Seguendo Rembrandt nelle terre del Nord

Magie di fiamminghi e olandesi del '600 Magie di fiamminghi e olandesi del '600 Seguendo Rembrandt nelle terre del Nord ETORINO NTRANDO nella sala e nella saletta della Galleria Caretto in via Maria Vittoria per la consueta rassegna di fine anno di pittori fiamminghi e olandesi del XVI e XVII secolo si ha sempre l'impressione di scostare un invisibile e magico velario del tempo e di essere fisicamente entrati all'interno di uno di quei quadroni del '600 transalpino che miniaturizzano le centinaia di opere maggiori e minori che invadono ogni angolo, dal pavimento al soffitto, di qualche nobile «quadreria». Salvo il bel gruppetto «antico», ovvero degli inizi del '500, di Madonne col Bambino, fra le quali spicca nella sua «mandorla» oro e arancio - fra la minuzia naturalistica del vaso con ramo di giglio, delle ciliegie che il Bambino accosta alla bocca, della mosca che succhia un petalo e l'ampiezza di forme della Madonna - quella riferita al «Maestro di Francoforte», con la firma rivelatrice di un Juan Verganus, la maggior parte del centinaio e più di tele rivela il desiderio quasi ingordo, tipico della scuola, di una indagine infinita della realtà. Natura di campagna e di mare, vita nei villaggi del Nord o fra i ruderi della campagna romana, cavalieri, rustici e mercanti in sala o nell'osteria, eleganze e caratterizzazioni grottesche (calori di benessere e immagini impietose di pitocchi), umori luminosi di piume, di pelli vegetali, di rami e ceramiche nelle nature morte: tutto lo spettacolo quotidiano del mondo, e sia pure con il forte e profondo supporto scientifico e ideologico della «cultura visiva» così bene indagata dalla Alpers. Anche quando, nella cittadella cattolica di Anversa dominata da Rubens, la richiesta di pale sacre impone il rimando ad una diversa, italiana concezione del reale nella simbologia religiosa, come nel caso della Deposizione di Pieter van Mol ispirata a quella vaticana del Caravaggio, la concretezza tangibile dei corpi, la brillantezza setosa oro e rosso dei broccati, persino la lacca carminio del sangue dal costato di Cristo recano l'indelebile impronta delle terre basse del Nord. Lo stesso svariare in climi nordici di modelli assunti direttamente in Italia caratterizza le «mezze figure» di maestri fiamminghi come il giovanile S. Giovanni Evangelista di Van Dyck e L'Eraclito del caravaggesco Baburen. L'impressione più straordinaria, quasi surreale di «déplacement» è offerta dal grande quadro dello specialista marinista olandese Hendrik Vroom, datato 1623. Esso rappresenta La flotta veneziana nel porto di Corfù. Galee, galeazze, cannoniere, con il rosso vessillo con il leone d'oro, minuziosamente descritte, valgono ovviamente per ogni clima, tanto più che a quella data erano già non pochi i vascelli varati in Olanda per la Repubblica veneziana; ma non vi è proprio nulla di mediterraneo nel blu ghiacciato del mare, esteso fino alla isoletta-lazzaretto in secondo piano e al più lontano profilo del porto di Corfù. Per l'occhio olandese ogni mare è quello del Nord. Il rapporto si rovescia di fronte all'opera forse più affascinante in mostra, il Vecchio mendicante del grande pittore di genere Gerard Dou di Leida, allievo di Rembrandt. Di fronte all'ombroso calore di un nudo scenario, un muraglione in cotto e un vecchio tronco rugoso e rinsecchito, coperto da stracci resi preziosi dai valori di luce pittorica, il vecchio ha la dignità classica di un filosofo antico: è una dignità, pittorica e umana, che anticipa di mezzo secolo la severa realtà lombarda di un Ceruti. Marco Rosei Un centinaio di tele a Torino: spicca su tutti Gerard Dou e Usuo «Mendicante» Alcune delle tele esposte a Torino: a sinistra «La deposizione» di van Mol; dall'alto, «Madonna col Bambino» del Maestro dell'Adorazione Khanenkho e «Il vecchio mendicante» di G. Dou

Persone citate: Alpers, Caretto, Ceruti, Gerard Dou, Giovanni Evangelista, Rembrandt, Van Dyck

Luoghi citati: Anversa, Corfù, Francoforte, Italia, Olanda, Torino