I pionieri dell'orario corto una novità vecchia di anni

I pionieri dell'orario corto una novità vecchia di anni I pionieri dell'orario corto una novità vecchia di anni DOVE OSANO LE FORBICI Occhietto insiste: la riduzione dell'orario e la sua elasticità sono una strada obbligata per arrivare ad una soluzione della grave crisi occupazionale in atto. Il segretario del pds lo ha ripetuto ieri a Torino. Premesso che per affrontare adeguatamente la questione del posto lavoro occorre un patto sociale nuovo, tra le diverse categorie, compresi i lavoratori autonomi, Occhetto si è detto «colpito molto negativamente dal fuoco di sbarramento che la Confindustria, con i suoi massimi rappresentanti, ha innalzato rispetto al problema della riduzione dell'orario». «Siamo davanti ad una grande miopia conservatrice - ha aggiunto - la riduzione dell'orario non significa assolutamente redistribuzione della povertà, come sostengono alcuni imprenditori. Né, di per sé, può creare nuovi lavori. La sua importanza e il suo realismo si basano sul fatto che le innovazioni tecnologiche consentono di produrre con meno lavoro lo stesso numero di mezzi e beni necessari». [Agi] TANTI medici si affollano al capezzale del «posto di lavoro», un malato che deperisce a vista d'occhio. Ognuno ha la sua ricetta, da Abete a D'Antoni, a Laicizza. Ma pochi sanno che in Piemonte sindacati e imprenditori, non senza difficoltà, hanno anticipato i tempi sperimentando nuovi percorsi, soluzioni originali. La fantasia non manca, anche senza andare a lezione dai tedeschi della Volkswagen o dai ministeriali francesi di Balladur. Semmai è mancato il coraggio di imitare, in casi analoghi, soluzioni che si sono dimostrate indolori o quantomeno non traumatiche. Tra i casi esemplari c'è quello della Manifatture Perosa. Nell'agosto '92 su quattrocento dipendenti, 131 sono considerati di troppo e partono le «procedure di mobilità», anticamera del licenziamento. O si taglia, dice l'azienda, o si esce dal mercato. E a un sindacato preoccupato propone, con l'appoggio dell'Unione Industriale, questa via d'uscita: revoca dei licenziamenti e impegno a nuovi investimenti per 4 miliardi in cambio di sacrifici. Bisogna stringere la cinghia, incominciando ad abolire la mensa aziendale e, per chi lavora di notte o il sabato e la domenica (quando la mensa non c'è) cancellare l'indennità di 1900 lire, sostitutiva del pranzo mancato. Annullare i «contributi» per i pendolari che devono usare il pullman. Ancora: taglio dell'8,48% su tutte le buste-paga. Una «cura dimagrante» di 13 mesi per il salario della grande maggioranza dei lavoratori; di 15 mesi per lo stipendio dei livelli professionali più alti. «La limatura - spiegano all'Unione Industriale - non ha comunque inciso sui minimi contrattuali della categoria». Non solo. Dal 1° marzo '94 l'azienda restituirà (in 24 rate) metà della cifra trattenuta nella prima fase d'applicazio¬ ne dell'intesa, cioè il 4,24%. Riunioni, assemblee, referendum. Poi l'accordo passa. Ma un'ottantina di «irriducibili» si ribella e ricorre al pretore del lavoro: in sostanza è un disconoscimento della rappresentatività del sindacato. Il magistrato qualche giorno fa ha respinto il ricorso. Altri due esempi sono quelli Socama e Barberis e C, titolari del servizio mensa negli stabilimenti Olivetti del Canavese dove il personale scese da 17.500 addetti del '78 a 14.020 dell'81. Voleva dire 3500 pasti in meno. Per affrontare i conseguenti tagli non bastano trasferimenti interni e dimissioni incentivate. Non c'è la cassa integrazione e si sceglie la strada del part-time volontario, con una riduzione proporzionale della busta-paga. La manodopera è soprattutto femminile e un primo gruppo accetta subito, altre negli anni successivi. Alla Socama 70, dei 120 dipendenti, mantengono il tempo pieno e 50 usano il tempo parziale a rotazione: metà lavora 8 ore per tre mesi e 4 ore nel trimestre successivo, l'altra metà fa l'inverso. Dei 133 dipendenti Barberis, invece, 68 restano a tempo pieno e 65 scendono a 6 ore con corrispondente taglio del salario. Per entrambe le aziende in caso di turn-over si dà la precedenza a chi è a tempo parziale, riportandolo