Segni no la lega non passerà di Fabio Poletti

«Via i seggi dalle scuole» Da Milano l'appello per il Patto di rinascita nazionale: i veri federalisti siamo noi Segni; no, la lega non passerà «I lombardi rifiuteranno questa follia» MILANO. «Umberto Bossi? Un leader politico irresponsabile e pericoloso. Achille Occhetto? Statalista. E poi si guarda indietro con troppa nostalgia». E allora vai con Luigi Sturzo, l'Italia degli italiani unita e il Patto di rinascita nazionale. Vai con Mario Segni, 35 rninuti di parole e di applausi al teatro Carcano fino al battimani che accompagna l'inno di Mameli. Erano in mille (un milanese su 1500) ad ascoltare Mariotto all'ora dell'aperitivo. Mille che non stanno con Bossi, con Occhetto e con «i partiti che sono ditte destinate al fallimento», come dice Segni dal palco. Molti ostentano il «Giornale», e in prima fila c'è Indro Montanelli, «sponsor» del Patto. Parla per trentacinque minuti Mario Segni. E venti buoni se ne vanno via contro l'odiato Bossi. NeU'ordine: «Irresponsabile, pericoloso... mette in pericolo le conquiste di 150 anni, dall'unità d'Italia alla marcia verso l'Europa... attacca la magistratura... ha il monopolio degli insulti e delle provocazioni... mi rifiuto di credere che la maggioranza dei lombardi vogba seguire Bossi nella sua follia». In Padania (Segni dice proprio così) non c'è solo la Lega, e da qui è partito tutto. Ogni frase un applauso, ogni passaggio lento lento con quel bell'accento sardo vien giù il teatro. E poi i cartelli sul palco aizzano: «Bossi giù le mani dall'Italia», «Dalla Sicilia a Bolzano Bossi basta». Fino al ri- nascimentale «Siamo i figli dei figli dei figli di Michelangelo e Raffaello». E cosa voghamo? Cadenza Mario Segni: «Noi siamo quelli che hanno fatto il referendum, noi siamo gh uomini del Patto, voghamo ricostruire lo Stato e ridare dignità alla Repubblica italiana». Promette Segni: «Per ogni adesivo della Repubblica del Nord ci sarà un adesivo della Repubblica italiana». Applausi. Sì, ma la de? Che dice Segni del suo ex partito da cui è «uscito per rompere i ponti con il passato»? Solo un accenno: «No a patti sui collegi elettorah con Martinazzoli e altri, sarebbe una cosa vecchia. No agh accordi tra leader e un movimento che parte dal basso». Applausi più forti. Da qualche parte in sala c'è Roberto Formigoni. Aveva detto prima del discorso di Segni: «Fa bene Segni a battere sul tasto del rinnovamento, ma adesso è arrivato il momento di trovarsi attorno ad un tavolo e fissare i programmi. E' necessario trovare l'accordo su un premier». Che pensasse a Martinazzoli? Sì, ma adesso? Adesso sono tutti in silenzio questi mille, toccati nel cuore e nel portafoglio dalle parole di Segni che promette: «La pressione fiscale è arrivata a livelli di guardia, vanno ridotte le aliquote. Ci vuole la liberalizzazione del sistema economico e produttivo». Il programma di Segni arriva venti minuti dopo gh attacchi al leader della Lega e a quello del pds. Elenca Segni: «Sì al federalismo, ma solo a quello europeo. No all'Italia divisa in tre fra Lega distruttiva, sinistra arretrata e partitocrazia superata. Sì ad un patto di rinascita nazionale». Da dove si comincia? Si risponde Segni: «Dai Comuni, dalle autonomie da rafforzare contro un'Italia centralista. Lo diciamo noi che abbiamo vinto la battaglia per l'elezione diretta del sindaco e non Bossi che vuole lo statalismo del Nord». Chiede centomila firme per il Patto, Mario Segni. Le chiede «ai cattolici, ai laici, ai liberali, agh uomini della cultura socialista e ai politici veri ed onesti». Poi parte la musica, «Fratelli d'Italia, l'Italia s'è desta...». Battimani, applausi, giù dal palco a stringere le mani. Bacio sulle guance con Indro Montanelli. Alle 19 e 5 è tutto finito. I mille escono, e c'è pure il tempo per una firma. Fabio Poletti Mario Segni