IN FEDERICO FELLINI CE L'INFIDO RE FELICE di Stefano Bartezzaghi

IN FEDERICO FELLINI CE' L'INFIDO RE FELICE IN FEDERICO FELLINI CE' L'INFIDO RE FELICE nagramma di «Vasco Pratolini». Gira e rigira, siamo sempre fra spioni e servizi. Se ne uscirà mai? Si arriverà mai, in epoca di dismissioni cessioni e casse integrazioni, all'anagramma «SISMI - SISDE = dismessisi»? E' anche vero che queste sono domande a cui rispondono altre pagine del giornale. Noi possiamo parlare d'altro. Di giochi. Tempo fa Filocamo aveva anagrammato Federico Fellini. Risultato: Io, F.F., il re del cine. Eh. Anche di questo se n'è tanto parlato in altre pagine del giornale. Una rubrica di giochi di parole potrebbe prescindere da Federico Fellini. Come no. Una rubrica di giochi di parole potrebbe prescindere da «Asa Nisi Masa». Che cos'è? Se ne riparlerà quando sarà uscito un certo libro da Laterza, con un certo saggio di Giovanni Scibilia su «L'infanzia e il cinema di Federico Fellini». Intanto vi posso anticipare che «Asa Nisi Masa» Ricco d'idee, infedele cieli di fiori crei. Leccornie, donne, Dei non c'è freno, direi. L'inferno ed il delirio del dolce circo dice: Eccolo lì, è Fellini L'infido Re felice. La poesia è costruita così: i primi sette versi sono composti da parole formate solo con le lettere che formano nome e cognome del regista (C,D,E,F,I,L, N,0,R); raddoppiate a piacere. L'ultimo verse è un anagramma perfetto di «F,r ìrico Fellini». Se una rubrica di giochi di parole può prescindere da tutto ciò, pur mettendoci parecchi paragrafi a dirlo, allora bene. Andiamo avanti. A prescindere. E andiamo avanti con gli «epi-anagrammi»: quelli di Filocamo e di Benigni, ma anche quelli di un recentissimo libro del poeta Elio Filippo Accrocca, intitolato proprio agli Epi-Anagrammi (Newton-Compton editori). Sono non è un palindromo (di poco, ma non lo è). Anche «E la nave va» sembra quasi un palindromo; ma non lo è: letto al contrario da: «avevan ale». Una rubrica di giochi di parole potrebbe prescindere dal linguaggio di Fellini: le innovazioni linguistiche già registrate da Giulio Nascimbeni in un suo bell'articolo Il paparazzo? Iparà pazzo? pazza opra? papa/razzo?). L'onomastica dei Mastorna e degli Snaporatz. Quell'amarcord che continua ad assomigliare a un liquore prediletto da Guido Gozzano, amaro, cordiale. Una rubrica di giochi di parole potrebbe anche prescindere dai giochi che ha fatto Roberto Benigni, sul nome di Federico Fellini. Una poesia in cui il nome del regista compariva come in un anacrostico, ma in diagonale. Un'altra poesia che ora chiameremmo «epi-anagramma» e che Lietta Tornabuoni ha ricordato (La Stampa 1/11/1993). Diceva così: l'epigramma: «Mamma, sorci: da qui altro non vedo». Caro, smammi hanno detto: ma non cedo». E per Vincenzo Scotti un ancor più fulmineo: «Zitto, sconvince, ma se parla è peggio». Da quando esiste la pratica dell'epi-anagrarnma? Io dico 1613, almeno per l'Italia, e mi riferisco a una certa pagina della Parola dipinta (Adephi 1981 : 231-232) di Giovanni Pozzi che parla degli anagrammi di Domenico Carrega, e delle poesie anagrammatiche a lui dedicate dagli amici (cose come: «e sotto questa trionfale insegna, / eco d'Amor ci regna). Ma le retrodatazioni sono possibili, ovviamente. E ovviamente sono gradite. Scrivete a: Stefano Bartezzaghi, «La posta in gioco», La Stampa - Tuttolibri, via Marenco32, 10126 Torino. 180 epigrammi, dedicati ad altrettanti personaggi maggiori (qualcuno è massimo) e minori (qualcuno è minimo) della politica e di altri campi della vita nazionale. Per ogni epigramma c'è generalmente più di un anagramma, e talvolta compare il procedimento (logogrifico o giù di lì) che è anche di Benigni. Per esempio, nel primo epigramma di Accrocca: «Luigi Abete: "Guai" e "guaiti"ed "abulie" e "belati" / emergono dal nome e "albe" e "Abele"...». Per un libro di versi di Pietro Ingrao, Accrocca scrive: «7o per ingrato passo nel partito / da quando son tornato a poetar giorni)). Per Oscar Mammì c'è Stefano Bartezzaghi

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