all'orario normale (precedenza assoluta per chi è più vicino alla pensione). ((Alla fine dell'88 - dice Gianni Scanzi, Uil di Ivrea, uno dei firmatari dell'accordo - la Socama aveva reintegrato ad orario pieno tutti i part-time». Perché quest'invenzione non è stata copiata in situazioni analoghe? «Noi dell'Uil eporediese - risponde - abbiamo sempre avuto larghissima autonomia. Non così la Cisl, e ancor meno la Cgil. I loro responsabili regionali non vedevano di buon occhio queste novità. Il risultato fu uno solo: in altre realtà territoriali (da Fiat a Michelin, a Lancia) di fronte ad esuberi, invece dell'orario ridotto si trovarono con le lettere di licenziamento». Ma ci sono anche casi «minori», come il settore pulizie, «un comparto - dice il segretario regionale del terziario Cgil, Marco Bertolotti - dove non c'è la cassa integrazione». Allora? A partire dal '91 si è fatto un ricorso massiccio alla riduzione d'orario con un taglio proporzionale di salario. Questo ammortizzatore sociale è stato uguale per tutti? «No. Si è manovrato anche, per le aziende maggiori con più appalti, sul passaggio da un cantiere all'altro». Quanti ha interessato? «E' un arcipelago, difficile quantificare. Posso dire che in tre anni abbiamo concordato alcune centinaia d'intese con le imprese. Non ci vantiamo di aver anticipato ricette, abbiamo semplicemente fatto di necessità virtù per tutelare il massimo di occupazione possibile, garantendo il massimo reddito possibile». Diversa la sperimentazione alla Skf. Alla fine degli Anni 80 il braccio italiano del colosso svedese dei cuscinetti aveva bisogno di produrre anche il sabato e la domenica: un'occupazione aggiuntiva, ma solo per due giorni la settimana. Si è cominciato assumendo giovani a part-time: 8 ore il sabato, 8 la domenica e altre 8 a rotazione nella settimana. Il sindacato accettarla proposta aziendale perché si creano nuovi posti dopo anni di crisi e ristrutturazioni, «ma impone dei paletti - spiega Giorgio Bizzarri, segretario Fim-Cisl -: due anni di prova, poi il passaggio a tempo pieno con orario normale». La crisi internazionale ha portato ad uno slittamento delle date: tre anni e mezzo invece dei due previsti inizialmente. «Ma intanto sono entra- ti oltre 150 giovani - dice Bizzarri che oggi fanno un orario normale con una retribuzione completa». Ma le difficoltà, dopo le «tute blu» e i «colletti bianchi», investono anche il management e si scopre il «dirigente in mobilità». Per fronteggiare la situazione il sindacato dei dirigenti industriali (Fndai) ha siglato in questi giorni a Torino un accordo con l'Api (piccole imprese non aderenti alla Confindustria). L'identikit del manager licenziato dalla grande azienda, o con il posto a rischio, spiega il presidente regionale Adriano Castella, è questo: 49 anni, laureato, in metà dei casi ingegnere, con esperienza di lavoro all'estero. «Ottimi ingredienti - aggiunge - di un cocktail appetibile per le piccole imprese a conduzione familiare, spesso prive di una struttura manageriale. Basti pensare che in Piemonte solo 2500 imprese, su 25 mila "piccole", hanno questa struttura. Noi abbiamo creato uno "sportello" che aiuti il manager a fornire una scheda che ne evidenzi le potenzialità. L'Api è 10 strumento che ci permette di offrire le schede alle aziende. E' l'incontro tra domanda e offerta. Ora abbiamo formalizzato l'intesa, ma l'esperimento è partito all'inizio del '93 e sta dando i primi risultati: 12 dirigenti, su 150, hanno trovato 11 posto e un'altra quarantina ha in corso colloqui e selezioni. Non si tratta di assunzioni vere e proprie, ma l'instaurarsi di rapporti di collaborazione, anche con contratti a tempo determinato: è l'inizio di un percorso, un fidanzamento tra manager e piccola impresa con vantaggi reciproci». Insomma: sindacati e imprenditori piemontesi alle parole preferiscono i fatti, senza attendere «miracoli» da ricette straniere. Francesca Bullo La sperimentazione delle mense Olivetti cominciò nell'80 I casi Skf e Perosa A sinistra il presidente della Confindustria Luigi Abete In alto il segretario del pds Achille Occhetto

Luoghi citati: Ivrea, Perosa, Piemonte, Torino