Beals ballando col cinema

Incontro con l'attrice che è in giuria al festival torinese Incontro con l'attrice che è in giuria al festival torinese Beai» ballando col cinema Dieci anni dopo Flashdance cult-ragazza di Nanni Moretti TORINO. Dice Nanni Moretti in «Caro diario»: «"Flashdance" è il film che mi ha cambiato la vita. Dopo, non sono stato più lo stesso». Naturalmente parla del ballo, di quell'abilità, sicurezza e scioltezza ballerina che per tutti gli adolescenti timidi o imbranati è sempre stata l'emblema invidiato del successo felice, il simbolo d'una propria esclusione; e dopo un po', quando nel film incontra per strada a Roma Jennifer Beals col marito, trovandosi di fronte al suo idolo balbetta incredulo, perde la testa, tanto che gli altri due lo credono pazzo. Jennifer Beals adesso è a Torino, nella giuria del festival Cinema Giovani. Ha trent'anni e sembra una ragazzina di quattordici molto elegante. Quei pantaloni di spessa seta nera pare di conoscerli: «Mi faccio sempre rivendere i vestiti dei film. Così mi sono già familiari, costano meno, ed evito l'impresa più noiosa al mondo, andare a far compere nei negozi». Porta scarpe da uomo e occhiali da studentessa: la sua tesi di laurea in letteratura all'Università analizzava il problema della contraddizione tra individualismo e impegno sociale nella cultura americana attraverso tre scrittori, Adrienne Rich, John Updike e Toni Morrison che ha appena vinto il Nobel. Porta un anello geometrico d'argento a forma di croce: «Non sono religiosa ma mi piace il simbolo, è un simbolo di fede e di sacrificio: è infatti impossibile ottenere qualcosa senza crederci in modo attivo e senza dare». Beve acqua minerale con pastiglie di vitamina C effervescenti: «Mi piace star bene, taccio palestra, gioco a tennis e a pallacanestro. Quando c'è tempo: ma ce n'è sempre così poco». E' stanca, ha appena finito di lavorare in due film: quello di Alan Rudolph su Dorothy Parker e sugli scrittori della Tavola Rotonda dell'Hotel Algonquin di New York negli Anni Venti («recito la moglie dello scrittore Robert Benchley interpretato da Campbell Scott, una figura di moralista che non mi somiglia per niente»); e quello di Rubin Preiss, «Seeing is Deceiving», in cui è protagonista d'un intrico psicologico thrilling. L'idolo ballerino (o il finto idolo ballerino, giacché si sa che in alcuni numeri di «Flashdance» era doppiata da una danzatrice francese) è diventato una prediletta del cinema d'autore. «Flashdance» compie adesso dieci anni. E' noioso continuare a sentirselo ricordare? «No. Non mi dà fastidio: è piaciuto a così tanta gente, in tante parti del mondo... Non mi pento certo d'averlo interpretato: Adrian Lyne, il regista, era una persona interessante. Dopo ho fatto tante altre cose: in America la gente mi ricorda piuttosto in "In the Soup" di Rockwell, oppure in "Sons"... Con Moretti all'inizio abbiamo improvvisato, lui pareva preoccupato soprattutto di come ero vestita: "Ma perché ti sei messa in pantaloni? e le scarpe? dove le hai prese, quelle scarpe?". Mi piace molto, Nanni: come regista e come persona. Vedere insieme lui e Alessandro mi ha fatto ridere: non si capivano, non parlavano la stessa lingua, eppure si divertivano, il loro era un rapporto come tra due bambini, che possono benissimo giocare insieme anche senza parlarsi». Alessandro è Alexander Rockwell, il regista di «In the Soup», suo marito? «Sì, siamo sposati da otto anni. L'incontro con lui "mi ha cambiato la vita", come Nanni dice di "Flashdance". Sono diventata più matura, e insieme più