'arte della rapina Tra Marx, Al Caperne e Marilyn ^LONDRA HI giudicava nauseabonda la corruzione politica? Al Capone. Chi dichiarava di leggere «spesso» Byron e Leopardi? Mussolini. Chi era incapace d'ideare un intreccio per ogni suo nuovo romanzo? Zola. Chi odiava gli squali al punto di volerli uccidere tutti? Hemingway. Chi affermava che Mazzini, lungi dall'avere idee radicali, rappresentava soltanto «le vecchie idee di una Repubblica borghese»? Marx. Chi proclamava: «Il primo incontro sessuale con un uomo è sempre speciale. Ne ricordo uno che durò quindici ore»? Mae West. E chi rivelava: «Settantanni su questa terra mi hanno insegnato ad accettare la vita con beta umiltà»? Freud. E così via, si potrebbe continuare per ore, è una cornucopia senza fondo questa nuovissima antologia della Penguin, questa raccolta di interviste famose dal 1859 ad oggi, un volume di 635 pagine. Vi s'incontrano 86 personaggi della storia, in senso lato, quindi non soltanto politici e statisti, ma anche artisti, scienziati, sportivi, uomini che facevano le leggi e uomini che le violavano, santi e peccatori. C'è Stalin, c'è Hitler, c'è Mussolini, c'è Krusciov, c'è Mao Tse-tung, ma ci sono pure il Mahatma Gandhi e Christabel Pankhurst, valorosa leader delle suffragette, madre del femminismo. C'è Picasso, c'è Beckett, c'è Scott Fitzgerald, c'è Oscar Wilde, c'è Tolstoj, c'è Show, c'è Hitchcock, c'è Nabokov, c'è Johi Lennon, una folla di scrittori, di pittori, di artisti cui si unisce la voce di uomini come Edison e Marconi. Le interviste offerte da questo libro non sono comuni, ma capolavori di giornalismo, gemme rare. Molte sono i risultati di incontri durati più di un giorno, altre il frutto di conversazioni eccezionali. E'quanto avvenne, ad esempio, quando il romanziere inglese Rudyard Kipling si mise alla ricerca dell'americano Mark Twain. Ma.il testo non è affatto un peana all'intervista, esorta invece il lettore a riflettere sulla correttezza, sulla moralità stessa di questa forma di giornalismo. La sua prefazione si apre con un commento apparso su Le Figaro, nel maggio 1886: «L'intervista è l'aspetto peggiore del nuovo giornalismo... Degrada l'intervistatore, disgusta l'intervistato e tedia il pubblico». Kipling, come abbiamo detto, intervistò nel 1889 Mark Twain, ma tre anni più tardi, avvicinato da due giornalisti di Boston, si rifiutò di rispondere alle loro domande e tuonò: «Ogni intervista è immorale. E' un delitto, così come sarebbe un delitto un'aggressione, e pertanto dev'essere punito. E' un'azione codarda e abietta. Nessun uomo degno di rispetto chiederebbe un'intervista e tantomeno la concederebbe». Perché queste requisitorie? Perché l'intervista era appena nata e la nuova creatura accendeva passioni violente. Secondo l'antologia, la prima «vera» intervista nella storia del giornalismo porta la data del 20 agosto 1859, quando il New York Tribune pubblicò le domande e risposte scambiate dal famoso giornalista Horace Greeley con Bri- gham Young, il leader dei Mormoni, in un lunghissimo colloquio a Salt Lake City. (Inevitabilmente forse, predominano le interviste in lingua inglese. In questa lingua è anche un'acutissima intervista di Oriana Fallaci del '64 a Sammy Davis jr., sulla «condizione negra»). A Brigham Young segue Karl Marx, intervistato a Londra nel 1871, da R. Landor, un giornalista del New York World. All'incontro era presente «un altro gentiluomo tedesco, presumibibnente Engels». Nel 1887, lo scrittore inglese Robert Louis Stevenson rivela d'aver scritto Jekyll and Hyde perché era al verde. Nel 1890, in una maestosa intervista al Daily Telegraph di Londra, Bismarck profetizza che mai e poi mai si vedrà in Europa una guerra, e nemmeno un conflitto, fra Germania e Inghilterra. Nel 1897, Henrik Ibsen afferma che Christiania (l'antico nome di Oslo) «è la città più immorale d'Europa», dove «il matrimonio in pratica non esiste». E spiega: «Sì, le strade sono eccezionalmente pulite, sono le famiglie ad essere impure. Il ménage à trois fiorisce croi come in nessun altro angolo del mondo». Fin dall'inizio le donne gareggiano con gli uomini e sovente li superano. Si legga l'intervista con Guglielmo Marconi di Kate Carew, che nemmeno era una giornalista, ma una vignettista del New York Tribune. E' un