bambina: lui ha sette anni più di me ma è curioso di tutto, ha il senso dell'avventura, il gusto della gioia. Io invece non avevo talento per la felicità, ero un po' cinica; anch'io curiosa, ma in modo accademico, libresco». Tra i due, insomma, l'intellettuale era lei? «Io ero più teorica, più teorizzante; lui sa più cose di me, ha letto e visto più di me. M'ha insegnano a conoscere il cinema non americano, m'ha portato a vedere "La strada" di Fellini e tanti altri film bellissimi. M'ha insegnato a viaggiare: viviamo a New York, sua madre ha un appartamento a Parigi dove abitiamo spesso, ma io preferisco Roma». Perché? «Ci sono andata la prima volta a sei anni, e mi sembrò una città miracolosa. La mia famiglia è di Chicago, io sono cresciuta in un quartiere-ghetto molto violento, molto duro. Mio padre, che aveva un supermercato di alimentari, certe volte passava tutta la notte a negozio con la pistola, per via delle rapine. Mia madre, che insegnava alle elementari, certi giorni si trovava in classe bambini di sette anni armati di rivoltella: mi raccontò che quando mostrò ai suoi scolari un uccello morto divorato dai vermi i bambini si spaventarono terribilmente, era la prima volta che vedevano la morte naturale, non artificiale né procurata con violenza. Al confronto, Roma era un Paradiso. Sono poi tornata in Italia diverse volte, anche per interpretare "La partita" di Carlo Vanzina: il film non m'è piaciuto, lo avevo immaginato differente, ma sul set ho conosciuto Elide Cortesi che è diventata una mia cara amica». E adesso è nella giuria di Cinema Giovani: il ruolo le piace? «A me non piace giudicare nessuno. Potrò soltanto dire quale film mi ha commosso, quale invece mi ha lasciato indifferente. Pure a me certi film hanno cambiato la vita. Vedendo "Stalker" di Tarkovskij, a esempio, quando il protagonista parla del suo lavoro e dice: "Non me lo togliere. E' tutto quello che ho", mi sono resa conto che il mio lavoro è molto importante. Anche se hai l'a¬ more, senza il lavoro la vita non vale la pena». Cosa desidera, ora? «Lavorare con registi che hanno idee forti, posizioni precise, gente come Moretti o come Chabrol per il quale ho interpretato "Docteur M.". Mi piacciono le persone, gli autori con un punto di vista». Di cosa ha paura? «Di perdere tempo. Ho la sensazione che, vivendo, usiamo soltanto una parte molto piccola di noi stessi. Ho paura di dissiparmi, di sprecarmi». Lietta Tornabuoni IL PROGRAMMA OGGI MASSIMO UNO 15.00 Fuori concorso Mathi Sheng Sui / Distant Trampling of Hor- ses (Scalpiccio di cavalli in lontananza) di Liu Miaomiao (Cina, 1990, 35mm., 90'). 17,30 Concorso l.m. En medio de la nada / In the Middle of Nowhere (In mezzo al nulla) di Hugo Rodriguez (Messico, 1993, 35mm., 90'). 20,45 Concorso c.m. Marna Said (Mamma disse) di Michael A. Costanza (Usa, 1993,16mm., 3'). Take Away di Daphna Levis (Israele, 1992, 16mm. 9'). Grosswild Jagd / Big Game Hunt (La grande caccia) di Stephan Wagner (Australia, 1992, 16mm.,9'). Onna / She's different (Lei è diversa) di Maciej _ Pieprzyca (Polonia, 1993,16mm., 17'). 21,30 Concorso l.m. Longe da qui / Far From Here (Lontano da qui) di Joào Guerra (Portogallo, 1993, 35mm., 97'). 24.00 Fuori concorso A meia-noite levarci a sua alma / At Midnight I will Carry Your Soul Away (A mezzanotte ruberò la tua anima) di José Mojica Marins (Brasile, 1964, 35mm., 90'). Nella foto grande Jennifer Beals come appariva in «Flashdance», il film di Adrian Lyne girato dieci anni fa (lei era doppiata nelle scene di ballo). Qui sopra, l'attrice in un'immagine recente