modello di eleganza, di stile, di humour. E' il 1912, Kate Carew attende per tre giorni lo scienziato nel suo ufficio americano, finalmente un segretario le promette un incontro: «"Ma non più di quindici minuti". Promisi, senza esitare. Dopo un po' torna, "Mi spiace, ma devo chiederle di limitarsi a dieci minuti". Promisi, questa volta esitando. Poi, "Sorry, miss Carew, oggi le posso concedere soltanto cinque minuti, non uno di più"». Miss Carew accetta: ma tale fu il suo charme e la sua abilità che Marconi la trattenne a lungo e le parlò di tutto, delle sue scoperte, della sua vita, dei suoi sentimenti, delle sue speranze. Oh intervistati più noiosi sono forse Stalin e Hitler. Quella con Mussolini è illuminata se non altro da sfoggi culturali. Alla domanda: «Può un dittatore essere amato?», risponde: «Sì, purché le masse lo temano. La folla ama gli uomini forti. La folla è come una donna». Tutti e tre i dittatori si distinguono per la loro ipocrisia, proprio come un altro dispotico gentleman, Al Capone. Ma il gangster ha più fantasia, più ironia. La sua intervista, nel '31, è un inno alla democrazia americana e al capitalismo. Il pericolo numero uno è il bolscevismo. «Dobbiamo far di tutto affinché l'America resti sana e unita». Pochi mesi prima, Capone era stato intervistato per il Times di Londra, ma il giornalista non aveva trasmesso lì testo. Questo perché «il Times non avrebbe gradito scoprire che le sue vedute erano identiche a quelle del più celebre gangster di Chicago». Nel settembre 1936, Michel Mok, un giornalista olandese trasferitosi in America, intervista per il New York Post Scott Fitzgerald. Sono queste le pagine più commoventi dell'intero volume, il ritratto di un uomo corroso dall'alcol, spezzato da una malinconia crudele. Compiva quarant'anni, lo scrittore, il giorno della visita di Mok, morirà quattro anni più tardi nel 1940. «Era incapace di star fermo - narra Mok - ma le mani gli tremavano. Di tanto in tanto, apriva una bottiglia, si versava da bere e, con l'espressione sul volto di un bambino picchiato, s'accostava all'infermiera e implorava "Soltanto un goccio"». Uscì dalla stanza per qualche minuto e l'infermiera subito disse a Mok: «Disperazione, disperazione, disperazione, giorno e notte. Riesce ancora a lavorare, ma soltanto tre, quattro ore la settimana». Marilyn Morirete, intervistata nel '60, un anno prima del divorzio da Arthur Miller, appare fragile e ingenua. «Vorrei tanto essere felice, ma chi lo è? Essere febee è difficile quanto essere una brava attrice. Sono due traguardi che esigono tanta fatica». Nel '45, Pablo Picasso si sforza di spiegare che i suoi quadri non riflettono la sua fede comunista. «Se io dipingo una falce e un martello, la gente può vedervi una rappresentazione del comunismo, ma per me sono soltanto una falce e un martello. Io voglio riprodurre gli oggetti per ciò che sono e non per ciò che significano». Ma il toro in Guernica non rappresenta forse il fascismo? «No - precisa brusco Picasso -, soltanto la brutalità». Nel libro le biografie degli intervistatori sono ampie quanto quelle degli intervistati. E' giusto. Molti giornalisti, come Oriana Fallaci, meritano quest'attenzione. La merita certamente il giornalista e scrittore americano George Sylvester Viereck che non si lasciava intimidire da nessuno. Nel 1928, Georges Clemenceau, chiamato «la Tigre», lo riceve, ma subito comincia a inveire contro i giornalisti, «gente infida». «Pochi giorni fa, un suo collega - ringhia Clemenceau ha citato in modo sbagliato ogni mia parola». Viereck contrattacca e sentenzia: «E' il destino dei grandi veder riferito erroneamente il loro pensiero. Ma non è una sventura. Con ogni probabilità, alcune delle frasi più importanti attribuite ai grandi non sono mai state pronunciate. Quando l'immaginazione dell'Eroe difetta, il vuoto è colmato dall'immaginazione del mondo, che inventa la parola adatta». Mario Cirielìo Stevenson confessò: «Scrissi Jekyll perché ero al verde» La cronista che stregò Marconi Marilyn Monroe, dopo il divorzio con Arthur Miller: «Sono infelice» Sotto: il gangster Al Capone Carlo Marx A lato: Mussolini («Amo Byron e Leopardi») A destra: Scott Fitzgerald: «Soltanto un goccio»
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